Counting Crows, si esce vivi dagli anni ’90 | Rolling Stone Italia
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Counting Crows, si esce vivi dagli anni ’90

Intervista a Adam Duritz: non solo ‘Butter Miracle, The Complete Sweets!’, ma anche l’effetto permanente degli acidi, la malattia mentale, la diversità, il documentario sui primi due album

Counting Crows, si esce vivi dagli anni ’90

Adam Duritz dei Counting Crows

Foto: Mark Seliger

Gliel’hanno ripetuto per anni: pubblicare album è inutile, nessuno ha più voglia d’ascoltarli. E così Adam Duritz nel 2021 ha raccolto in un EP intitolato Butter Miracle, Suite One la musica più ambiziosa mai fatta coi Counting Crows, una piccola suite di quattro pezzi legati l’uno all’altro. «Per poi scoprire che la gente non ne aveva una grande considerazione perché non era un album vero. E quindi possiamo dire quanto vogliamo che le persone vogliono ascoltare singole canzoni, ma l’album ha ancora un suo peso».

Ora l’album i Counting Crows l’hanno fatto. Si intitola Butter Miracle, The Complete Sweets! e contiene l’EP più altre cinque canzoni. Siamo andati a trovare Duritz nel suo appartamento a Manhattan per farci raccontare com’è nato, cosa significa crescere «spezzato», il documentario che uscirà sulla band e molto altro.

Un sacco di artisti in giro negli anni ’90 sono morti, molte band si sono sciolte. Voi invece siete ancora qua.
Alcuni li conoscevo pure, eravamo amici. A volte ci sono ottime ragioni per cui le band si sciolgono, ma il più delle volte è per frustrazione, gelosia o soldi. Si riesce sempre a trovare un motivo per volere di più, sempre di più. Il punto è capire cos’è importante per te. Io l’ho capito subito: è stare in una band. Non voglio essere un solista, mi piace stare in un gruppo, amo l’interazione. E mi sono trovato in una band che mi piaceva tanto. Restarci è sempre stata la mia priorità numero uno. Quei ragazzi sono importanti per me, mi devo assicurare che stiano bene e quindi continuiamo, un anno dopo l’altro. Le emozioni che ci sono nelle canzoni non emergerebbero se non fosse per la loro bravura nel tirarle fuori. La gente non li apprezza, non sono famosi come band, ma sono grandissimi, cazzo.

Hai capito subito cosa volevi fare nella vita?
Sì, fin da bambino, prima di tutti i miei amici. Ero il più avanti di tutti, solo che poi sono rimasto indietro quando loro hanno trovato un lavoro e io sono finito a fare il lavapiatti. Le cose poi hanno cominciato a girare bene ed è un cazzo di miracolo. Ce lo meritiamo, ma è stata anche fortuna, nessuno sa da cosa cazzo dipende il successo nel mondo dell’arte. Io lo so che a volte è difficile lavorare con me. Ho un sacco di idee che non sembrano poi così grandiose. Voglio solo che facciamo le nostre cose senza ripeterci. Desidero trovare cose che ci intrigano. Abbiamo rinunciato a un bel po’ di successo scegliendo di non ripeterci, di non cantare le canzoni in concerto com’erano su disco, di fare cose che alla gente non sono piaciute. Magari anche le donne con cui sono uscito ci hanno fatto odiare da tutti, non lo so. Ma cazzo, dopo 30 anni siamo ancora una band. Siamo quasi tutti ancora qua. È una figata. Ci penso tanto, mi inorgoglisce.

Sei un sopravvissuto.
Mi sono fatto tantissime droghe da ragazzo, ma soffro anche di una patologia mentale piuttosto grave che, a un certo punto, si combinava male con le droghe. È stato orribile. Quel tipo di dissociazione spaventosa non va bene mescolata con le allucinazioni. E ha iniziato a presentarsi anche quando non mi drogavo. Fra i miei 21 e 22 anni ho trascorso più o meno un anno in uno stato di semiallucinazione.

Per via degli acidi?
Sì. Mi ero fatto degli acidi, ma mi succedeva di sembrare di essere in acido senza averne preso. Ho passato momenti terribili. Ho dovuto smettere di drogarmi. A 21 anni avevo chiuso con le droghe: non potevo più prenderle perché non riuscivo a sopportare la sensazione che provavo quando mi sconvolgevo. Ogni droga mi faceva l’effetto dell’acido. E questo in un certo senso mi ha salvato, perché quando sono diventato una star non ho più preso droghe, anche se avrei potuto farmi tutte quelle che volevo per tutto il giorno, ogni giorno. Ma ho visto gente morire per questa roba. Mi piaceva tanto drogarmi, ma non potevo. Terrificante. Episodi di dissociazione e flashback da acido mi capitano ancora spesso, ma ci sono abituato e riesco a controllarli con la respirazione. Allora era spaventoso: nessuno vuole rimanere sotto l’effetto di una droga per un anno, non dell’acido e non per un anno. Pensavo che non mi sarei mai ripreso, che la mia vita fosse finita a 21 anni. Per molti versi, però, questa cosa mi ha evitato molti problemi che ho visto presentarsi ad altri ragazzi. Non ero un amico intimo di Kurt Cobain, ma lo conoscevo ed era molto gentile con me. Mi sembrava un tipo molto dolce.

Nel disco nuovo c’è una frase sui bambini “spezzati”. Si riferisce a te?
Sì e non solo. Capita di dovere affrontare delle cose. Magari c’entra la famiglia, nel mio caso no: problemi e pazzia, roba che è dentro la testa. Nessuno può fare qualcosa per proteggerti da quello che hai nella testa. Per il resto ci sono i medici, ma ancora oggi non abbiamo dei dottori in grado di curare le malattie mentali. Non sappiamo davvero quali siano le cause e come guarirle. Il cervello è una cosa strana. È stato davvero spaventoso rendermi conto che nessuno poteva farci niente. Dovevo capire io come uscirne. E non ho alcuna capacità di farlo.

Da bambino c’erano momenti in cui pensavo che non sarei sopravvissuto. Quando sei un ragazzino, tutta la tua vita è programmata, ti dicono cosa fare, dove andare, a che ora essere in un posto, cosa devi fare. E se qualcosa va storto, ti spiegano come rimediare o ti portano da qualcuno che sistemi le cose. Ma tanti ragazzi, per vari motivi, non hanno nessuno che li aiuti. A volte è perché sono soli oppure perché nessuno sa come risolvere il problema. E questa è una delle ragioni che spiega tanto di ciò che i ragazzi vivono oggi nelle comunità isolate, in quelle queer, trans, di persone di colore… io ho un modo tutto mio di rapportarmi a queste cose, perché ho vissuto una situazione in cui nessuno poteva aiutarmi, eppure avevo dei genitori fantastici che hanno fatto del loro meglio e avrebbero fatto qualsiasi cosa per me. Ma era una cosa fuori dalla portata di tutti.

Counting Crows - With Love, From A-Z (Official Audio)

Metà di questo disco, cioè il blocco di Butter Miracle: Suite One, è uscita sotto forma di EP nel 2021. L’album completo, però, arriva solo ora. Come sono andate le cose?
La prima metà è stata registrata subito prima della pandemia. Appena ne siamo usciti, sono tornato alla fattoria di un mio amico, in Inghilterra, dove avevo scritto la prima metà, e mi sono messo a comporre altro materiale. Ho scritto un sacco di cose e mi sembrava di aver finito il lavoro. Sulla via del ritorno a casa, però, mi sono fermato a Londra per cantare nel disco di uno dei miei migliori amici [David Le’aupepe] che canta con gli australiani Gang of Youths. Avevo già cantato in quell’album, ma avevano buttato il lavoro fatto per provare a farne una versione più sofisticata. Mi hanno mandato il disco finito, Angel in Real Time, credo che sia uno dei miei album preferiti degli ultimi dieci anni. A quel punto non ho potuto fare a meno di pensare che quello che avevo scritto non era a quel livello. Così ho ricominciato a lavorarci su.

Che problemi hai incontrato?
Dal punto di vista musicale le canzoni erano molto più ambiziose e faticavo a capire quant’erano buone. All’inizio, certe non erano scritte abbastanza bene. E poi c’era la mia incapacità di suonarle da solo, per cui sono rimasto fermo per due anni. Poi ho scritto With Love from A to Z e mi piaceva molto: sapevo che quella era buona. A quel punto la domanda era: ora che faccio? Tipo: questa roba è fantastica, ma cosa me ne faccio se non ho altro materiale? Allora ho chiamato Jim [Bogios] e Millard [Powers], il nostro bassista e batterista per fare dei demo. Non sono uno che ne fa molti, ma quella volta ho detto: «Venite a casa mia, ci sistemiamo in salotto, ci vorrà una settimana, forse meno». Ho cucinato e abbiamo studiato i pezzi uno alla volta. Erano entusiasti e due settimane dopo ci siamo trovati in studio a inciderli. Ci sono voluti 11 giorni, forse, li abbiamo fatti al volo. Ero stato lì, per due o tre anni, senza la fiducia necessaria per mandarli alla band. Va bene così, il disco non sarebbe stato pronto senza With Love from A to Z. Una cosa del genere non mi era mai successa prima, non avevo mai riscritto nulla. Ma non mi sentivo sicuro.

Mi pare che tu abbia parlato in passato della differenza tra scrivere in una canzone una cosa che suona bene e qualcosa che invece ha un significato profondo.
Sono stato sempre abbastanza bravo a distinguere le due cose. Ci sono parole che suonano esattamente come dovrebbero suonare in un grande testo. Sister Christian, per esempio, è una di quelle canzoni. I Fleetwood Mac ci sono riusciti con “crystal visions”. Però ci sono anche testi che suonano poetici, ma non sono particolarmente significativi. Non so, forse significano qualcosa per chi li ha scritti. Uno dei pezzi che non riuscivo a finire era Box Cars. Durante la pandemia sono come impazzito. Cucinavo, ma passavo tanto tempo a girare per casa inventando canzoni sui nostri gatti e cose così, senza senso. Una di quelle che cantavo era fastidiosa faceva (canta con una cadenza quasi metal, nda): “Coronavirus, duhnt-duhnt, coronavirus” (ride), un pezzo metal sul coronavirus. Lavorando a Box Cars stavo cercando di trovare un modo per uscire dal ritornello e mi è venuto in mente un riff. Mi suonava familiare. Mi sono chiesto cosa fosse e poi ho capito: era quella cazzo di canzone sul coronavirus. Ho chiamato Immer [il polistrumentista David Immerglück] e mi ha detto: «Fico il riff, cos’è?». «Non voglio dirtelo. Suonalo e basta».

Ho saputo di recente che al liceo suonavi il basso.
È stato prima, verso i 13 anni. Non riesco a capire come sia stato possibile, perché ora come ora considero il basso lo strumento più difficile che esista. Di sicuro facevo delle parti molto semplici. Suonavamo tutti e i nostri genitori ci avevano comprato dei canzonieri coi Beatles, gli Stones, gli Zeppelin. Suonavamo per lo più quei brani, con un po’ di Kiss in mezzo. Adesso non sono più capace, mi sa che non ho più toccato un basso da allora, subito dopo ho iniziato a suonare il pianoforte.

Counting Crows - Under The Aurora (Official Music Video)

Una delle cose più fresche dell’album, che c’era anche nella suite, è quest’energia glam che è abbastanza una novità per la band. Da dove arriva?
Mi sono sempre piaciuti i Mott the Hoople, Lou Reed e Bowie, sono nel mio dna. Ma credo che derivi dal desiderio di un songwriting più ambizioso che mi ha preso negli ultimi dieci anni. Ce n’è un po’ anche in Palisades Park e in Elvis Went to Hollywood. In quell’album si percepisce che mi stavo avvicinando a quei suoni. Molte canzoni parlano di sessualità e bisessualità, di gruppi isolati di persone e del modo in cui sono costrette a vivere oggi. Sono ebreo, non faccio parte di una maggioranza, vivo sulla mia pelle la stranezza di questa situazione. Credo che sia per questo motivo che, negli ultimi 10 o 12 anni, ho pensato molto ad altre persone che vivono in una specie di isolamento e affrontano difficoltà. È una parte importante dei testi, almeno in Somewhere Under Wonderland. Palisades Park parla di questi due ragazzi che stanno scoprendo la loro sessualità, vestendosi in modo diverso ed è un argomento che rispunta anche in Bobby and the Rat Kings e in altre canzoni. È un argomento a cui ho pensato molto. Sono cresciuto a San Francisco, negli anni ’70 e ’80 e da bambino sono stato a contatto con quella cultura, ho visto tante persone che arrivavano in città e che chiaramente erano state terrorizzate durante l’infanzia e volevano sperimentare un po’ di libertà. Questi ricordi mi sono tornati in mente mentre scrivevo Palisades Park e altre cose.

Per qualche motivo tutto questo è emerso nella mia scrittura e ci ho pensato tanto, soprattutto perché stiamo arrivando a un punto in cui una buona parte della cultura americana sembra voler rifiutare queste persone. Lo trovo triste. L’America è un posto in cui si dovrebbe essere liberi di essere se stessi, dove vivere e lasciar vivere. È questa l’idea che sta alla base del Paese. È terribile che stia diventando pericoloso essere trans. Credo che questa musica lo rifletta. È esuberante e sgargiante, due modi di esprimersi perfetti per queste canzoni e per me. È una cosa che mi fa sentire molto me stesso. Non sono gay, ma sono cresciuto come quello strano in mezzo a gente che non era come me. Essere matto non aiuta.

Sono temi presenti anche in Spaceman in Tulsa.
Parla di gente diversa dagli altri, di persone che sono state traumatizzate da piccole e che credono che non ci sia posto per loro nel mondo. Ma l’arte è il posto per loro, il rock lo è. In questo senso, mi ricorda Mr. Jones che parla di far di tutto pur di essere una rock star, è la celebrazione di chi lo diventa e allo stesso tempo c’è la consapevolezza che molto probabilmente non è come speravi. Non ti risolve i problemi. E quindi, dicevo, parla di gente traumatizzata che trova un posto nel mondo grazie al rock o a qualche altra forma d’arte. In un certo senso è una celebrazione, dice che puoi sopravvivere e stare bene anche se vieni da un brutto posto.

La voce ti ha retto in questi anni, non succede a tutti.
È un po’ più bassa, ho perso alcune delle note più alte e quindi abbiamo dovuto abbassare la tonalità di alcune canzoni. Succede. In compenso, sono diventato un cantante migliore. Sono in tour da praticamente 30 anni e sento di essere diventato bravo. Quando abbiamo iniziato ero stato poche volte in studio e non avevo mai preso lezioni di canto. Ho dovuto imparare a sopravvivere in tour. Col tempo impari a usare la voce. La mia è sempre stata piuttosto fragile. Potevo farci un sacco di cose, ma bastava poco per rovinarla. A inizio carriera carriera ho preso un sacco di steroidi, non so perché non sia andata via. Ho preso qualche lezione di canto perché, sai, una cosa è cantare una volta al mese a casa e un’altra è farlo per mesi di fila in tour. All’inizio la voce mi ha mollato subito, un disastro. Dovevamo cancellare concerti oppure prendevo gli steroidi. Ho dovuto prendere lezioni di canto d’emergenza. Ora non riesco proprio a cantare senza fare un po’ di riscaldamento. Non so spiegare perché la voce non sia rovinata, forse perché non fumo più, non so.

Ho sentito che c’è in ballo un documentario sul periodo del primo e del secondo album. È vero?
Sì, HBO sta realizzando un documentario sulla formazione della band e un po’ anche su Recovering the Satellites.

A che punto è?
Penso sia finito.

Siete tornati a scavare negli archivi per lavorarci?
Sì. Quello è l’unico periodo della nostra carriera in cui abbiamo un sacco di video. Ci hanno filmati mentre registravamo l’album, ed è davvero bello. Poi Josh Taft, quello che ha fatto il video live dei Pearl Jam, ha filmato un intero concerto al Ford Theater poco prima dell’uscita dell’album, dove facevamo tutto il disco. E poi abbiamo fatto Storytellers e Live at the 10 Spot, insomma c’è un sacco di materiale live. Ma la filosofia dei registi è che non bisogna mettere troppa musica in un documentario, perché toglie spazio alla storia.

Counting Crows - A Long December (Official Video)

Pensi che farete qualcosa con quel materiale adesso che l’avete ritrovato?
È da anni che lo voglio fare. Stavamo parlando di mettere insieme un cofanetto per Satellites con dei video, ma la Universal non riusciva a trovare il materiale. Dicevano che non c’era più. Glielo abbiamo chiesto fin dal decimo anniversario di Satellites, forse persino dal quinto, ma dicevano che era andato perduto in un incendio, quando si è cominciato a parlare del documentario l’hanno ritrovato, forse semplicemente si erano messi a cercarlo sul serio. Mi piacerebbe farci qualcosa.

Ora però stai facendo eccitare i fan per il box set.
Forse. Sì. Mi piacerebbe farci qualcosa. Trovo sia materiale bellissimo. Lo Storytellers non è mai uscito, con i racconti tra le canzoni.

Ti ho visto in tour in quel periodo. È stato fantastico.
È stato divertente, un anno o due di tour molto belli. Abbiamo un sacco di materiale eccezionale. Sarebbe bello riuscire a pubblicarlo in qualche modo. Vedremo.

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