Dumbo Gets Mad, l’elefante psychofunk nella stanza del pop italiano | Rolling Stone Italia
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Dumbo Gets Mad, l’elefante psychofunk nella stanza del pop italiano

Cantautore e sound designer, fa una specie di psichedelia elettronica funk-pop, è partito da Los Angeles e ha da poco pubblicato ‘Five Eggs’. Luca Bergomi vuole fare le cose fatte bene. L’intervista

Dumbo Gets Mad, l’elefante psychofunk nella stanza del pop italiano

Dumbo Gets Mad

Foto: Emanuele Del Rio

Dumbo Gets Mad è una creatura strana della musica italiana (ma non solo). Dietro al nome allucinogeno c’è Luca Bergomi, emiliano, cantautore e sound designer che 15 anni fa è partito da Los Angeles con un progetto visionario in equilibrio tra funk, elettronica e cosmologia, e lo ha portato a girare in oltre 100 festival tra Europa, Americhe e Asia.

Five Eggs, il suo nuovo album, arriva dopo gli ottimi riscontri dei primi tre lavori pubblicati per l’italiana, ma internazionalissima Bad Panda Records (rip!), e dopo l’esistenzialista Things Are Random and Time Is Speeding Up, autoproduzione del 2021. Un percorso indipendente, ma ossessivo nella cura dei dettagli, che dopo tanto do it yourself oggi trova una nuova dimensione alla Carosello Records e nel simbolo dell’uovo fragile e indistruttibile di Five Eggs. Un progetto solista, certo, ma che trova la propria dimensione live nel formato band, con vari musicisti che si sono susseguiti negli anni, compresa la dj e cantante giapponese Hiroko Hacci.

Come ci ha spiegato in questa intervista, Dumbo Gets Mad non vuole essere l’ennesimo artista indie che va a caccia di stream e numeri social, ma un musicista che costruisce universi fuori dalle mode, che rivendica l’imperfezione come valore («a me piacciono le cose un po’ sporche») e che può permettersi di dire, senza rimpianti: «Non cambierei nulla, mi è piaciuto tutto il viaggio».

Perché proprio Dumbo?
Una sera mi sono rivisto il Dumbo della Disney e mi è rimasta impressa una scena che già da bambino trovavo molto psichedelica, quella della sequenza di Pink Elephants on Parade. Per me quella scena è diventata una sorta di immaginario artistico, quasi a tratti psichiatrico, e da lì ho avuto un’illuminazione: iniziare un progetto musicale che si chiamasse così.

Già dal 2011, con il tuo debutto Elephant at the Door, hai avuto ottimi riscontri. Ti saresti aspettato un impatto del genere dal punto di vista della critica?
È stata una sorpresa. Era il mio debutto. Venivo dalla fotografia, che poi ho deciso di abbandonare per andare a Los Angeles con un po’ di risparmi messi da parte. Là ho avuto una sorta di rigetto verso il lavoro in studio come assistente. Era un ambiente molto tecnico, ma poco creativo, e io sentivo il bisogno di reagire. Così è nato il disco, con la voglia di rifarmi alla musica degli anni ’60 e ’70 e al mondo dei live. Ho mandato un pezzo a un blog e da lì è partito tutto.

Con il disco Thank You Neil del 2015 hai invece esplorato l’universo e la figura dell’astrofisico e divulgatore scientifico Neil deGrasse Tyson. Un modo di spaziare anche guardando al cielo?
Sì, tutto è nato dal documentario Cosmos, quello di Carl Sagan, che ho visto tantissime volte. Mi ha ispirato a creare un concept legato all’immaginario dello spazio, alle emozioni che può suscitare.

Dumbo Gets Mad - Pariah (Official Video)

Nell’ultimo album hai scelto un uovo come metafora di qualcosa all’apparenza fragile, ma anche estremamente forte se messo nella posizione giusta.
Esatto! L’uovo rappresenta bene i miei dischi, che considero delle creature. Inoltre è anche il quinto disco e la confezione da sei uova calzava a pennello.

Nel brano Pariah racconti incertezze e spaesamento generazionali. Sono condizioni che hai vissuto direttamente?
Per me rappresenta un momento della vita che può arrivare a provare davvero chiunque, in particolare quando non si sa bene cosa si vuole fare nella vita. Ho immaginato questo agglomerato di studenti che si fanno domande e non hanno ancora una direzione chiara.

Oggi però sembri uscito da quella fase, visto che hai firmato per Carosello. Questa cosa sposterà il tuo baricentro più verso l’Italia?
Non ho mai pensato ai confini geografici, non hanno valore artistico. Non è una strategia. Mi apro al 100% senza restrizioni. Certo, avere più risorse aiuta a spaziare. Con Carosello ho trovato persone in gamba, che hanno mostrato interesse senza voler snaturare il progetto. E per ora posso solo parlarne bene.

In Italia hai già collaborato con Marracash. Com’è stata l’esperienza?
Ha ascoltato quello che gli ho proposto e ha deciso subito di collaborare. Se devo essere sincero, mi piacciono le persone meticolose come lui. Significa che ci tengono a quello che fanno. Io stesso sono attento a ogni dettaglio, quindi mi sono trovato molto bene. Marracash si fa molti scrupoli sulle collaborazioni e ciò che gli proponi. E per me è un pregio.

Dumbo Gets Mad, Biscaglione (Lyrics)

Come vive un musicista come te, che finora aveva fatto tutto da solo, il mondo della musica sulle piattaforme che spesso porta ad avere ansie per i numeri?
Me la vivo senza dare troppo peso a queste cose. Nessuno ha davvero il controllo su di esse, quindi non ha senso ossessionarsi. Ho seguito le varie polemiche su Spotify, ma credo sia una fase di transizione. Prima c’erano i vinili, ora le piattaforme. In generale tutti cerchiamo una formula più equa. Non dipende solo da una persona, ma da una generazione.

Da sound designer e ingegnere del suono, cosa pensi delle polemiche sull’Auto-Tune?
Da un punto di vista tecnologico lo vedo come un ottimo escamotage, un po’ come quantizzare una batteria. Può dare groove soprattutto sulla voce. Artisticamente però a me piacciono le cose un po’ più sporche e naturali. Sentire un cantante leggermente stonato ma autentico mi emoziona di più rispetto a uno che si nasconde dietro l’Auto-Tune. Non ho nulla contro questo espediente, ma preferisco sempre la verità nella voce.

Se potessi tornare indietro al 2011 quando hai iniziato e dare un consiglio al Luca di allora, cosa gli diresti?
Credo che questo sia uno dei pochi percorsi della mia vita che non cambierei. Non saprei, forse dirgli solo di godersi un po’ di più la vita. All’epoca ero un nerd, passavo ore e ore a studiare chiuso in studio, ma quello mi ha portato fin qui. In fondo mi è piaciuto tutto, anche il viaggio. Non ambisco alla notorietà, faccio semplicemente quel che mi piace.

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