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Che fatica essere Beyoncé, ma qualcuno doveva pur farlo

La storica intervista di Queen B con Rolling Stone: il racconto del passato, delle difficoltà della famiglia per inseguire un sogno e della strada percorsa per diventare la più grande pop star del mondo

Che fatica essere Beyoncé, ma qualcuno doveva pur farlo

Questa intervista è stata pubblicata da Rolling Stone USA il 4 marzo 2004

Dal momento in cui Beyoncé atterra a Londra, viene trattata alla stregua di una principessa. Un uomo della British Airways la aspetta al portellone dell’aereo, dopodiché conduce lei e il suo entourage (4 persone) in una scalinata semi-nascosta che conduce a un’auto della compagnia di volo. Gli altri passeggeri vengono condotti al terminal di Heathrow sopra un bus, ma la 22enne nativa di Houston, che ora sostiene di essere una vera newyorchese, si muove nelle stradine nascoste dell’aeroporto cercando di capire se il nome della sua destinazione, Cannes, si pronuncia can o con.

Non indossa collane o anelli, ma è vestita ancora da ragazza, con grossi orecchini pesanti, un maglioncino di cashmir rosa acceso aperto sulle spalle con una specie di arco disegnato davanti, uno scialle con strisce di pelliccia marrone, stivali pelosi rosa, jeans e un cappellino rosa shocking con dei brillantini incollati sulla fronte a formare un gatto e altri brillantini sul retro disposti a formare la scritta BEYONCÉ. Le sue spalle e il collo svettano graziosamente da sotto il maglione, ricordando quelle antiche sculture francesi che romanticizzano le curve femminili. Ha una pelle dorata, tre piccole voglie sul viso, denti perfetti e una postura da ballerina che la fa sembrare molto più alta di un metro e settanta. E i suoi jeans stretti tradiscono una dieta sana, qualcosa che i fratelli afroamericani definirebbero “grosso”, con un sistema tutto dune nel didietro.

Gli ultimi sei mesi hanno visto una specie di esplosione per Beyoncé, per cui è diventata da cantante più famosa di un gruppo già famoso di suo, le Destiny’s Child, a una mega star ubiqua il cui Dangerously in Love è stato comprato da più di due milioni di persone, fruttandole sei nomination ai Grammy e generando due delle canzoni più imponenti dell’anno scorso: Crazy In Love e Baby Boy. Beyoncé è diventata un’icona sessuale crossover come Halle Berry, una ragazza che non è così marcatamente nubiana da impedire ai bianchi di apprezzare la sua bellezza. Lei è quello che era Janet Jackson: una gustosa sex symbol che ti dà hit pop al gusto R&B, video all’avanguardia, tour e pure film. E quest’anno vedremo ancora più Beyoncé: a marzo inizierà un tour di 5 settimane con Alicia Keys e Missy Elliott, dopodiché crede di registrare un nuovo album con le Destiny’s e finire l’anno con un tour del trio. Ma fuori dal palco, la ragazza è molto attenta a mantenere le distanze fra la persona famosa e la persona che si è formata molto prima della fama. «Non voglio essere dipendente dalla fama» dice. «Altrimenti quando non lo sarò più rischio di non sapere che fare, sembrerei disperata e perderei la testa.» Si è allenata a essere famosa sin dall’età di 10 anni, quando il padre la faceva correre per un miglio mentre cantava, per allenare la capacità di cantare e ballare allo stesso tempo. Il primo album delle Destiny’s Child è uscito quando aveva 16 anni, nel 1998, un anno prima di Britney Spears e la supernova del teen-pop (lei e Britney hanno la stessa età). Da allora Beyoncé ha lavorato senza sosta. «Perdi il contatto con te stesso quando lavori così tanto come noi. È semplicemente troppo.»

Quando atterra a Nizza, Francia, la incontra un agente che la conduce a una speciale fila vuota per il controllo passaporti. Ma anche le principesse a volte vedono le caverne. Mentre è al ritiro bagagli stanca, affamata ed esausta dopo un lungo viaggio da Newark, New Jersey fino al sud della Francia, qualcuno della British Airways spunta fuori dicendo che due bagagli sono stati smarriti. Lei allora comincia a mugugnare che sono sicuramente i suoi. È infastidita. Come succederebbe a chiunque. Ma da allora non dice più altro. «Vorresti pensare che è una stronza perché è così perfetta» dice il suo coreografo Frank Gatson Jr. «La verità però è che non ho mai conosciuto qualcuno di più dolce. Mi manda fuori. Sa bene che l’umiltà è importante. Penso che sia per il suo passato in chiesa.» All’aeroporto, lei si limita a girare gli occhi e sbuffare. È un sorriso finto ma educato e professionale. Vive come una principessa ma non si dà arie.

Ma come ogni principessa, dovrà pur esserci un principe. E quello di Beyoncé è Jay Z, che è più vecchio di lei di una decina d’anni. «Conosco il ragazzo da molto tempo» dice un conoscente riguardo a Jay Z. «Non l’ho mai visto così frizzante come adesso. Le vuole bene, le dà tanti consigli, vuole che la sua donna sembri perfetta. Si adorano.» Jay e B si rifiutano però di parlare della loro relazione. «Non posso dire di essere single» dice lei. «La gente dice: “Perché dice che sono solo amici?” Non dico questo. Non voglio semplicemente parlarne. Voglio proteggere la mia vita privata.»

In compenso però parla molto di che tipo di fidanzata è. «Nelle relazioni penso molto come un ragazzo» dice. «Se faccio qualcosa di sbagliato non mi faccio prendere dalle emozioni. Ci penso su, cambio e l’aggiusto. Sono sempre stata molto logica e lucida.» Tuttavia, a volte non può non farsi assalire dai sentimenti. «Quando faccio qualcosa, lo faccio fino in fondo. Se mi innamoro, sono lì con tutta me stessa.» E un giorno vorrà sicuramente avere un bambino. «Se fosse un mondo perfetto, avrei un bambino e una bambina. Mi piacciono i maschietti, perché le femminucce sono troppo tragiche.»

Comunque alla fine parla molto di Jay, senza però mai nominarlo. E si concede anche molti “noi”. Quando le chiedo dove si trovava durante il famoso blackout del 2003, lei risponde «Eravamo al 40/40 Club» un club bar sportivo che Jay Z ha aperto l’anno scorso. Ma nel locale c’era un generatore di corrente, quindi la festa non si è mai interrotta. «Alle 4 di mattina abbiamo preso un aereo per l’Italia. Quando siamo arrivati a Roma, c’era il blackout anche lì».

Gli spostamenti di Jay e Bey in giro per il mondo sono ben documentati dai paparazzi. Una foto decente della loro vacanza a St. Barths per capodanno mostra Beyoncé mentre si tuffa in acqua dal ponte di uno yacht di 90 metri e tre piani, mentre Jay Z cattura il momento con una videocamera. Sembrava un bel saltino. «Sì, lo era» conferma B. «Non so che problemi ho. Ho guardato la foto e poi ho pensato “Che cosa stupida”. Ma la faccio ogni anno. È il mio salto, un rituale. È come dire “vai, mi butto e inizio questa vacanza. Ora sono libera”. Devo saltare così da potermi lasciare alle spalle tutto ciò che è capitato dopo l’ultima vacanza e ricominciare. È come un battesimo.»

Prima che Beyoncé fosse battezzata per davvero, suo padre, Mathew Knowles, era un dirigente nelle vendite mediche alla Xerox, vendendo equipaggiamenti da svariati milioni di dollari e incassando stipendi a sei zeri. «È stata una benedizione essere il rappresentante a capo della divisione medica della Xerox per anni» dice il padre. Mathew ora è il manager di Beyoncé, l’uomo che ha negoziato tutto a partire dal primo contratto con Elektra e Columbia fino ai recenti contratti di endorsement con L’Oréal e Tommy Hilfiger, nonché l’uomo che ha finanziato e prodotto tutti i suoi album. Per quanto serio, è un uomo piacevole, con la risata facile. Ecco, ride come un uomo che è appena tornato dalla banca.

Sua moglie, Tina Knowles, ha una pelle chiara, capelli lunghi e ondulati con meches bionde e occhi verdi. Mathew dice che «Beyoncé non è bella come sua mamma.» Ma mentre la figlia sfoggia pochi accessori, Tina è andata a trovare Beyoncé a New York indossando un anello con un gigantesco diamante in ogni mano, un braccialetto da tennis ma fatto di diamanti e un orologio tempestato di diamanti al polso sinistro e qualcosa che sembrava un altro orologio di diamanti anche sul destro. È proprietaria di uno dei più famosi saloni di bellezza di Houston, Head-Liners, dove dice che è cresciuta Beyoncé. «L’abbiamo subito trattata come una professionista, dandole avvocati e credito per canalizzare le sue ambizioni. Ha avuto tante grandi donne attorno a sé che l’hanno ispirata a fare grandi cose.»

La famiglia Knowles viveva in una casa molto grande a Houston, con tutti i privilegi dell’alta borghesia. Beyoncé ha vissuto forse in un contesto molto più agiato delle attuali superstar afroamericane. «Vivevamo in una casa delle stesse dimensioni di quella attuale, in un quartiere bello come quello attuale» dice. Nel 1981, Tina Knowles era incinta del suo primo pargolo quando realizzò che il suo cognome, Beyince, stava morendo. Tina è la più giovane di sette fratelli, ma solo uno dei suoi fratelli ha avuto un figlio. «Ho pensato, “Oddio, stanno finendo i Beyinces”» dice Tina. Così ha dato alla figlia una variante del suo nome da nubile. Nonno Lumis Beyince, un creolo che viveva a New Orleans e parlava francese, non era convinto. «La mia famiglia non era contenta» dice Tina. «Mio padre disse: “La bambina ce l’avrà con te perché è un cognome” e io: “Non è un cognome che per voi!”».

Foto di Frank Micelotta/Getty Images

Beyoncé era una bambina silenziosa e timida. A sette anni, in prima elementare alla St. Mary’s catholic school di Houston, un’insegnante di danza, Miss Darlette Johnson, la spinse a iscriversi al talent show della scuola. «Ero terrorizzata e non volevo farlo, e la maestra mi diceva: “Su, piccola, vai là fuori”» dice Bey. «Ricordo di essere entrata sul palco terrorizzata, ma quando la musica è iniziata non so che è successo. Ha semplicemente cambiato tutto.» Entrambi i genitori erano fra il pubblico. Tina ricorda: «Ci siamo detti entrambi: “Chi è quella bambina?”»

Era Sasha. Era molti anni prima che Beyoncé adottasse quel nome sul palco, ma dal primo istante sul palco è stato chiaro che quell’umile, timida ragazza sul palco si trasformava in qualcun altro. «Non ho una personalità multipla» dice. «Ma sono davvero spiccia e preferirei non indossare scarpe, raccogliere i capelli in una semplice coda e non truccarmi affatto. E quando sono sul palco, il coraggio, la sensualità, qualsiasi cosa sia, mi pervadono. Posso sentirlo, e comincio a fare cose che non hanno nemmeno senso, come se uno spirito prendesse il controllo. Amo quella magia. Se mi vedi in TV non sembro umile e timida. Mi sono trasformata in quello che vedi. È un lavoro. Nella vita non sono così».

Il coreografo Gatson dice che quando lei sale sul palco viene pervasa dallo Spirito Santo: «È senza paura. Qualcosa di potente s’impadronisce di lei. In VH1 Divas ha lanciato via i suoi orecchini da 250mila dollari e dopo non si ricordava perché lo avesse fatto. Significa lasciarsi andare. Sono stato a concerti di Beyoncé in cui la gente urlava “BUUU”. Ma lei continuava a danzargli davanti alla faccia, come se non fosse nulla. Al posto suo la maggior parte degli artisti sarebbe andata in panico ma lei no. Ha imparato a perdere la paura».

In realtà, Beyoncé ha imparato a liberarsene in quel famoso talent show in prima elementare. Alla fine della performance si prese una standing ovation vincendo il concorso. «Ho pensato: “Oddio, è fantastico!”» dice. «Ho capito che volevo diventare una cantante. Penso che lo sapessi già, ma non ero mai stata su un palco prima di allora.»

Mathew cominciò così a portarla a talent show locali, che vinse per 35 volte di fila e ben presto formò il primo gruppo. «La prima volta che abbiamo suonato insieme avevo 9 anni» ricorda Beyoncé. «Era a un asilo nido. Non sapevamo nemmeno il nome del gruppo perché ricordo che eravamo nel backstage, beh, non proprio un backstage ma in questa piccola stanza di fianco.» Ride. «E cercavamo di scrivere nomi e loghi. C’erano bambini che stavano piangendo mentre eravamo sul palchetto. Ma in quel momento ho capito quanto mi piacesse essere in un gruppo. Essendo così nervosa, mi dava sicurezza avere altre ragazze sul palco e dopo il live — questo era ancora più eccitante per me». Il gruppo diventò ben presto la totalità della sua vita sociale. «Tutti i suoi amici sostanzialmente sono stati anche membri del gruppo, chiunque ci fosse all’epoca» dice la cugina e assistente personale, Angela Beyince.

Quando Beyoncé ha compito 10 anni, il gruppo, chiamato allora GirlsTyme, ha guadagnato molto su Star Search. Sarebbe stato un punto di svolta, ma non come si aspettavano. Hanno perso il contest. Mentre sua figlia piangeva nel backstage, Mathew decise di lasciare il proprio lavoro e di fare il manager a tempo pieno. «Mi ha spaventato molto quando mio padre ha lasciato il suo lavoro da dirigente» dice Tina. «Non so quante persone avrebbero lasciato un lavoro così remunerativo. Pensavo che fosse impazzito un pochino. Dicevo: “Che faremo ora?” Avevo un grosso salone di bellezza che generava dei bei soldi, ma eravamo abituati a due stipendi. Tutto d’un tratto ci siamo dovuti adattare a un altro stile di vita. Ma succede sempre così, qualcosa lui faccia. È molto passionale.»

Mathew si iscrisse a un corso allo Houston Community College in music business ma trovò che il suo background da dirigente gli dava già gli strumenti che cercava. «Posso dire francamente, che quando ho iniziato questo lavoro ero già più preparato almeno del 75% dei manager che ci sono in giro, persone che non hanno la minima esperienza nel mondo del business e non sanno come muoversi dentro un’azienda», racconta. «Venendo da quel mondo, ho subito capito come muovermi tra quei problemi politici che ogni etichetta discografica deve affrontare, problemi che non hanno nulla a che fare con la musica». Racconta che le dinamiche di vendita che aveva imparato nel suo lavoro come rappresentate, sono le stesse che ha usato per vendere Beyoncé all’America: «Quando sei un buon venditore, allora sei una persona che sa vendere bene». Veniva chiamato ‘papà da palco’ e, nel 2000, era stato stato citato in giudizio da due ex Destiny’s Child che aveva licenziato. Tuttavia non gli importa, racconta di aver semplicemente usato la sua esperienza per aiutare la sua bambina a realizzare il proprio sogno, proprio come farebbe qualsiasi genitore. «Non mi è mai importato che i miei figli facessero musica». «Se Beyoncé venisse da me e dicesse: “Papà, voglio fare il medico”, troverei un modo per acquistare un ospedale».

Mathew creò il suo personale programma di sviluppo artistico, che Beyoncé sospetta creato sul modello di quello della Motown, che i suoi artisti dovevano rispettare in ogni cosa, dalle coreografie al modo di comportarsi in pubblico. «Sono sicura che l’ha preparato leggendo Berry Gordy», dice Beyoncé. Durante l’estate, Mathew tiene una specie di boot camp dell’r&b, dove Beyoncé e chiunque abbia fatto parte del gruppo iniziava le proprie giornate facendo jogging mentre cantava. La giornata procede con lezioni di coreografia, lezioni di canto, lezioni su come rilasciare interviste, lezioni su come camminare tenute da una modella. E ancora, in sala audio video dove studiare le grandi performance – da Michael Jackson a Janet Jackson, da Whitney Houston a Tina Turner o Madonna. «Studiamo quelle video cassette come i giocatori di football studiano le partite degli avversari», dice Mathew. Tina, invece, è stata spinta a diventare una stilista per poi realizzare i vestiti di Beyoncé.

Quando Beyoncé aveva tredici anni, la band – che già si chiamava Destiny’s Child – firmò un contratto con la Elektra Record. Tuttavia quello è stato il primo episodio di una serie di sfortunati eventi per la famiglia Knowles. Le cose con la Elektra non sono andate bene, e il gruppo è stato abbandonato alla propria sorte. «Poi la famiglia è stata colpita da alcuni problemi fiscali e tutto è andato in crash», racconta Tina. «Abbiamo dovuto vendere la nostra casa per molto meno di quanto avremmo potuto ottenere se avessimo avuto il tempo di venderla nel modo giusto.. È stato molto doloroso, perché i miei figli erano cresciuti in quella casa, e non capivano perché la stessimo abbandonando. Non sapevano che Mathew aveva mollato il lavoro per loro. Non sai come spiegarlo, dici soltanto: “dobbiamo ridimensionarci”». Comprarono un’altra casa ma, dopo la vendita Mathew entrò e trovò il precedente inquilino morto nel bagno, un suicidio. Nel frattempo la relazione tra Mathew e Tina aveva iniziato a sgretolarsi. «Non andavamo più d’accordo: mi sembrava che Matthew fosse ossessionato e che mi sarei dovuta trovare un altro lavoro per mantenere la famiglia. Quindi ci separammo per circa sei mesi. Il punto più basso è stato quando mi sono dovuta trasferire in un appartamento che i miei figli non avevano mai visto prima. È stato davvero difficile per loro. Separati ci sentivamo dei miserabili, perché eravamo sempre stati insieme». Si erano sposati nel 1979. «Lui era sempre stato “realizzerò i tuoi sogni”», racconta Tina. «Ma sentivo che doveva succedere qualcosa perché si svegliasse».

Beyoncé con le Destiny’s Child nel 2001. Foto di George De Sota/Newsmakers

Anche dopo che sua moglie e i suoi figli si erano trasferiti, Mathew continuò a lavorare sui suoi contatti con la Columbia Records, continuando a inseguire il sogno. «Avevo questa visione, e quando le cose non vanno subito come hai previsto, allora i tuoi amici iniziano a dirti, “Cos’ha che non va questo tipo?”, e tutto ciò non fa che aumentare la pressione ed è molto difficile. Tuo marito è concentrato sulla musica piuttosto che sul suo lavoro, e sul tavolo ci sono le bollette. C’è stato un momento in cui Tina pensava che avessi dovuto riconsiderare questo sogno, ma io non volevo mollare».

Beyoncé capì soltanto diversi anni dopo cosa era davvero successo, ma racconta che il gruppo era diventato il centro della vita famigliare. Il progetto fallì, e lei sentiva la pressione crescere su di sé. «Il gruppo era tutto», racconta, «Quindi se il gruppo non aveva successo allora voleva dire che io avevo fallito, mi sentivo in colpa. Finché realizzai che mia madre possedeva uno dei migliori saloni di bellezza di Houston e mio padre aveva guadagnato tantissimo con il suo lavoro e aveva ancora i numeri per riuscire. Non rinunciarono al sogno perché sapevano che quella era ormai la nostra unica speranza per uscire dal ghetto. In quel momento ho realizzato che dovevo sbarazzarmi di quella pressione».

Quando Beyoncé aveva quindici anni, la Columbia offrì alle Destiny’s Child un contratto discografico e Mathew e Tina tornarono insieme. Entrambi affermano che i due episodi non sono collegati. «È stato un momento emozionante», racconta Tina. «Non si trattava di soldi, semplicemente avevano capito ciò che volevano, e finalmente sapevano come arrivarci insieme».

È sabato sera a Cannes, e dietro le quinte di una trasmissione, Beyoncé sta aspettando di entrare. Dice che i suoi denti del giudizio la infastidiscono, che in realtà la infastidiscono da un po ‘di tempo e che vuole farli togliere, ma non può permettersi due settimane con la faccia gonfia come un pallone. Ha il suo naso è chiuso e non si sbloccherà. La sua schiena la sta uccidendo così, poco prima di entrare in scena, inizia velocemente a fare una serie di allungamenti alla schiena, ai polpacci e alle caviglie, come fosse un’atleta che si scalda prima di una partita – qualora un atleta indossasse orecchini a candelabro, un vestito attillato color pesca e una gonna corta Armani grigia e scarpe coi tacchi a spillo di Giuseppe Zanotti, ricoperte di diamanti.

Si prende un momento per parlare con il suo team della sua prossima esibizione ai Grammy. «Mi piacerebbe vincere», dice parlando dei Grammy, «ma per me è più importante fare una performance incredibile. Perché la gente ricorda soprattutto le performance». Si mettono poi a esaminare alcune foto di riferimento che ha preso da alcune riviste per spiegare la direzione che sta prendendo in considerazione. Sembra che sia continuamente presa a riflettere su alcuni aspetti della sua carriera. Dice che sta già pensando ai video per il prossimo album delle Destiny’s Child. È frustrante per lei che la gente la consideri ancora una marionetta pop, come se non avesse prodotto o coprodotto ogni brano del suo album solista. «Lavoro molto duramente», dice. «Sono una perfezionista. Andrò in uno studio e risolverò il problema. Se il mio video è sbagliato, farò in modo che venga perfetto». È stata una sua idea, dice, quella di cambiare il video di Me, Myself and I in modo che la storia partisse dalla fine. «Queste cose non vengono pianificate da qualcun altro per me», racconta la cantante. «La mia famiglia mi ha aiutata, non ho fatto tutto completamente da sola, ma scrivo le mie canzoni, scrivo i miei video, aiuto con i miei look. Un progetto non può funzionare se l’artista non è coinvolto».

Lo spettacolo sta per iniziare, l’intensità cresce sempre di più. Beyoncé si guarda allo specchio, ha gli occhi di fuoco. Diventa irrequieta, i suoi piedi battono in terra nervosamente. Salta un po’ sul posto per provare il vestito, ed ecco che parte Sasha!. La schiena le fa ancora male.

Dietro le quinte, appena prima della sua entrata, Beyoncé è da sola, con gli occhi chiusi e la testa bassa, come se stesse pregando. Viene presentata in francese, gli amplificatori iniziano a sparer musica, Sasha! esplode. Se Beyoncé era un po’ malata, Sasha! è una tigra che azzanna la folla. Stanno tutti in piedi ad applaudirla, dalla prima all’ultima canzone. Passa da Baby Boy a Crazy in Love, cantando e ballando con tutte le energie, poi scende dal palco sorridendo. I ballerini hanno uno sguardo cupo, sembrano dispiaciuti di aver perso qualche mossa, ma Beyoncé è raggiante e rinvigorita. Ora che si è esibita, c’è un nuovo spirito dentro di lei. «È divertente», dice. «Qualunque cosa faccia male, quando sali sul palco, non fa più male». when you get onstage, it don’t hurt no more.”

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