Dandy Bestia: «Siamo stati gli Skiantos nonostante l’eroina» | Rolling Stone Italia
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Dandy Bestia: «Siamo stati gli Skiantos nonostante l’eroina»

Abbiamo parlato col chitarrista di rock demenziale, della critica che non li ha mai capiti (ma Iggy Pop sì), del «genio consapevole» Freak Antoni, degli eccessi, di Dalla, Vasco Rossi, Måneskin e molto altro

Dandy Bestia: «Siamo stati gli Skiantos nonostante l’eroina»

Dandy Bestia degli Skiantos

Foto: press

C’è stato un tempo nel quale una band saliva sul palco e, invece di suonare, si cucinava un piatto di spaghetti. Oppure accadeva che, anticipando l’eventuale reazione negativa del pubblico, cominciasse a lanciare ortaggi sulla platea (scatenando l’immancabile risposta). Addirittura che in diretta su Rai 1, chiamata nell’ambito della raccolta fondi Telethon, decidesse di eseguire un pezzo che si intitola Calpesta il paralitico.

Sono soltanto alcune delle tappe che hanno caratterizzato l’epopea degli Skiantos, che di fatto in Italia hanno inventato il rock demenziale segnando un’epoca e ispirando moltissimi (non solo in musica) arrivati dopo. Una storia a lungo sottovalutata, soprattutto dalla critica, come ci ha spiegato il chitarrista Fabio Testoni, in arte Dandy Bestia, che abbiamo incontrato al Parco Tittoni di Desio prima di salire sul palco. Nonostante sia passato quasi mezzo secolo dall’esordio discografico – il loro primo album è del 1977 – persone di tutte le età affollano ancora i loro concerti e tramandano quel «cocktail di ironia, improvvisazione, poesia quasi surreale, cretinerie, paradossi e colpi di genio» come lo definì Freak Antoni, il frontman e anima del gruppo prematuramente scomparso nel 2014. Ma naturalmente non mancarono gli eccessi, anche personali, che portarono addirittura all’allontanamento di Testoni per alcuni anni: «Ero sempre fatto come un cammello, rompevo i coglioni ed ero aggressivo».

Cresciuti nella Bologna dove tutto era possibile, ancor di più frequentando il Dams e studiando e manifestando convinti che un giorno avrebbe prevalso la “fantasia al potere”, hanno avuto un rapporto disincantato con le droghe per poi accorgersi che, più di una scorciatoia verso la creatività, ha rappresentato un vicolo cieco nel quale in tanti si sono schiantati. Come Andrea Pazienza, più di un semplice fumettista e disegnatore, che il chitarrista ricorda con affetto: «Cercava una questione artistica in quella roba, era convinto che gli servisse. Poi verso la fine mi sembrava che avesse un po’ smesso di crederci, solo che c’era dentro fino al collo». E infatti anche Dandy ammette: «Ho avuto culo a smettere». E ancora il tour con Lucio Dalla, Vasco Rossi come editore, Iggy Pop che li celebra sulla BBC, la musica di oggi che non ascolta («dei Måneskin ricordo solo Zitti e buoni»), Brian Molko dei Placebo denunciato per vilipendio delle istituzioni dopo aver dato della «fascista e razzista» a Giorgia Meloni («a noi ci avrebbero arrestati più volte») e la politica che considera «una recita colossale» che gli fa venire in mente la famosa frase erroneamente attribuita a Mark Twain: se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare.

Fabio è vero che nel ‘65 a soli 13 anni sei scappato di casa per andare a sentire i Beatles a Milano?
Sì e quel pomeriggio, grazie a loro, ho deciso di fare questo mestiere. Siccome all’epoca non c’erano i filmati, ma solo le copertine dei dischi, pensavo che la voce fosse associata alla faccia di Paul McCartney, invece quando li ho visti dal vivo era quella di John Lennon.

Secondo te perché sono stati e sono ancora così importanti?
Perché hanno inventato l’ABC del rock. Senza di loro non si sarebbe potuto proseguire. Hanno voltato pagina rispetto a tutto quello che potevamo ascoltare prima di loro.

E la tua prima chitarra è stata una Fender Mustang?
Esatto, ce l’ho ancora. Ogni tanto la uso, ma di certo non la darò mai via perché me la regalò mia nonna e ci tengo parecchio.

Leggo su Wikipedia che tra le prime orchestre nelle quali ti sei esibito c’è stata quella di Peppino di Capri.
No, in quella non ho mai suonato. Prima facevo i night, poi ho suonato per Orietta Berti, Francesco Guccini, Lucio Dalla, Ron e tanti altri.

Bene, così qualcuno aggiornerà la pagina su Wikipedia. Ma l’incontro che ha segnato la tua vita musicale e personale è stato quello con Freak Antoni. Come avvenne?
Ci ha presentato un amico comune che era in classe con me al Liceo scientifico, Stefano Cavedoni, che poi ha fatto parte degli Skiantos. Freak mi disse che scriveva poesie demenziali e me ne diede due-tre da musicare. Si trovò bene e alla fine è stato un incontro perfetto: io non sapevo scrivere, lui non sapeva suonare, abbiamo unito qualità e mancanze.

Freak come può essere definito in poche parole?
Era un genio consapevole di esserlo. Non a caso ha voluto intitolare un disco Non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti, il che presupponeva che lui lo fosse. E lo era davvero.

Quando hai capito di avere di fronte una personalità speciale?
Quando ho cominciato a leggere con più attenzione i suoi scritti. Ho capito che dietro lo sberleffo e il gioco c’erano dei ragionamenti molto seri. Quindi ho capito che era diverso da tutti. Poi era anche un pazzoide, faceva dei numeri che erano difficili da prevedere.

Spesso siete definiti pionieri del punk in Italia, ma in generale hai sempre preferito considerare gli Skiantos una band hard rock.
Abbiamo usato il punk in alcuni pezzi, soprattutto nei primi due dischi. Poi poca roba. In generale abbiamo fatto rock duro. Una strada scelta per il contrasto tra musica aggressiva e il gioco palese che era nelle parole. I punk si prendevano sul serio con lo slogan “destroy”, noi no. Sugli stessi argomenti noi giocavamo. Infatti è più facile trovare analogie nei nostri testi con quelli di Buscaglione, Carosone o Natalino Otto rispetto a quelli dei Sex Pistols.

Siete stati sottovalutati dalla critica?
Molto! Anzi, la critica non si è proprio occupata di noi in generale. Tranne rare occasioni dove ci hanno dedicato recensioni molto buone. Persino da Riccardo Bertoncelli, diventato famoso per L’avvelenata di Guccini, che ci ha trattato bene.

C’è mai stata una critica che vi ha fatto male?
No, perché le cose che secondo i critici dovevano colpirci e farci del male erano delle stronzate sulle quali non ci siamo mai presi la briga di preoccuparci.

L’anno scorso vi è arrivato forse il riconoscimento più bello e inaspettato, quello di Iggy Pop che durante il suo programma radiofonico in onda sulla BBC ha mandato in onda la vostra Eptadone dicendo: «Questa è una canzone pazzesca, secondo me, questa le batterà tutte… Questi sono gli Skiantos…».
Freak avrebbe risposto «era ora». Abbiamo cominciato nel ’77, se ne è accorto 40 anni dopo. Meglio tardi che mai. Gli abbiamo fatto arrivare qualche disco nostro e i ringraziamenti. C’era stato un contatto con lui, ma poi non si è più fatto vivo. Avrà avuto altro da fare.

I vostri live sono ricordati anche per le provocazioni, dagli spaghetti cucinati sul palco al lancio di ortaggi preventivo al pubblico. C’è mai stato un momento in cui avete pensato di essere andati troppo oltre?
Ce ne siamo accorti quasi subito perché ai nostri lanci di verdura, cioè oggetti non contundenti, la gente ha cominciato a rispondere con oggetti contundenti. E anche contro un dente, visto che sono stato colpito varie volte e anche Freak. Era una provocazione dadaista e futurista. Non siamo stati i primi, ma studiavamo al Dams e quindi i riferimenti erano quelli.

Foto per gentile concessione dell’artista

Già in passato hai detto che con Freak abbiamo perso prematuramente un grande uomo di spettacolo, non solo il frontman di una band.
Oltre che un grandissimo cantante rock, ascoltando i dischi potete accorgervi che arrivava altissimo e con la voce faceva quello che voleva, aveva una capacità incredibile di tenere incollate le persone di fronte a lui. Poteva parlare per mezz’ora senza cantare nulla e la gente pendeva dalle sue labbra. Era uno showman del calibro di Enzo Jannacci e Giorgio Gaber.

Quanto hanno influito gli eccessi nel vostro percorso artistico?
Purtroppo sono contati parecchio. Io ho avuto il culo di smettere, Freak no.

Non basta volerlo, bisogna essere anche fortunati?
Eh sì, io quando ho deciso di smettere ce l’ho fatta, ma ci vuole anche un po’ di culo. Freak invece usava dei palliativi. Ma è inutile passare dall’eroina al metadone, che forse è peggio.

Venite anche da una generazione che ha avuto un rapporto “disincantato” con le droghe.
In generale si comincia sempre per curiosità e perché convinti di poterla guidare, ma ben presto la realtà ti fa capire che non è così che funziona.

Per anni si è pensato, e forse ancora qualcuno lo crede, che certe droghe potessero essere utili al processo creativo.
Questa è una cazzata orrenda. Anzi, si può dire che noi Skiantos abbiamo fatto quello che abbiamo fatto nonostante l’eroina.

C’entrano gli eccessi se dopo due album ti cacciarono dalla band?
Sì, ero sempre fatto come un cammello, rompevo i coglioni ed ero aggressivo.

E com’è che vi siete riavvicinati?
Ci siamo rincontrati a Bologna e ci siamo detti «perché non ci riproviamo?».

Anche se i litigi, fra te e Freak, hai detto che non sono mancati nemmeno dopo.
Abbiamo litigato tutta la vita, com’è normale in ogni gruppo. Vorrei vedere quante volte hanno litigato Mick Jagger e Keith Richards.

Un altro grande artista, che era vostro amico, ha avuto una vita molto più breve a causa dell’eroina. Parlo di Andrea Pazienza.
Andrea era uno che si faceva più per esperimento, che per altro. Cercava sul serio una questione artistica in quella roba. Era convinto che gli servisse. Poi verso la fine, penso avesse un po’ smesso di crederci, solo che c’era dentro fino al collo. Ma ha anche aavuto una vita sentimentale complicata.

Come mai?
Era molto bello e piaceva tantissimo alle donne. E invece si è trovato il tradimento in casa e questo lo ha fatto molto soffrire.

Un altro grande della musica che hai accompagnato in tour con la tua chitarra è Lucio Dalla.
Un genio anche lui. Le sue doti canore sono al di là del normale. Un istrione, grandissimo cantante che in più scriveva da Dio. Come fa uno così a non avere successo?

Un po’ come Vasco Rossi, altro gigante che vi volle come gruppo spalla nel ’90.
È qualche anno che non lo sento, ma allora era un tipo molto in gamba. Mi piaceva.

Cos’è che lo rende unico secondo te?
Che ha saputo rivolgersi prima di tutto alle donne.

La musica di oggi la ascolti?
A dire la verità mi informo poco, soprattutto del mainstream. Ascolto molta musica classica o jazz-rock.

Neanche Sanremo?
Saranno 15 anni che non lo guardo.

Eppure a un certo punto avete provato a partecipare.
Sì, solo che ci hanno detto di no. Il direttore artistico era Gianni Ravera.

Rap e trap?
Qualcosina l’ho sentito, in particolare gli americani Beastie Boys. Fra gli italiani Frankie HI-NRG. Uscendo dal rap ho apprezzato molto la triade romana Silvestri, Fabi, Gazzè. Ma io non saprei fare il cantautore, ho bisogno di chi scrive i testi ed è dura sostituire Freak.

SKIANTOS Eptadone (official videoclip)

Neanche il fenomeno Måneskin ti ha incuriosito?
Insomma… Però fanno del rock e che una band italiana vada così bene all’estero può solo far piacere. Non ricordo un altro pezzo oltre a Zitti e buoni, ma chi li considera una cover band esagera nel criticarli.

I vostri eredi sono sempre gli Elio e le Storie Tese?
Sono venuti dopo, quindi per forza sono i nostri “figli”, o “aborti” come diceva Freak. Anche il nome del loro gruppo viene da un nostro pezzo. Ma loro sono bravissimi. La rivalità del passato l’abbiamo alimentata per far parlare i giornali. Come ha poi detto Elio sul palco nel 2003 al Parco Nord di Bologna: «Ammettiamo pure che tutta la querelle precedente sui giornali era totalmente falsa, ma adesso che ci siamo conosciuti possiamo dire che ci stiamo sul cazzo davvero». Noi abbiamo avuto un pubblico più circoscritto, ma molto fedele. E alla fine è andata bene a tutti.

Hai sentito che Brian Molko è stato denunciato per vilipendio delle istituzioni dopo aver definito Giorgia Meloni «fascista, razzista, nazista»?
A noi ci avrebbero dovuto arrestare più volte e anni fa correvano il rischio di farlo con troppa gente.

Credi che l’Italia sia diventata meno tollerante?
Credo che la destra abbia ritirato fuori tutti i suoi valori sintetizzati in “Dio, Patria, Famiglia” per fare presa sulla gente, ma non funzionano più. Chi li ha votati lo ha fatto per altre questioni. Sulla famiglia parlano ma non ce n’è uno che ne abbia una “tradizionale”.

E la sinistra?
La vedo molto imbelle. Forse il salario minimo è un argomento sul quale può lottare.

Hai dichiarato di aver votato Giuseppe Conte del M5s, ti sei pentito?
No no, per quello che ha fatto gli ho dato il voto coscientemente e volentieri.

Tu che hai conosciuto gli anni di piombo, definiti da Freak anni di pongo, dove per la politica si arrivava a gesti di estrema violenza, come vivi l’indifferenza di oggi?
Adesso ho 71 anni, non mi metto più a fare a botte per le idee. Ma credo che la politica sia una recita colossale. Quando ci penso mi viene in mente questa frase attribuita erroneamente a Mark Twain: «Se votare facesse qualche differenza, non ce lo lascerebbero fare».

Anche la tua Bologna non è più la stessa?
Come tutte le grosse città italiane è diventata una delle più care, bisogna avere soldi per viverci. Gli studenti che vanno in piazza a protestare in tenda hanno ragione. E non dimentichiamo che se dovessero diminuire sarebbe un disastro dal punto di vista economico.

Freak nell’ultima fase della sua vita si era avvicinato al mistico Osho, dichiarando che «la morte va accolta danzando». Sei anche tu su questa via spirituale?
Io non la accoglierei. Sarò banalotto, ma non voglio proprio morire.

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