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Dani Faiv vuole un mondo iper-colorato

Non fidatevi delle treccine da trapper americano: il ragazzo è un tipo serio, con un passato da breakdancer, un presente nella Machete crew e un futuro saturo di colori sgargianti.
Foto di Moab Villain

Foto di Moab Villain

A guardarlo, Dani Faiv sembra uno di quei trapper americani tipo Tekashi69, quelli che nonostante i capelli colorati sono dei cattivoni. Ma è solo una questione di look.

Parlandoci invece, scopri che Dani è un nerd di La Spezia che però ha ascoltato troppo hip hop americano per trovarsi un lavoro comune come i suoi coevi. Per molti anni ha fatto il cameriere, ma la sua testa è sempre stata altrove. E ora, finalmente, dopo aver mollato la vecchia vita, si è messo proprio su quella testa delle treccine colorate, per far sapere a tutti che è preso bene. Anche perché il suo nuovo Fruit Joint + Gusto è appena uscito e la sua vita nella Machete crew di Salmo non potrebbe andare meglio.

Quindi non ascoltavi i Sangue Misto?
Non ero un fan accanito, più che altro perché ho cominciato ad ascoltare rap americano. Ballavo, facevo anche la breakdance.

C’è una grande tradizione di breakdance a Spezia. Non sei il primo che me ne parla.
Spezia è incredibile. C’è sempre stato un background un po’ esterofilo, quindi era difficile che ascoltassi rap italiano. La prima cosa di rap italiano che ho scoperto, grazie a un amico, è Sotto La Cintura degli OneMic, che comunque è un discone. Di americano invece ascoltavo quella scena dei primi Duemila, quindi Busta Rhymes, Chingy..

Ludacris…
Ludacris, poi avevo la passione per J Dilla, Madlib, tutti quei beatmaker assurdi che erano geni del campionamento.

E Fruit Joint + Gusto è come il precedente Fruit Joint ma con + Gusto, oppure va considerato un disco di inediti?
È qualcosa di nuovo. All’inizio c’era un concept di base che voleva rifarsi a Fruit Joint. Poi però il percorso, la gente che ho conosciuto, i live mi hanno spinto a fare nuove tracce, a capire meglio quello che volevo fare, in che direzione andare. Sono nella Machete da un anno abbondante ora e le cose stanno andando bene.

E prima di Fruit Joint hai fatto solo mixtape?
The Waiter è un vero e proprio album, mentre quello prima, Teoria del contrario, l’abbiamo chiamato soltanto mixtape. Ma in realtà i beat sono tutti inediti. È stata una scelta, perché era un approccio più street, volevamo spaccare con tante tracce singole raggruppate nella stessa raccolta. Non è un album, né un mixtape.

Tra l’altro, non ti ha un po’ stancato questa eterna catalogazione del tuo passato da cameriere?
Beh, non l’ho mai nascosto, tant’è che appunto il titolo di un disco è proprio The Waiter. Ma se mi dici che mi stanno catalogando un po’ troppo come ex cameriere e poco come rapper colorato, allora sì, le cose non vanno bene. Ma chi crea la chiacchiera tende a catalogare, e col pubblico questa cosa si dilata. Ma il concept fisico e d’immagine che volevo passasse è il contrasto. C’è il cameriere di prima, c’è il Dani colorato di ora; c’è il bianco e nero, e ci sono i capelli colorati; ci sono i pezzi felici, c’è che distruggo tutto se rappo cattivo.

Sono extension quelle che hai in testa?
Sì, le ho fatte da una ragazza. È stato un lavoraccio, ci vogliono quattro ore per farle da zero. E poi devo stargli dietro. I capelli così richiedono un bel po’ di manutenzione.

Hai il tono della voce di uno che si è pentito.
Sì.



Eh ma almeno per la promozione del disco li devi tenere, dai.
Vediamo, dai. Li ho fatti per il periodo che stavo vivendo. Il fatto di smettere di lavorare, fare i live, cambiare vita mi ha spinto a esprimere il mio buonumore, anche con i capelli. Sono preso bene. E poi anche la moda ha iniziato a interessarsi di arcobaleni. Guarda Burberry.

E la bandiera della pace e del gay pride?
È tutto insieme, mi riferisco a tutto quello. Felici, presi bene e innamorati. Pace e bene.

E la frutta?
E la frutta è un rimando ai colori, che in questo caso sono anche una metafora. Tanti colori non sono solo perché sono preso bene, ma anche perché io stesso sto dando e scoprendo tanti colori di me stesso, tante sfumature. Trovi Facile che è una canzone triste e malinconica, e poi trovi Xquisa che invece è reggae, è solare.

Ci sono anche un paio di canzoni, tipo Lemon Haze e Gameboy Color, che sono molto anni Sessanta, molto musica leggera italiana come spunto.
Mi piace la musica leggera, poi in generale amo molto il blues e il jazz. L’arte del campionamento è qualcosa che mi ha sempre affascinato. la ricerca del suono un po’ più old ti incentiva di più, anche perché la musica non è solo trap. Non seguo molto l’aspetto produttivo, diciamo che sto molte ore coi producer, esprimo le mie opinioni, dò le direttive, ma non sono un produttore. Nel disco ho avuto la possibilità di lavorare con molti produttori incredibili, tipo Takagi e Ketra, Young Snap, Tha Supreme. E poi quelli storici, Strage e Kanesh. Tante sfumature e tanti colori anche nei produttori. Oltretutto, il pezzo con Takagi e Ketra è quello su cui abbiamo lavorato di più. Abbiamo fatto quattro sessioni e il beat è diventato quello che senti soltanto nell’ultima sessione. le prime tre sessioni era un beat diverso, poi l’abbiamo stravolto ispirandoci a un pezzo reggae vecchissimo.

Vedo molte allusioni anche ai videogiochi.
Sono un patito di videogiochi. A Fortnite gioco veramente bene, tanti mi hanno dato del pro. Se faccio il cecchino sono imbattibile, con la vista al rallentatore tipo Matrix. Mi diverto tantissimo online e nella Machete non sono l’unico.

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