Ha composto la musica di una delle canzoni più celebri della storia del rock, che è tale anche grazie anche al suo assolo di chitarra. Don Felder è stato il chitarrista degli Eagles per oltre 25 anni e ha scritto nell’estate del 1975 la musica di Hotel California, brano simbolo dell’omonimo album uscito l’anno dopo. In collegamento video dalla Florida, racconta quegli anni vissuti in the fast lane: il festival di Woodstock vissuto da spettatore, l’incontro sfumato con Elvis, gli Eagles, gli eccessi, le droghe, l’alcol, le gioie, i litigi con Glenn Frey, l’allontanamento dalla band da più di 200 milioni di dischi venduti, la rinascita, il nuovo album The Vault – Fifty Years of Music. Inciso con amici musicisti come Steve Lukather, David Paich, Greg Phillinganes, Chad Cromwell, Matt e Gregg Bissonette, Nathan East, Jim Keltner, Todd Sucherman degli Styx, la cantante Nina Winter e la figlia cantautrice Leah James, il disco si chiude con Blue Skies, brano dedicato all’amico-nemico Frey scomparso nel 2016.
Kandinsky diceva che creare un quadro è come creare un mondo: «In un quadro sta misteriosamente racchiusa tutta una vita … con molti tormenti e dubbi e ore d’entusiasmo e di luce». Felder pensa la stessa cosa della musica. Ha 77 anni portati benissimo, è gentile e affabile, ha voglia di raccontare e di raccontarsi.
Non posso non partire da Hotel California. Immaginavi quel giorno di 50 anni fa, quando hai composto la musica, che sarebbe diventato uno dei brani più noti della storia del rock?
Quando compongo non so mai dove mi porterà la musica. Se poi tutto funziona, sono felice. Nessuno di noi ha mai pensato che sarebbe diventata una delle più grandi canzoni rock di sempre. È passato mezzo secolo da quel pomeriggio di luglio del 1975. Ero nel soggiorno illuminato dal sole nella mia casa di Malibu. Ero tornato dalla spiaggia, avevo ancora il costume bagnato. Per rilassarmi ho preso la chitarra acustica a 12 corde e ho iniziato a fare qualche progressione di accordi arpeggiati. Tutto qui. La melodia di base influenzata dal reggae, genere in voga in quel periodo, l’ho registrata su un multi-traccia della Teac. Dopo ho sovrainciso il basso e una drum machine in 4/4. Con il calare della sera ho spento tutto e il pezzo è rimasto chiuso in un cassetto per molti mesi.
Quando l’hai fatto ascoltare agli altri Eagles?
Quasi un anno dopo, nella primavera del 1976. Ci siamo trovati in un ranch vicino Calabasas, nei dintorni di Los Angeles, per ascoltare nuovo materiale e progettare quello che sarebbe stato il nostro quinto album. Ho portato ai ragazzi una cassetta con una dozzina di pezzi e li ho fatti ascoltare. Glenn e Don hanno notato quella sequenza di accordi arpeggiati in stile reggae. A tutti è sembrato una sorta di reggae messicano e così Mexican Reggae è stato il primo titolo che abbiamo dato al brano durante le registrazioni. Il pezzo è stato trasformato dal Mi minore originale al Si minore per permettere a Don Henley di cantarlo meglio. Io l’ho sempre preferito nella tonalità originale che offre più spunti alla chitarra.
Dicono che tu possieda ancora la versione originale su demo. È vero?
Sì.
La pubblicherai prima o poi?
Mah… chissà…
Come è nato il doppio assolo di chitarra con Joe Walsh?
In maniera naturale, dividendoci le parti. All’inizio suono io il solo di otto battute, poi cedo la scena a Joe che ne suona altre otto. Poi ritorno io questa volta con quattro battute, lui fa lo stesso e finiamo insieme “duellando”. I nostri soli occupano due minuti e 12 secondi. Joe ed io ci conoscevamo da prima degli Eagles, siamo sempre stati amici e in sintonia artistica. Avevamo già fatto un paio di live insieme, uno anche al Dodger Stadium di Los Angeles.
Veniamo al testo di Hotel California di Don Henley e Glenn Frey. In questo mezzo secolo ognuno ha colto un diverso significato. Alcuni sono convinti nasconda messaggi demoniaci, forse per via della copertina, una foto sinistra del Beverly Hills Hotel su Sunset Boulevard. Qual è la verità?
Hotel California è qualsiasi cosa ognuno voglia che sia. È la magia delle canzoni. L’idea iniziale è di Glenn che ha immaginato un uomo in una decappottabile intento a guidare di notte lungo un’autostrada deserta, in lontananza le luci scintillanti di Hollywood e di Los Angeles. Don ha ampliato questa visione immaginando un ragazzo che dopo aver guidato a lungo, intravedendo un hotel in lontananza, decide di fermarsi per la notte. In quelle stanze incontra una donna tra specchi sul soffitto e champagne rosé nel ghiaccio, personaggi inquietanti… L’atmosfera è quella volutamente un po’ mistery che si rifà a Ai confini della realtà.
Nel documentario History of the Eagles del 2013 Henley dice che è «una canzone su un viaggio dall’innocenza all’esperienza».
Credo che si riferisse agli eccessi della cultura americana e a un certo tipo di ragazza, del difficile equilibrio tra arte e commercio, di eleganza e decadenza, chiedendosi: è il paradiso o l’inferno? L’hotel potrebbe essere anche una metafora della vita di eccessi a Los Angeles, luogo di contraddizioni. Don è un poeta, ha studiato letteratura inglese alla North Texas State University, ha una scrittura evocativa, raffinata che lo porta a prendere un’idea e a svilupparla come se fosse un film. Ecco così che scorrono, ascoltando la canzone, immagini/inquadrature: un ragazzo in autostrada, le luci, l’hotel, strani figuri… La sua scrittura fa sì che ognuno possa vedere la propria versione della storia.
Ian Anderson dei Jethro Tull dice che Hotel California ricorda We Used to Know dei Jethro Tull del 1969.
Non la conoscevo quando ho scritto Hotel California, all’epoca ascoltavo poco i Jethro Tull.
Tu eri il terzo socio della Eagles Ltd, eppure sei sempre stato trattato da Henley e Frey come un dipendente.
Ti dico con sincerità e con il senno di poi che la morte di Glenn, così inaspettata e dolorosa, ha messo tutto sotto una luce diversa. Con lui, Don, Joe e Randy ho vissuto una storia incredibile, fatta di eccessi e successi, di grande creatività e di pause dolorose. È stato Glenn ad invitarmi negli Eagles nel 1974. Non era facile sopravvivere a noi stessi, ai nostri demoni, nei momenti peggiori dovuti anche alla droga e all’alcol e purtroppo sono stati tanti. È un miracolo che sono ancora qui a parlare con te. Abbiamo composto cose straordinarie che sopravvivranno a noi e abbiamo vissuto anche momenti belli, non solo tossici.
Un momento bello che ti viene in mente?
Quando abbiamo ultimato le registrazioni dell’album Hotel California ai Criteria Recording Studios. Abbiamo preso in affitto il 461 Ocean Boulevard a Miami Beach, la casa bianca sulla spiaggia immortalata da Eric Clapton sulla copertina del suo disco chiamato proprio 461 Ocean Boulevard. È stato un bel periodo quello, c’era armonia tra noi, eravamo una famiglia in cui regnavano pace e serenità. A Glenn sarò sempre grato per avermi voluto in questa grande storia chiamata Eagles.
A Glenn hai dedicato Blue Skies.
Nella canzone immagino di dargli un forte abbraccio e un bacio d’addio dicendo: “Ti auguro per sempre cieli blu”.
Se potessi tornare indietro nel tempo, faresti qualcosa per fare pace con lui?
L’ho fatto diverse volte e credimi non per rientrare negli Eagles. Volevo solo cacciare via il rancore perché la rabbia e il rimorso possono trasformarsi in un male che divora. Eravamo una famiglia e in famiglia non si va sempre d’accordo.
Che rapporti hai oggi con Don Henley?
Ci siamo visti occasionalmente ed è stato molto cordiale. Non abbiamo parlato molto, ma è stato bello rivedersi.
Mi dici dei tuoi inizi?
La mia vita è un miracolo, vengo da una famiglia povera, sono cresciuto su una strada sterrata nel profondo sud della Florida. Quando ho iniziato a suonare la chitarra a 10 anni non c’erano Grammy o dischi di platino. Suonavi solo perché amavi farlo e non per la fama o gli applausi. Conservo lo stesso spirito ancora oggi. Non ho bisogno di guadagnare un altro centesimo, amo solo salire sul palco e suonare.
Quando hai capito che volevi essere un musicista?
Quando ho visto le immagini in bianco e nero di Elvis Presley all’Ed Sullivan Show. Sono rimasto folgorato da lui e dalle ragazze che urlavano adoranti. Ho pensato: ecco voglio fare questo. Ho iniziato imparando a suonare le sue canzoni. La tv all’epoca aveva solo tre canali. Sono cresciuto ascoltando la radio. A Gainesville dove sono nato smettevano di trasmettere al tramonto, ma la sera riaccendevo la vecchia radio nella mia stanza e mi sintonizzavo su WLAC Nashville dove scoprivo Little Richard che suonava il piano e faceva rock, Elvis, B.B. King… Durante il giorno ascoltavo musica bianca, la sera quella black che preferivo.
Hai avuto dei chitarristi di riferimento?
Sì, artisti country come Chet Atkins che suonava la chitarra in maniera incredibile. B.B. King, il più grande bluesman. Ci sono molti musicisti che mi hanno influenzato da ragazzo, poi sono arrivato a un punto in cui le mie abilità sono cresciute e questo mi ha permesso di suonare qualsiasi genere: jazz, rock, pop. Questa mia duttilità mi ha portato ad essere richiesto in studio di registrazione come turnista e sideman.
Poi gli Eagles.
Bernie Leadon, mio compagno al liceo, era in procinto di lasciare la band, così subentro io, non prima di aver imparato a suonare la pedal steel e la slide da Duane Allman. Ho imparato anche a suonare il mandolino, non ne avevo mai toccato uno in vita mia.
Ritorno ad Elvis: è vero che avresti dovuto incontrarlo con gli altri Eagles?
Sì, era il 1977, stavamo a Memphis. Randy Meisner, purtroppo scomparso due anni fa, voleva lasciare la band per via del clima tossico che c’era. Joe ed io siamo rimasti tutta la notte svegli, cercando di convincerlo a rimanere. Quella notte avremmo dovuto incontrare Elvis. Una notte dei rimpianti: non solo per non aver conosciuto il Re, ma anche perché non siamo riusciti a convincere Randy a rimanere negli Eagles (sarà sostituito dal bassista Timothy B. Schmit, nda).
Quali sono per te i grandi album?
Elvis, tutti quelli dei Beatles, gli Who, Are You Experienced di Jimi Hendrix, Carlos Santana…. Sono stato a Woodstock, ho visto dal vivo per tre giorni leggende come Jimi Hendrix, Carlos Santana, Grateful Dead, Crosby Stills Nash & Young, Janis Joplin, e così via. Quella musica ha influenzato me e il resto del mondo, forgiato generazioni di artisti. Una golden age irripetibile. Proprio per questo mi lusinga il fatto che alla fine del 1999 la RIAA ha certificato che il nostro Their Greatest Hits (1971-1975) è l’album più venduto del XX secolo negli Stati Uniti. Capisci? Più venduto dei dischi dei miei eroi Who, Jimi Hendrix, Santana … Non ci credo ancora, senza considerare che Hotel California è uno dei dischi più venduti di sempre.
Dicevi che sei stato al Festival di Woodstock, raccontami.
All’epoca vivevo a un’ora da Woodstock. Un amico aveva un vecchio camioncino dell’International Harvester con le due porte dietro che si aprivano. Dentro ci abbiamo messo un materasso, qualche coperta, cuscini, un frigo portatile, un po’ di cibo e siamo arrivati a Bethel un giorno prima che iniziasse il festival. Siamo stati lì dentro, al coperto dalla pioggia ad assistere a quella meraviglia: un’esperienza incredibile. Anni dopo ho suonato a Woodstock un paio di volte. Ora lì c’è un anfiteatro da 6000 posti e un monumento che racconta cosa accadde nell’estate del 1969.
The Vault è una raccolta che ripercorre la tua carriera.
Sì, racchiude vecchie demo ritrovate e ri-registrate. È un disco nato per caso. Ho vissuto a Malibu 29 anni assistendo a frane e scampando a cinque grandi incendi che hanno distrutto le case e gli studi di tanti amici. Uno di loro ha perso tutta la sua collezione di chitarre. Nel 2000 ho deciso di andarmene e di trasferirmi a Los Angeles. Così ho smontato la mia attrezzatura di registrazione, la console, i registratori, il mio inventario di nastri registrati che ho chiuso in scatole. Ho acquistato casa da Seal che aveva uno studio di registrazione più moderno che ho deciso di tenere acquistando nuove apparecchiature all’avanguardia. Tutto il vecchio materiale è rimasto così imballato e conservato in magazzino
Poi cosa è successo?
Quattro anni fa durante il Covid per curiosità sono andato, dopo più di 20 anni, a vedere cosa avevo conservato in magazzino. Ho ritrovato la mia vecchia console, i macchinari e tonnellate di nastri audio a 24 tracce. C’erano idee che avevo composto per gli Eagles, per album solisti, per colonne sonore. In un mobiletto ho ritrovato un centinaio di cassette con registrazioni che andavano dai primi anni ’70 fino al 2000. Ho preso le cassette e ho iniziato a trasferirle in digitale. Mentre ascoltavo i nastri mi dicevo: dannazione, questa è ancora un’ottima idea. Dopo un paio d’ore avevo ritrovato cinque, sei ottime idee di canzoni incompiute.
Risalenti al periodo Eagles?
Molte sì. Quando sono entrato nella band, Bernie Leadon mi ha detto: «Se vuoi scrivere canzoni per gli Eagles, non scrivere testi e neanche la melodia, ma solo basi musicali in forma canzone con un’intro ad effetto, una prima strofa, una seconda, un ritornello, una terza strofa, un altro ritornello, un assolo». Così ho fatto e conservo tante idee figlie di questo consiglio. Quello che scrivevo, dopo averlo copiato su cassette, lo davo a Don e a Glenn. Se a loro piaceva l’idea allora la completavo. Per l’album Hotel California hanno scelto anche la mia Victim of Love. Ne ho scritte altre per One of These Nights, per The Long Run. Avrò composto un centinaio di idee incompiute per gli Eagles. Molte di queste le ho ritrovate. Alcune ora le ho completate e incise.
Come Move On?
Esatto. Move On risale al 1974 ed è una delle prime cose che ho scritto per gli Eagles durante le session di One of These Nights (contenente Visions, l’unico brano della band cantato da Don Felder, nda). Non volevo che il disco suonasse vecchio, nonostante le demo ritrovate e completate avessero tanti anni, così ho provato ad aggiornare il sound. L’unico pezzo che ho lasciato intatto è All the Girls Love to Dance, composto nel 1980: volevo che continuasse a rappresentare quegli anni.
Ora sei in tour con gli Styx di Tommy Shaw e con Kevin Cronin dei REO Speedwagon.
Il Brotherhood of Rock Tour. Siamo grandi amici, condividiamo la musica e la gioia di suonare. Sono tutti musicisti incredibili e soprattutto grandi persone. Il palco e la musica sono la mia vita da quando avevo 10 anni. Sono un uomo fortunato, sono felice quando imbraccio una chitarra.