Cyndi Lauper & Gracie Abrams: le ragazze vogliono solo ribellarsi
Una ha musicato gli anni ’80, l’altra il cuore fragile della Gen Z. Le abbiamo fatte incontrare per parlare di connessione col pubblico, creatività e della necessità di scrivere la propria storia
Foto: Victoria Will per Rolling Stone US
Quarantadue anni fa Cyndi Lauper diceva al mondo che le ragazze vogliono solo divertirsi. Oggi è seduta in uno studio di Brooklyn con Gracie Abrams e stanno facendo proprio quello. Muovono la testa a ritmo di The Last Chance Texaco di Rickie Lee Jones e chiacchierano come se si conoscessero da anni, anche se si sono appena incontrate.
Lauper dice che la ballata di Abrams più amata dai fan, Death Wish, le ricorda Rickie Lee Jones. Prima di oggi, Abrams non aveva mai sentito The Last Chance Texaco. «Non riesco a credere di non averla mai ascoltata prima, non riesco a credere che me l’abbia fatta scoprire tu», dice Abrams. «Ti fa venire voglia di scrivere, quella canzone, di superare tutto ciò che hai fatto prima».
Abrams è cresciuta ascoltando a casa il synth pop di Lauper, che era una delle preferite di sua madre. Le due cantautrici stanno per dare il via a nuovi capitoli delle rispettive carriere: Lauper ha da poco chiuso le 69 date del tour d’addio di 69 ed entrerà nella Rock and Roll Hall of Fame in autunno (oltre ad aver appena annunciato una residency a Las Vegas per la prossima primavera), Abrams si è da poco messa alle spalle quattro anni di concerti, tra cui l’apertura dell’Eras Tour di Taylor Swift nel 2023 e diverse serate al Madison Square Garden di New York. Due nomination ai Grammy e una hit dopo, è ormai una popstar e sta pianificando la sua prossima mossa.
Le abbiamo fatte incontrare e per un’ora e mezza si sono raccontate, hanno scoperto affinità e parlato di come hanno superato timidezza e blocco creativo.
Cyndi Lauper: Quando ho ascoltato I Know It Won’t Work, mi sono messa a piangere.
Gracie Abrams: Cosa? Non dirmelo. Non posso credere che tu abbia ascoltato la mia musica.
Lauper: L’ho ascoltata tutta.
Abrams: Solo il fatto di essere cresciuta con la tua voce in casa…
Lauper: Sono rumorosa, lo so. Scusa.
Abrams: Rumorosa, grazie a Dio. Quando la tua musica riempiva la stanza c’era una sorta di potenza nell’aria. Ed è buffa questa cosa, non ti conoscevo di persona prima di oggi, ma poter osservare da vicino, anche solo per dieci minuti, come funziona la tua testa è bello. Hai avuto la carriera che hai avuto perché sei sempre stata tu a prendere tutte le decisioni.
Lauper: Ho dovuto lottare. Sono una tosta.
Abrams: E io ti ringrazio. È tutto radicalmente diverso adesso, ma crescendo ho guardato a tutto ciò che hai fatto… cazzo. L’ho apprezzato prima ancora di capirne il senso. Capisci cosa intendo? Più cresci come donna, più ne cogli il significato.
Lauper: Sei dolce. Mi piace il ritmo di quello che fai nelle tue canzoni, quel modo di parlare veloce.
Abrams: Grazie. Mi piace incastrare le parole.
Lauper: Sto ancora imparando. A volte scrivi qualcosa e pensi: wow, guarda che abbiamo fatto, è geniale! Il giorno dopo la riascolti e: «Ma che diavolo stavo pensando?». È sempre così, ma non è forse questo il bello?
Abrams: Ti è mai capitato di pensare che non saresti più riuscita a scrivere una canzone?
Lauper: Sempre. «Faccio schifo! Lo so che faccio schifo!». E poi mi dico: «Ok, tira fuori tutta la roba che fa schifo e vai avanti. Dai. Sono tre o quattro accordi, quanto potrà andare male? Troverai la cosa giusta». Voglio ancora imparare a suonare sul serio il pianoforte. Anche solo le canzoni di Natale, ma voglio poter mettere le mani sui tasti senza perdere il filo. Ci sto provando. Riesco a fare tutti i miei esercizi vocali al piano.
Abrams: Ma non gli accordi?
Lauper: Ogni volta che ci provo, mi viene da chiedermi dove diavolo stava quell’accordo…
Abrams: Questa cosa mi affascina.
Lauper: Senti, io non riesco nemmeno a leggere un libro senza mettere un foglio bianco sotto ogni riga. Non so se è perché mi hanno tirato troppe volte il cancellino in testa a scuola. Non ne ho idea. Andavo in un istituto cattolico, ma avevamo qualche divergenza politica, mi hanno chiesto di andarmene.
Abrams: Ti hanno chiesto di andartene?
Lauper: Due volte: una in terza e una in quarta.
Abrams: Perché parlavi troppo?
Lauper: Oh no, no. Perché rispondevo.

Foto: Victoria Will per Rolling Stone US
Abrams: Probabilmente non volevano sentire che avevi ragione. «Non infettare le menti degli altri…». Come ti senti ora che non sei più in tour? Anche noi abbiamo finito una settimana fa, dopo praticamente quattro anni di fila.
Lauper: La prima volta è un po’ uno shock, vero?
Abrams: Tutto è uno shock. La cosa più importante che ho capito dal tour, soprattutto nell’ultimo anno, perché ero un po’ esistenzialista dopo le elezioni e tutto sembrava andare male, è che il modo migliore di usare il tempo che ho su questo pianeta sono quelle due ore a sera in cui la gente può venire e trovarsi in un posto dove, almeno, può stare tra sconosciuti che esprimono qualcosa a voce alta. E ormai succede di rado.
Lauper: È una comunità. Ed è lì che vinciamo come esseri umani. Qual è stata la prima canzone che hai scritto?
Abrams: La prima era su un diario che avevo perso e che contava più di qualsiasi altra cosa per me. Parlava del sentirmi profondamente delusa dalla mia mancanza di responsabilità verso qualcosa di così importante. Una perdita.
Lauper: Quanti anni avevi?
Abrams: Tipo 8.
Lauper: Eh, ok. Voglio dire…
Abrams: (Ride) Intendi una canzone seria?
Lauper: Quando sei diventata Gracie Abrams.
Abrams: Le canzoni che scrivevo a casa avevano tutte lo stesso tema: sentirmi un po’ bloccata e non sapere come dirlo agli altri. Mi sentivo meglio se non lo dicevo a nessuno, ma scrivevo, scrivevo, scrivevo. E molte delle canzoni che mi attiravano da piccola avevano dentro sempre una sorta di tensione legata a un luogo. Se ha senso, River di Joni Mitchell è un grande esempio, una stella polare per il modo in cui esprime la disperazione di voler arrivare da qualche parte. Quelle sono le prime canzoni che mi hanno fatto venire voglia di scrivere. Ma oggi, psicologicamente, sono in un momento interessante. Sentirti parlare del senso stesso dello scrivere e del riflettere sul mondo in cui viviamo mi fa sentire più chiamata che mai a farlo. È di questo che sto scrivendo adesso.
«Ho dovuto lottare, sono una tosta»
Cyndi Lauper
Lauper: Sto cercando di scrivere una canzone per qualcuno, e sono frustrata. Per me, il momento migliore è sempre una specie di trance pacifica.
Abrams: Sì. Per me Death Wish sia un buon esempio. Non ricordo nemmeno di averla scritta. È una di quelle volte in cui la canzone è lì, finita. Quasi come fosse uscita dal nulla. È quasi come se avessi un blackout, poi torni e la canzone c’è. È assurdo. Amo quella sensazione. È una droga.
Lauper: Un po’ addictive, sì.
Abrams: E quando passa del tempo, entro sempre nel solito ciclo. E penso: non riuscirò mai più a tornare lì.
Lauper: Ti senti sempre così.
Abrams: Esatto.
Lauper: Quindi tuo padre era un artista e tua madre una fan di Cyndi.
Abrams: (Ride) Già, quella è tutta la mia identità. Ma ero molto riservata sul fatto che suonassi.
Lauper: Non ti esibivi per i tuoi genitori?
Abrams: No, mai. Non volevo avere niente a che fare con quella cosa. Se suonavo o cantavo qualcosa che avevo scritto il mio corpo si bloccava. Appena sentivo qualcuno passare, smettevo. Perché mi sembrava l’opposto di ciò che ora so essere potente: l’invito a connettersi a qualcosa. Ovviamente non la pensavo così allora. Era egoismo puro, pensavo: qualcosa che mi fa stare meglio. Mi aiuta a elaborare quello che ho in testa. Ma non è per nessun altro.
Lauper: Wow. E ora sei una performer.
Abrams: Superare quella cosa è stato interessante. E è stato spaventoso, ma mi è piaciuto scoprire che avevo torto. Non avevo mai suonato live prima del Covid. Dopo la pandemia ho fatto il mio primo concerto, e la notte prima non ho dormito: ho passato tutta la notte a vomitare dall’ansia, dalla paura. E poi, subito, mi sono resa conto che…
Lauper: …che è divertente.
Abrams: È divertente. Ti riempie, sapere che gli altri si stanno divertendo.

Foto: Victoria Will per Rolling Stone US
Lauper: Dove ti sei esibita?
Abrams: A Orange County in California, all’Observatory. C’erano tipo 100 persone. Minuscolo.
Lauper: Ma l’Observatory è figo. Cosa indossavi?
Abrams: Un vestito grigio, Converse blu, non mi ero nemmeno pettinata…
Lauper: Era tipo un grande vaffanculo?
Abrams: Credo fossi così paralizzata dalla paura da non aver pensato a tutto il resto.
Lauper: Oh, eri un po’ grunge. Hai fatto una roba grunge.
Abrams: Immagino di sì. Non credo di averlo fatto consapevolmente. Ho solo pensato: cosa metto ogni giorno?
Lauper: Grigio, come una tuta spaziale.
Abrams: Mi piace questa interpretazione. Dirò a tutti che era quello che intendevo.
Lauper: Eh, chissenefrega. Qual è stato il tuo primo successo?
Abrams: Ho una canzone (That’s So True) che forse rientra in quella categoria. L’ho scritta con la mia amica Audrey [Hobert], una penna brillantissima.
Lauper: L’ho vista con te sul palco.
Abrams: Ma è una canzone che, per noi, nel momento in cui la scrivevamo, sembrava quasi uno scherzo. Ci faceva morire dal ridere. Lavorare con lei è stata una sorpresa anche per la nostra amicizia, non pensavamo l’avremmo mai fatto. È successo e basta.… Quando non scrivi o non sei in tour, cosa fai?
Lauper: Pulisco casa. E mentre pulisco, mi vengono un sacco di idee. Non so perché.
Abrams: Forse perché sei in movimento.
Lauper: Mia madre diceva sempre: «Per favore, metti in ordine la stanza». E io mi sedevo e suonavo la chitarra. Avevo le foto dei Beatles dappertutto, uno per parete.… I miei insegnanti dicevano che bisogna disegnare almeno un’ora al giorno. È interessante sentire come ognuno lavora in modo diverso.
Abrams: Hai detto che stai scrivendo una canzone per qualcuno. Come funziona?
Lauper: Ultimamente sto scrivendo roba per i musical, e in un certo senso è più facile ma anche più difficile, perché non sarà mai la tua voce. Devi capire qual è la loro, che registro hanno, e far sembrare che la canzone sia uscita dalla loro testa. Kinky Boots era diverso.
Abrams: Quanto ci hai messo?
Lauper: Ho cominciato nel 2008 e ha debuttato nel 2013. È stato veloce. Sono dietro a questo nuovo progetto da almeno dieci anni. Ma ne vale la pena, perché è interessante scavare nella storia, capire dove siamo oggi. È l’adattamento musicale di Working Girl.
Abrams: Sarà incredibile quando uscirà.
Lauper: Spero. Ora va in scena a La Jolla in California, vedremo. Quello che funziona a La Jolla magari non funziona a New York, ma almeno puoi testarlo.
Abrams: Vero.
«Sono sempre più grata di essere cresciuta in una casa dove si ascoltava Cyndi»
Gracie Abrams
Lauper: Andrà bene. Continuerò a lavorarci finché non sarà giusto. Ma senti, sono affascinata da quello che dici. Mi avevano detto che volevi parlarmi. Quando ho ascoltato il tuo lavoro, ho pensato che fosse davvero interessante.
Abrams: Ero veramente oltre la felicità…
Lauper: Beh, tua madre ti ha torturata con la mia musica, quindi…
Abrams: Per fortuna!
Lauper: È una cosa che si tramanda. Lo so.
Abrams: Ed è proprio questo che le dà valore. Più cresco, più sono grata di essere stata cresciuta in una casa dove si ascoltava la tua musica. Ora, da adulta, posso applicare le tue canzoni alle mie esperienze personali. Credo che il motivo per cui mia madre fosse così attratta dalla tua musica fosse che aveva una vita piena di momenti che tu avevi accompagnato.
Lauper: Mi sorprende che tu non ballassi in giro per casa.
Abrams: Ero molto timida. Lo sono ancora, in parte (ride). Ma sento che l’orizzonte si è allargato, sto imparando
Lauper: Sei stata in tour per quattro anni. Santo cielo.
Abrams: Ora che il ciclo dell’album è finito e il prossimo non è ancora nato, non so ancora cosa voglio dire. Mi sento un po’…
Lauper: Beh, fai un respiro.

Foto: Victoria Will per Rolling Stone US
Abrams: È pazzesco sentirti parlare del tuo modo di approcciarti a tutto ciò che fai. C’è convinzione in ogni cosa. Significa qualcosa da dire, non solo fare rumore per il gusto di farlo.
Lauper: Ma tu non fai solo rumore.
Abrams: Spero di no.
Lauper: No, davvero. Hai parlato di una canzone in cui avevi prima la musica e poi la voce: la ripetizione e il ritmo delle parole: è difficilissimo, ma fantastico.
Abrams: Grazie.
Lauper: Hai tutta la vita davanti. Sarà bellissimo. Ce la farai. Scriverai la tua storia.
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Cyndi Styling: Nikki Fontanella
Hair: Jutta Weiss
Makeup: Nafra Gonzalez
Gracie Styling: Spencer Singer per SN37
Hair: Bobby Eliot at The Wall Group
Makeup: Emily Cheng at The Wall Group
Digital Technician: Dustin Betterly
Photographic Assistance: Tim Young e Nick Thomsen
Video Director of Photography: Will Chilton
Camera Operators: Haley Snyder, Sophie Power, Alex Cantatore
Editor: Graham Mooney
Audio Engineer: Gabe Quiroga
VFX: Miguel Fernandes
Location: The 1896 Studios & Stages












