La drum machine che camminava. Intervista a John Stanier dei Battles | Rolling Stone Italia
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La drum machine che camminava. Intervista a John Stanier dei Battles

La band sarà in Italia il 29, 30 e 31 marzo, rispettivamente ai Magazzini Generali di Milano, alla Quirinetta di Roma e al New Age di Roncade. Ecco cosa ci ha raccontato il batterista

Un fotogramma del video di "The Yabba", uno dei singoli dell'ultimo album

Un fotogramma del video di "The Yabba", uno dei singoli dell'ultimo album

John Stanier credo che le abbia viste tutte. Classe ’68, nato a Baltimora ma naturalizzato newyorchese, ha cominciato a farsi le ossa rimbalzando fra le scene hardcore di Pennsylvania e Florida, per poi esordire nel 1989 alla batteria degli Helmet.

Di quel periodo John conserva ancora l’irruenza e il fiato, doti preziose che gli hanno permesso di schivare saggiamente la grande ecatombe dei gruppi metal di inizio Duemila. Mike Patton infatti lo ha voluto dietro alle pelli dei suoi Tomahawk, mentre dal 2006 spende ogni energia per la causa dei Battles, trio math rock della scuderia Warp Records che ha da poco pubblicato l’ultimo La Di Da Di.

Gli ultimi tre giorni di marzo i Battles faranno tappa in Italia e ad aprirli toccherà ai nostri Niagara. Li troverete stasera ai Magazzini Generali di Milano, al Quirinetta di Roma il 30 e al New Age di Roncade il 31. Un pomeriggio di qualche settimana fa, ho raggiunto John al telefono per fargli qualche domandina che mi premeva chiedergli da molto tempo (convenevoli esclusi).

Dove ti trovi ora?
Sono qui a Brooklyn, c’è una bella giornata primaverile. Vivo sia qui che in Germania con mia moglie. Abbiamo casa sia qui che a Berlino.

Ti godi la tranquillità fra un tour e l’altro.
Assolutamente, con la band siamo stati ovunque, sballottati qua e là per tipo cinque mesi. Abbiamo appena fatto tappa a Città del Messico e ora cominciano le tre settimane di date europee. Da qui all’estate saremo praticamente in ogni festival europeo, poi Giappone… Però ci divertiamo, non potrebbe essere altrimenti.

Com’è la vita in una band senza frontman?
Non ne abbiamo mai avuto uno in realtà, quindi non saprei come rispondere. Siamo tre persone senza un cantante, la viviamo molto easy. Come se fosse un processo del tutto naturale. In passato abbiamo avuto qualcuno che si occupava delle voci, ma siamo ben lontani da un lead singer.

Certo, però ammetterai che dal non avere un cantante all’avere Mike Patton, qualche differenza ci sarà.
Eccome! Altro che qualche differenza, sono due progetti musicali totalmente differenti. Uno è un gruppo standard di quattro elementi —chitarra, batteria, basso e voce—mentre l’altro è un’entità di totalmente diversa. Talmente diversa che mi riesce difficile anche solo metterla in relazione coi Tomahawk. Comunque Mike non è così fuori come sembra.

Ma quando te lo chiedono sei il batterista dei…
Ovviamente prima di rispondere mi dilungo sempre in premesse in cui dico che mi piacciono tutti i progetti in cui sono coinvolto. Però poi dico che i Battles sono il mio gruppo principale, quello che occupa la maggior parte del mio tempo. Sono un musicista, però. Mi piace molto spaziare fra i generi, variare le abitudini. Come vivere in due posti.

Battles - The Yabba

Già, negli anni Novanta eri un po’ metallaro e addirittura fan dell’hip hop.
Oddio, non proprio metallaro. Suonavo semplicemente in una band, gli Helmet, che qualcuno un bel giorno ha deciso di etichettare come metal, o qualche suo sottogenere. Però non ho mai avuto i capelli lunghi, quindi niente headbanging. Quanto all’hip hop, ora non lo posso più sentire. Faccio ancora il DJ, ma suono principalmente house. L’hip hop oggi è ovunque, fanno tutti hip hop e nella maggior parte dei casi lo fanno male.

Conosci molta gente che è passata dal “”””””metal”””””” a qualcosa di più elettronico?
Non hai idea di quanti ne conosca. Sono due mondi che hanno sempre avuto più analogie che differenze. Non c’era anche uno dei Negazione che si era messo a spippolare macchine dopo aver lasciato l’hardcore?

Parli di Neffa? Però lui era passato all’hip hop.
No, non lui. Mi pare fosse il cantante.

Zazzo? Non che io sappia.
Vabbè, comunque una marea di gente l’ha fatto.

John in uno dei vicoli di Palermo, prima di una data di qualche tempo fa. Foto: Twitter

John in uno dei vicoli di Palermo, prima di una data di qualche tempo fa. Foto: Twitter

E tu come come sei finito alla Warp Records?
Moltissimi anni fa, un nostro amico che produce sotto lo pseudonimo di Prefuse 73 era sotto contratto con la Warp. Quando ci prese in confidenza, decise di portarci in tour con lui. Fu davvero facile entrare nel loro roster: ci videro suonare e poco dopo si presentarono con un contratto da firmare. Fu tutto incredibilmente facile e rapido.

Pensa che c’è gente che ci prova da una vita. Oltretutto siete una delle poche band nel roster.
Sì, ecco, non siamo gli unici. È stato facile entrare ma non è che siamo l’unica band. La Warp può vantare formazioni assurde, come i Grizzly Bear, e i !!! (Chk Chk Chk). Ma il bello è che è una label piuttosto varia e dinamica, le rockstar cambiano di continuo al suo interno.

Parliamo dell’ultimo disco, La Di Da Di. Una cosa che ho notato è che il tema del cibo ricorre spesso.

A partire dalla copertina, il cibo rappresenta diversi elementi della nostra musica. Ogni ingrediente si mescola con l’altro e non è detto che il risultato sia sempre buono. Ma siamo noi, è che ci rende i Battles. Il cibo in copertina è comunque un’idea di Dave [Konopka, bassista]. Lui oltretutto è per metà italiano, cucina benissimo e quindi ci ha inculcato la sua visione di cibo mediterraneo. Ed è anche per questo che uno dei brani nel disco si intitola Cacio e Pepe.

Vogliamo dire la verità sul Ride alto due metri che rende la tua batteria tanto strana? Ho letto altre tue interviste e ogni volta la racconti diversa.

A te dirò la verità, è così perché lo trovo divertente. Basta, non esiste nessuna storia dietro all’altezza spropositata del Ride. All’inizio volevo sembrare intelligente e mi sono inventato le storie più disparate. Giù la maschera, era tutta finzione.

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