Cristiano De André: «Dopo il docufilm vorrei dar vita ai Notturni di mio padre» | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Cristiano De André: «Dopo il docufilm vorrei dar vita ai Notturni di mio padre»

Il potere, l’anarchia, i movimenti in cui spira il vento «a cui avete fatto solo perdere tempo», la Sardegna, il concertone che Wim Wenders vorrebbe organizzare e un sogno: «Tornare a suonare con papà»

Cristiano De André: «Dopo il docufilm vorrei dar vita ai Notturni di mio padre»

Fabrizio e Cristiano De André in Sardegna nel 1978

Foto: Angelo Deligio/Mondadori Portfolio

Nei giorni di proiezioni al cinema, il 25-26-27 ottobre scorsi, il docufilm DeAndré#DeAndré. Storia di un impiegato ha fluttuato stabilmente fra il secondo e il terzo posto del box office davanti a produzioni internazionali. Questo rende l’idea di quanto sia ancora forte la passione del pubblico per le canzoni e il pensiero di Fabrizio De André: non solo un cantautore, ma uno dei più grandi poeti del Novecento italiano.

La pellicola, della regista Roberta Lena, ha riproposto per immagini lo storico tour durato due anni tratto dal concept album Storia di un impiegato, scritto nel 1973 in collaborazione con Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani. Il film racconta le lotte sociali e gli ideali dell’epoca, così come memorie familiari e filmati inediti, il tutto filtrato dagli occhi del figlio che ha deciso di perpetuarne lo spirito. Cristiano De André, infatti, non è solo il custode della musica di un padre-genio, ma anche della sua propensione a sfuggire alle leggi del mercato, agli schemi imposti dalle mode e di sua critica al potere. Lo abbiamo incontrato e, tra lo stupore per l’attualità di certi temi, i ricordi di quando sul terrazzo in Sardegna gli insegnava a guardare il passato attraverso le stelle e la possibilità di lavorare a suoi inediti Notturni con Mauro Pagani e Ivano Fossati, ci ha spiegato che i progetti per tenere fede alla profezia di Fernanda Pivano non sono ancora conclusi: «Si diceva che Fabrizio fosse il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano?».

Rivedendo al cinema DeAndré#DeAndré. Storia di un impiegato c’è qualcosa che ti ha stupito di nuovo?
Vedere il film sul grande schermo alla mostra del cinema di Venezia è stata una grande emozione. Quello che mi stupisce sempre, è la straordinaria attualità di questo disco del ’73, il desiderio della gente di opporsi al potere, oggi come allora. È rinfrancante vedere ancora il sogno e la realtà di un cambiamento, la forza e la determinazione con cui certi Paesi, dove il benessere esiste solo per pochi, si ribellano all’autorità che li opprime.

DEANDRÉ#DEANDRÉ. STORIA DI UN IMPIEGATO al cinema il 25, 26, 27 ottobre

Rispetto ad allora, nella società di oggi il potere che forma ha assunto?
Il potere è in continua trasformazione, indossa maschere diverse e cambia continuamente forma, ma nella sua essenza rimane sempre lo stesso. Nella società odierna si muove subdolamente attraverso mezzi di informazione, social, insinuando la paura nelle persone, il senso di inadeguatezza nei confronti di una società omologata a canoni dettati dal potere stesso. Questa insofferenza e paura si trasforma in intolleranza e odio verso il diverso, verso chi non la pensa come noi. Il potere si nutre delle nostre angosce, delle nostre insicurezze, per accrescere la sua autorità. Ogni rapporto sociale è un rapporto di potere, scriveva Foucault.

È ciò che ti indigna di più?
Penso che sia il bisogno di potere l’origine di tutto. Da quello scaturiscono le guerre, le oppressioni. Tutto ruota attorno al potere. Per alcuni diventa un desiderio implacabile di sopraffazione, di abuso, finalizzato solo all’accrescimento del potere stesso. Il potere conduce ai sentimenti più infimi del genere umano. Credo sia sempre stato e continui ad essere la trappola più pericolosa che esiste. Insieme, forse, anche a una certa inerzia del cuore, l’appiattimento che s’installa dentro di noi giorno per giorno, il pensare per schemi consuetudinari, pigri e obsoleti. Anche questo penso sia terribile.

Tuo padre era anarchico e tu stesso hai dichiarato di essere anarchico. Credi che un ventenne possa ancora considerarsi anarchico nel 2021 e in che modo?
Non credo ci sia un’epoca per potersi considerare anarchici, l’anarchia è una presa di coscienza, uno stato dell’animo. Forse a vent’anni si è più scevri da condizionamenti sociali e si hanno ideali più puri, si crede nel rispetto del prossimo non cedendo a compromessi e scorciatoie, ma lottando sempre per dei valori alti di compassione e accoglienza delle idee altrui. Quando firmo gli autografi ai miei concerti, incontro tanti ragazzi e ragazze di 20, 30 anni che hanno queste caratteristiche di pensiero e questo mi fa ben sperare per il futuro.

La Sardegna sembra non essere soltanto il luogo in cui avete una fattoria, ma un vero luogo dell’anima. Qual è il ricordo più emozionante in Sardegna insieme a tuo padre?
Si è vero, oltre ad essere un luogo dell’anima è un luogo della nostra vita, sono ormai più di cinquant’anni che ci veniamo e in parte continuiamo a viverci. Mio padre diceva che la vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: «Ventiquattro mila chilometri di foreste, di campagne, di coste immerse in un mare miracoloso dovrebbero coincidere con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come Paradiso». È così anche per me, continuo felicemente a viverci gran parte dell’anno. In questi luoghi il presente si confonde con il passato, con i ricordi, molti con mio padre e mia madre. Ne ho raccontati alcuni nel film, per esempio quando a Portobello di Gallura, mi facevano sdraiare la sera insieme a loro sul terrazzo di casa e mi insegnavano a guardare il passato attraverso le stelle. La loro luce così lontana, che ancora non ci arriva. Mi perdevo in una foresta di calcoli per capirne la distanza, la stessa che purtroppo oggi mi separa da loro.

Nel docufilm a un certo punto ricordi una frase di Fabrizio: «Voi non avete fermato il vento, gli avete fatto perdere tempo». In questi anni sono nati tanti movimenti per i diritti civili o per la tutela dell’ambiente, credi che quel vento oggi stia soffiando attraverso queste realtà?
Sì, sta soffiando ancora per fortuna, ed è un vento che nessuno può fermare. Mi riconosco in molte lotte sociali per i diritti civili e per l’ambiente, dai gilet gialli in Francia ai movimenti in Cile del 2020 contro il carovita e la corruzione, finiti in massacri da parte delle forze dell’ordine. Dalle unità di difesa delle donne curde, gruppo che ha svolto un ruolo fondamentale nel salvare migliaia di yazidi che erano stati intrappolati dall’Isis, fino al popolo afgano, passando per Black Lives Matter e Julian Assange, che sta scontando in isolamento, un trattamento da tortura medioevale che è una delle più vergognose ingiustizie dell’umanità. E tanti altri, come le disastrose conseguenze del riscaldamento globale, le emissioni di gas a effetto serra, il pericoloso cambiamento climatico. Infatti, Greta Thunberg è una ragazza che mi piace, ha grinta, sono totalmente dalla sua parte. Oggi dobbiamo imparare da ragazze e ragazzi come lei a tutelare meglio il nostro pianeta.

In Sardegna nel 1975. Foto: Egizio Fabbrici

Il regista Wim Wenders ha parlato con amore delle opere di tuo padre. Dice di avere un sogno: organizzare un grande concerto a New York con artisti internazionali che cantano Fabrizio De André. Credi sarà possibile prima o poi?
Wim Wenders si è prodigato tanto ed è stato davvero molto gentile. Abbiamo provato con Dori e la Fondazione De André a coinvolgere artisti stranieri importanti ma non con i risultati sperati, molti non conoscono le opere di mio padre e purtroppo l’iniziativa di Wim Wenders non è bastata a riunirli per organizzare un grande concerto, ma mai dire mai, ci continueremo a provare. In fondo Fernanda Pivano diceva: «Si dice che Fabrizio sia il Dylan italiano, perché non dire che Dylan è il Fabrizio americano?».

Ci sono ancora degli inediti di Fabrizio De André che un giorno potremo ascoltare?
Ci sono diversi appunti suoi, ma non canzoni complete. Il suo desiderio era fare un album di notturni, dividendoli in quattro, sei suite. Mi piacerebbe provare un giorno a scrivere delle musiche insieme a Mauro Pagani e Ivano Fossati, nell’intento di avvicinarci il più possibile a quello che lui avrebbe voluto.

E Cristiano De Andrè ha delle canzoni inedite che, prima o poi, sentirà di pubblicare?
Sì, ho già delle idee alle quali mi sto dedicando, per uscire prossimamente con un nuovo album di inediti.

Foto: Salvatore Solimeno

Immagina di poter realizzare qualsiasi tipo di desiderio, quale sceglieresti oggi?
Di tornare a suonare e a scrivere con mio padre, con l’impegno di sempre. Lo dico senza retorica. Il mondo oggi ha più che mai bisogno di un’alta responsabilità di pensiero e delle proprie azioni. C’è carenza di questo, basta guardarsi attorno per vedere troppo qualunquismo e troppa insofferenza.