David Gilmour e i fantasmi di Pompei | Rolling Stone Italia
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David Gilmour e i fantasmi di Pompei

Il cantante e chitarrista racconta il nuovo 'Live at Pompeii', in uscita domani, e spiega perché è tornato nello stesso posto dove i Pink Floyd hanno fatto la storia

David Gilmour e i fantasmi di Pompei

David Gilmour è seduto su un divano all’interno di una sala cinematografica del West End, a Londra. Sembra rilassato, indossa un blazer blu e delle sneakers, ma questa non è una serata come tutte le altre. Tra poche ore il cinema ospiterà la première del suo nuovo film-concerto, Live at Pompeii, racconto delle due serate nell’anfiteatro italiano. Mentre osserva il poster del film, la sua mente viaggia indietro nel tempo, a quando ha suonato per la prima volta lì con i Pink Floyd.

«Non mi ricordo quanto a lungo siamo stati lì, forse più di una settimana», dice, cercando di ricordare i dettagli di quanto è successo 50 anni prima. «Anche questa volta faceva molto caldo, ma l’esperienza è stata diversa, questa volta c’era il pubblico». Fa una pausa. «L’inizio del concerto, quando il sole si nasconde dietro il Vesuvio, è davvero bellissimo». Il concerto era esclusivo, il pubblico composto di poche centinaia di persone: Gilmour ha suonato una selezione di brani estratti dal suo ultimo album, Rattle That Lock, dai classici dei Pink Floyd e da On an Island, tutto accompagnato da un light-show pirotecnico e spettacolare.

«Negli ultimi due anni ho cercato di esibirmi in location particolari», spiega Gilmour parlando dei concerti al Radio City Music Hall e al Chicago Auditorium. «Mi piace che il pubblico possa avere dalla sala emozioni particolari, così da rendere tutto speciale».

Per Gilmour la pressione era tantissima, è tornato a Pompeii dopo averci fatto la storia insieme ai Pink Floyd. È lì che nel 1971 Adrian Maben ha girato il suo film anti-Woodstock, dove i Floyd hanno suonato di fronte a un pubblico di fantasmi. All’epoca era una mossa rivoluzionaria: la band ha suonato gong, slide guitar e sussurrato nei microfoni, proponendo un mini-set con i classici di Meddle e A Saucerful of Secrets.

Quello del 2017 è un film decisamente meno sperimentale: il regista Gavin Elder aveva come unico compito quello di «catturare la magnificenza dell’anfiteatro». «Non gli ho dato indicazioni particolari», dice Gilmour. «A me piace lavorare con chi ha una visione artistica ben definita. Non voglio essere rigido, non so come si faccia un film. Io suono la chitarra, Gavin sa bene come funziona il suo lavoro». E non è stata un’impresa facile: la struttura dell’anfiteatro non è stata modernizzata e non ha mai ospitato un concerto dalla struttura così impressionante. Niente telecamere sul palco, solo una Steadicam (ma sempre in movimento) e un drone che poteva volare solo a distanza di sicurezza. «Alcune riprese sono state fatte a un km di distanza», spiega Gilmour sorridendo.

Il film si apre con lo strumentale 5 A.M., uno degli estratti dall’ultimo Rattle That Lock: «La scelta non è stata casuale», spiega il regista. «Sapevamo a che ora sarebbe iniziato lo show e ci sembrava una combinazione perfetta per le riprese del tramonto». Gilmour ammette di essere salito sul palco un po’ nervoso. «Ho fatto finta di essere tranquillo» dice, «ma ero agitato». Per fortuna si è fatto aiutare da una band incredibile, con musicisti come Chuck Leavell (alle tastiere con i Rolling Stones) a Greg Phillinganes, passando per il trio di coristi Bryan Chambers, Lucita Jules e Louise Clare Marshall, che hanno regalato un momento magnifico con la versione armonizzata di The Great Gig in the Sky, un brano che Gilmour non suonava da dieci anni.

«Louise, durante le prove del tour, mi ha detto che avevano preparato una versione speciale di Great Gig in the Sky. Mi ha chiesto se volessi ascoltarla», ricorda Gilmour. «Gli ho detto che ero molto curioso, e devo dire che è magnifica. Hanno lavorato duramente e sono felice di averla conservata per una serata speciale come quella di Pompei».

David Gilmour - One Of These Days (Live at Pompeii 2016)

C’è solo un pezzo che Gilmour non avrebbe mai inserito in scaletta: Echoes, non gli sembrava giusto suonarla senza Rick Wright, a cui ha dedicato una sezione della scaletta. «Ho scritto The Blue poco prima della sua morte, c’è molto di Rick in quel brano», dice. «La stessa cosa vale per A Boat Lies Waiting e Great Gig in the Sky, abbiamo creato questo momento di tre o quattro canzoni tutto dedicato a lui».

Il tour è finito, e ora Gilmour si sta dedicando alla scrittura di nuovo materiale, probabilmente il seguito di Rattle That Lock. «Sto registrando i brani in modi diversi», dice. «Non so se resteranno così o se il lavoro in studio li cambierà completamente. Credo che l’ossatura sia molto buona. Vedremo cosa succederà, ma non ho intenzione di tornare in tour senza un nuovo album».

La nostra intervista è finita, e ora Gilmour accoglie gli ospiti sul red carpet. Il mix Atmos dà l’illusione di essere davvero lì, nel mezzo del pubblico dell’anfiteatro. «È stato spettacolare», mi dice Beck fuori dal cinema. «Chissà se lo spirito di Pompeii avrà apprezzato. So cosa è successo lì, almeno Gilmour è andato in pace», dice ridendo. La nostra breve conversazione è interrotta proprio dal chitarrista, che accompagna Beck verso l’after party. Guardandolo in faccia, sembra in pace, sia con se stesso che con i fantasmi di Pompei.