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Da Marracash a tha Supreme, la classifica dei singoli è ostaggio dell’hip hop

Com’è già successo con Salmo e Sfera Ebbasta, nell’ultima classifica dei singoli 16 posizioni su 20 sono occupate dal giovane tha Supreme. Enzo Mazza, CEO di FIMI, spiega perché il rap vince facile su Spotify

Foto press

Rieccoci. Esce un album di hip hop italiano particolarmente atteso, e la classifica dei singoli sparisce, andando quasi a coincidere con quell’album. Da due anni, da quando la FIMI tiene conto degli ascolti in streaming (a pagamento) è successo con Sfera Ebbasta, Gué Pequeno, Salmo, Marracash, con gli album “a inviti” della Machete e Night Skinny. E ora, subito dopo l’exploit di Marracash, che ha portato in top 10 nove brani di Persona, è successo a tha Supreme, il cui album di debutto vede tracce al n.1, 3, 4, 6, 8, 9, 10. Fanno sette brani in top 10 (più uno con Marracash), nonché 16 presenze in top 20. Ci si torna quindi a chiedere quanto valga una classifica che pare ostaggio dei big dell’hip hop. Perché per quanto diversi siano tra loro i nomi su elencati, la facoltà di sbancare le charts non si estende ai pesi massimi del pop italiano, nemmeno a quelli che spopolano nel pubblico tra i 16 e i 24 anni – da Ultimo a Benji & Fede, da Irama ai Maneskin (che sono stati i più vicini a questo risultato: quattro pezzi in top 10 contemporaneamente).

Peraltro l’Italia è il Paese dove questa circostanza si sta verificando più spesso, come se nella penisola l’hip hop fosse in una posizione di dominio assoluto e feroce tipo la Juventus nella serie A (e chi scrive non fa questo paragone a cuor leggero). Sia chiaro, non è un dissing all’hip hop in quanto tale – perché poi è un attimo, offendere i discepoli di questa musica 40enne che si vuole sempre supergiovane (proprio come il rock prima di crollare, toh). Il punto è che la classifica ci dà una temperatura percepita che dipende da come è stato costruito il barometro. Fuori dalla top 20 succedono anche altre cose: stadi e palazzetti si riempiono più facilmente per il pop e il rock che non per i rapper. Su YouTube (per ora esclusa dai conteggi) i numeri più grossi li fanno hitmaker come Boomdabash, J-Ax, Takagi & Ketra, Fred De Palma, che abbinano ritmo e video piacioni. Alla radio, che cerca di svecchiarsi con vistose dosi di hip hop e trap (questa settimana secondo EarOne tra i 20 più trasmessi ci sono Rocco Hunt, Marracash, Danti, Mahmood, Achille Lauro) i generi risultano in equilibrio. Invece le classifiche sono alla mercé dell’hip hop. Non è che c’è qualcosa che non va? Lo chiediamo a Enzo Mazza, CEO della Federazione Italiana delle Industrie Musicali, quella FIMI che ogni settimana si occupa delle charts della musica più venduta – o forse ormai sarebbe meglio dire “più ascoltata”.

L’hip hop brutalizza le classifiche dei singoli. Alla FIMI ve ne sarete accorti.
Sì, è un fenomeno di cui siamo consapevoli. Ma quello degli album che “invadono” le charts non è un problema solo italiano, tant’è che dopo che Ed Sheeran ha ottenuto questo tipo di risultato, nel Regno Unito è stato deciso di limitare a tre i brani di uno stesso disco che possono entrare in classifica. Noi stessi, dopo aver preceduto gli altri Paesi sull’eliminazione degli ascolti free, abbiamo messo un tipo di limitazione, ed è il tetto massimo di dieci ascolti giornalieri.

Ma da noi a Ed Sheeran o al pop non è ancora capitato. Come mai solo all’hip hop?
L’hip hop ha una penetrazione fortissima tra i ragazzi di 16-24 anni, e quello che sappiamo in base alle nostre ricerche è che chi ascolta questo genere lo fa in modo più ripetitivo, i ragazzi hanno playlist da 10 brani in loop parecchie volte in un giorno, sono meno inclini alla varietà. Ma alla fine gli ascolti dei brani hip hop sono reali, e non possiamo non premiarli, non sarebbe trasparente: i brani degli altri artisti partono con le stesse condizioni.

Le prime 10 posizioni dell’ultima classifica settimanale FIMI

Non è che le piattaforme di streaming, Spotify in testa, sono orientate per favorire gli artisti hip hop rispetto agli altri?
Noi non possiamo discutere la politica delle playlist, le piattaforme giustamente sono autonome come lo sono sempre stati i negozi e le radio o Mtv: ognuno decide le sue strategie e se qualcuno spinge certi generi, ha fatto le sue valutazioni. Di tha Supreme sapevamo che avrebbe avuto questo impatto, si era capito durante le presentazioni dell’album. Ma è anche vero che proprio Spotify ha promosso Lucio Battisti anche per avvicinare una fetta di adulti, e abbiamo visto che la risposta c’è stata. Certo Battisti non viene ascoltato in modo compulsivo, gli adulti non hanno questa abitudine.

Magari lo facevano ai loro tempi col 45 giri. Che però, anche ascoltati cento volte al giorno, valevano una copia venduta.
Ogni epoca ha le sue modalità. Qualcuno accusa: “FIMI ha sposato lo streaming!” – ma è come dire “Le strade hanno sposato le automobili e dimenticato i cavalli!”. Sono i consumatori che hanno scelto lo streaming, che oggi è 67% del mercato, mentre il CD è al 27% e il download è al 6%. Poi è chiaro che ci sono altri consumi, e i nostri dati dicono che la porzione di adulti è quella che sta crescendo di più e forse la cosa riequilibrerà il settore insieme ad altre opzioni tecnologiche o l’ingresso di altri player. Amazon per esempio dovrebbe avere un ascolto più adulto. L’aumento di ascolti in generale tenderà a riassorbire questo squilibrio.

A proposito di squilibri, in passato le fortune di Elvis o dei Beatles, dei Duran Duran o dei Take That, insomma del pop e del rock si erano rette sull’approvazione del pubblico femminile. Anche ammettendo che molte ragazze amino il machismo del rap italiano, le classifiche sembrano rispecchiare gusti poco internazionali ma soprattutto molto maschili.
Lo abbiamo notato ma i dati ci dicono che Spotify è utilizzato in modo paritario tra maschi e femmine, siamo in una proporzione 51-49. Anche qui mi sento di attribuire la circostanza alle abitudini degli ascoltatori del rap. Però, pensando soprattutto alle classifiche di fine anno e alle certificazioni di alcuni nomi nuovi dell’indie-pop come Coez o Thegiornalisti, l’età media degli artisti di successo si è abbassata. Finalmente abbiamo creato una nuova generazione di artisti dopo una fase in cui per anni sono stati gli over 50 a dominare le vendite: il ricambio generazionale che tutti auspicavano c’è stato, nell’hip hop, nel pop e anche tra i cantautori. Forse c’è una sproporzione che ci dice che questo ricambio va un po’ governato, ma sempre tenendo conto che questi consumi sono reali.

Quindi per il momento non ritenete di fare dei cambiamenti nelle misurazioni?
Per il momento no ma non c’è nessuna rigidità preconcetta, siamo disponibili a cambiare per rendere i nostri strumenti sempre più attendibili. Tant’è che sicuramente, parlando di singoli faremo un adeguamento sui livelli di certificazione: ormai le soglie del disco d’oro sono troppo basse, e anche questo dimostra che il mercato è in crescita.

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