Cor Veleno, il ‘Fuoco sacro’ dell’hip hop italiano brucia ancora | Rolling Stone Italia
Lo spirito che suona

Cor Veleno, il ‘Fuoco sacro’ dell’hip hop italiano brucia ancora

Abbiamo parlato con il trio romano del nuovo album uscito oggi, di Primo (a cui il disco è dedicato), dei nuovi talenti «piallati dai soliti cinque professionisti» e di cosa significa fare rap oggi: «Siamo fieramente outsider»

Cor Veleno, il ‘Fuoco sacro’ dell’hip hop italiano brucia ancora

Cor Veleno

Foto: Arsenyco

L’hip hop è una questione d’amore. Lo sanno bene i Cor Veleno che all’hip hop hanno dedicato (e dedicheranno, perché non sembra proprio ci sia intenzione di fermarsi) una carriera intera che da poco ha appena raggiunto il traguardo dei trent’anni. Sette dischi, da quel Sotto assedio del 1999, e tanta tantissima lotta in prima linea. «Ci siamo fatti il culo quadrato», ammette con orgoglio Squarta, che con Grandi Numeri e Gabbo forma il nuovo tridente dopo la prematura scomparsa di Primo nel capodanno 2015, una ferita ancora aperta per la band e per tutta la scena rap italiana.

A Primo era stato dedicato Lo spirito che suona, l’album che ha visto le prime tracce postume del rapper nel 2018, e ora, dopo la parentesi del joint album con i Tre Allegri Ragazzi Morti Meme K Ultra, anche il nuovo album della band Fuoco sacro – uscito oggi – dove sono nuovamente presenti delle sue strofe come nei featuring con Colle der Fomento e Fabri Fibra, due momenti a loro modo storici. Fuoco sacro continua così la tradizione ideologica dei CorVe: un sano amore per questa musica, la voglia di confrontarsi con i pionieri e i nuovi del genere e la mente sempre aperta verso nuove influenze sonore.

Abbiamo quindi parlato con loro dell’eredità di Primo, di Roma e della sua scena, di tutti i giovani artisti che vengono appiattiti dai «soliti cinque professionisti» e soprattutto di cosa è diventato l’hip hop oggi.

Partiamo da quello che abbiamo già potuto ascoltare dai primi singoli: Primo è presente anche in questo disco.
Grandi Numeri
: Abbiamo voluto tenere Primo fra noi, cercando di trovare le giuste proporzioni, le canzoni che in qualche modo avessero un senso. Penso ad esempio alle tracce con i Colle der Fomento e Fabri Fibra, canzoni che avremmo sempre voluto realizzare e che alla prima occasione buona abbiamo fatto. Non sono featuring e basta, sono qualcosa di differente.

Come nascono queste due collaborazioni?
Grandi Numeri
: Con i Colle è una storia di ragazzi che sono cresciuti assieme e che hanno preso poi due strade separate ma comunque molto vicine. E con Fibra c’era sempre stata la voglia da parte di tutti noi, da parte di Primo; volevamo riuscire a fare qualcosa assieme.
Gabbo: I due feat, Fibra e Colle, è come se fossero avvenuti anche con l’approvazione di Davide (Primo, ndr), perché sono cose comunque che già da prima erano una sua volontà e che poi per diverse ragioni non c’era stata occasione di fare. È come se fosse stato partecipe nella decisione di questi due feat.

A livello di significato il titolo di questo album è la coerente prosecuzione de Lo spirito che suona. Che significato date a Fuoco sacro?
Squarta
: Dopo aver fatto Lo spirito che suona, che era un disco necessario per un sacco di motivazioni, e aver fatto il disco con i Tre Allegri, ci siamo guardati e abbiamo scoperto che lo spirito di fare musica insieme era sempre più vivo, sempre più acceso. Fuoco sacro sta proprio lì a testimoniare quella cosa che ci ha spinto da quando eravamo ragazzini e che ancora è tangibile e viva, vivissima, come dire, una fiamma che non si spegne.
Grandi Numeri: In fase di stesura ci siamo resi conto che, nonostante ricorresse il cinquantesimo anno della nascita ufficiale del hip hop, non era stato realizzato nulla in Italia che volesse pagare un minimo di tributo a questa cultura. E da parte nostra c’è stato il desiderio di omaggiare l’hip hop. Il titolo prende proprio da questo spunto qua, cioè il fuoco sacro che ha permesso tantissimi artisti nel mondo e anche qua da noi di riuscire a creare qualcosa dal nulla.

Cor Veleno - 'Fuoco Sacro' feat. Colle Der Fomento

Cos’è per voi l’hip hop oggi?
Grandi Numeri
: È pura arte, una commistione molto contemporanea, quasi trasversale, tra musica, cinema, letteratura. Ogni artista oggi ha finalmente un approccio diverso perché non si è più nell’ottica di realizzare canzoni che siano solamente una sorta di manifesto di purezza del genere. Ora l’hip hop è come fosse una libreria in cui poter scegliere il libro del genere che si preferisce. Finalmente c’è qualcosa di più ampio e non solamente una battaglia su chi è più hardcore.
Squarta: E poi è una cultura che è sempre in mutazione, in movimento, il che la rende estremamente viva. Questo è proprio la forza di questa roba qui, il fatto che non è una roba statica.
Gabbo: Si adatta alla generazione che viene, quindi è molto attuale sempre nelle varie forme.

Nei featuring del disco ci sono artisti rap che ha fatto la storia del genere in Italia, come Inoki e Fibra, ma anche giovanissimi come Ele A. Come avete deciso con chi collaborare? Il comune denominatore mi pare sia proprio un certo fuoco.
Grandi Numeri
: Non volevamo fosse soltanto uno spaccato di un gruppo di persone che magari appartengono a una cerchia, diciamo, di fondatori, volevamo fosse più trasversale possibile. Un mix di nuovissimi, nuovi e storici.
Gabbo: Sulle nuove leve aggiungo che noi personalmente e in studio ascoltiamo molto le cose nuove. E non è che le ascoltiamo guardandole dal basso verso l’alto, ma le ascoltiamo cercando di cogliere e apprezzare quello che viene fatto. Quelli che abbiamo scelto sono quelli che ci piacciono, che hanno veramente quel qualcosa in più. C’è una vera e propria ammirazione verso questi ragazzi che comunque stanno costruendo la scena odierna.

Nel disco c’è un attaccamento profondo all’hip hop e alla scena rap, come dicevano, ma la storia dei Cor Veleno è una storia in cui sono presenti molto influenze, in ultima quello del disco in collaborazione con i Tre Allegri Ragazzi Morti, un esperimento praticamente inedito in Italia. In un certo senso i TARM stanno all’indie, al rock alternativo, come voi state al rap. Cosa è rimasto di quell’esperienza?
Squarta
: Sì, era un test, un esperimento, e questo pensiero ci ha accompagnato durante tutta la lavorazione del disco, prima in studio, poi nei live. È stato un test continuo, che poi è quello che abbiamo sempre fatto anche nei nostri dischi. Non abbiamo mai fatto un disco uguale all’altro, perché ci rompiamo le palle. Quel disco lo potevamo fare solo noi e loro, proprio per quello che hai detto tu: siamo due progetti abbastanza folli e aperti da volersi mettere alla prova continuamente. E cosa ci è rimasto? Una ricchezza musicale, culturale…
Grandi Numeri: Umana…
Squarta: Enorme che ci portiamo dietro come bagaglio su questo disco e sui prossimi.
Gabbo: È un disco nato in un periodo strano, quello del lockdown. È stato un lavoro voluto fortemente da tutti e due i poli perché con quella difficoltà o lo volevi fortemente, oppure sarebbe bastato un attimo per non farlo più.

Un commento sotto il video di Fuoco sacro mi ha fatto riflettere. Dice: «Vi seguo da 20 anni». La storia dei CorVe è ancora più lunga, parliamo di 30 anni. Come vi relazionate con la vostra storia? Cosa vedete se guardate indietro??
Squarta
: Guardando indietro e vedendo tutto quello che abbiamo fatto – sicuramente abbiamo fatto un sacco di cose – una cosa che mi viene sempre da dire è che alla fine non abbiamo combinato un cazzo. Lo dico in positivo, non fraintendermi, nel senso che questa è sempre la spinta a fare una cosa di più. Quando dici «io tanto alcune cose le ho fatte», poi ti siedi, ti adagi e lì sei morto, finito. Quindi c’è la consapevolezza di aver fatto sì un sacco di cose che ci hanno arricchito, ma anche la voglia di non sentirsi mai al punto di dire, ok ho fatto delle cose, adesso sto qua, vediamo che succede. Quando però sotto il palco vedo un fan di 40 anni e un ragazzino di 15 che cantano le canzoni penso che qualcosa di buono l’abbiamo fatto, se siamo riusciti ad unire due, tre, quattro generazioni.
Grand Numeri: C’è molta semplicità in quello che abbiamo fatto. L’attitudine è sempre stata quella, traducibile con Sempre grezzo (brano di Primo presente su 60Hz di DJ Shocca, ndr), il brano che ha fatto conoscere tanta roba nostra al pubblico grazie a Primo. Non c’è mai stata la voglia di parlare da un pulpito, quella roba la fanno altri, a noi interessa la musica, il suono, le rime, ci interessa proprio che il rap sia più vivo e attuale che mai.

Parliamo dopo che i Club Dogo si sono esibiti nella seconda delle dieci date sold out al Forum di Milano. Pensavate fosse possibile per il rap italiano arrivare a questi livelli?
Squarta
: Sì, onestamente sì, era solo una questione di tempo. Abbiamo lavorato tutti un sacco, ci siamo fatti un culo quadrato per questo, è giusto che sia così.
Gabbo: Era soltanto questione di dare la possibilità alle persone di scegliersi la musica senza imposizioni. Con l’avvento dello streaming è cambiato poi tutto, e il rap ha trovato una maggiore risonanza.
Squarta: Il rap inoltre ha continuato a parlare un linguaggio estremamente legato alla quotidianità delle persone mentre magari altri generi si sono un po’ fermati dal punto di vista comunicativo e quindi c’è stato come uno scollamento tra chi ascolta la musica e l’artista. Il rap invece è sempre stato strettamente connesso alla realtà di tutti i giorni delle persone con un linguaggio che è stato diretto e immediato.
Grandi Numeri: Inoltre, e tu ne sei la riprova, c’è stato un ricambio generazionale tra gli addetti ai lavori e ora finalmente c’è gente che è cresciuta con questo genere o che lo sente vicino. Prima c’era uno scoglio, uno scollamento generazionale enorme.

La storia dei Cor Veleno è legata in modo indissolubile da Roma. Vista anche la vostra recente collaborazione con il collettivo Lovegang, com’è lo stato di salute del rap romano?
Grandi Numeri
: Roma è una città popolosa con tantissime anime al suo interno. C’è chi è cresciuto ascoltando la musica di prima, chi è cresciuto a casa ascoltando anche il cantautorato italiano, la musica alternativa, e chi è cresciuto ascoltando il rap di Travis Scott ma con un occhio anche al sound dei Colle, o nostro. C’è una enorme varietà di generi e questa è la cosa che a me diverte tantissimo della scena romana.
Squarta: C’è una sorta di continuum che è estremamente stimolante e soprattutto c’è, come diceva Grandi, una varietà gigantesca di sound, di sfumature, di linguaggi, che è una ricchezza infinita.

Pallottole Sull'Amore (feat. Fabri Fibra)

All’interno del disco c’è una chiara presa di posizione su come gli artisti lavorano oggi, critiche palesate anche nell’unica strofa di Squarta su Outsider in cui rappa “E tu che c’hai cinque produttori, quattro uffici stampa / diciannove autori e un media manager in gamba / e ancora, chi ti mette i pantaloni, chi ti butta in quel programma / E tutto il team con cui lavori per ‘sta merda”.
Grandi Numeri: Sembra un po’ che i musicisti, in generale, non solo quelli rap, facciano musica più per le endorfine prodotte stando a vedere le visualizzazioni. Manca un’idea, un’introspezione fatta a monte. Se tutto quanto diventa una macchina, non è sano non riconoscere che in realtà il fulcro di tutto questo, il motore che si muove, è sempre quello del processo creativo che ci deve essere sempre a monte e che fa parte di una introspezione necessaria. A noi piace tantissimo rivendicare questa cosa di stare dentro un meccanismo che ovviamente ha la sua ragione d’essere, ma ovviamente mai essendone vittime, ma giocando più come sappiamo, con una sorta di idea un po’ di una squadra che propone il suo suono suo, differente dagli standard.
Squarta: Fare equipe, con musicisti diversi, è una roba che ci fa volare. Ma se poi dopo tutto questo ti devono affiancare le solite figure professionali e il tuo suono, la tua identità, la tua idea viene piallate da tutto ciò, e mettici pure che fai un disco di merda, eh, questo inizia ad essere un problema. In studio spesso sentiamo artisti nuovi che ci piacciono e speriamo sempre che non li vengano affiancati i soliti cinque-sei professionisti che inevitabilmente vanno a appiattire la particolarità e le peculiarità di quell’artista.
Gabbo: Sì, non sai quanti artisti nuovi che ci piacevano hanno perso così la loro identità.

E questo fa sì che questi progetti non abbiano longevità, l’opposto di quello che rappresentate voi.
Gabbo
: Se non ti differenzi più dalla massa, duri quanto la massa.
Grandi Numeri: Pochino.

C’è una frase del vostro featuring con Fabri Fibra, Pallottole sull’amore, che mi sembra racchiuda bene il tutto: “Tu tieniti Sanremo, noi Luca Carboni”.
Squarta
: Ci rappresenta totalmente.

Invece in Outsider cantate “E dalla scuola che ci trattano da outsider”. Che penso rappresenti bene la storia del rap in Italia e la storia dei Cor Veleno.
Grandi Numeri
: È proprio come è iniziato a tutto, no? Sai una volta siamo andati a suonare al Piper di Roma che ai tempi era il tempio della musica italiana, ancora legato a una certa storia degli anni ’60. Quando andavi lì c’erano tutti i fighetti che ti guardavano dall’alto in basso. Poi ci abbiamo suonato e lo abbiamo riempito. È un po’ questa la storia che raccontiamo con due rime, di come il rap ha stravolto tutto.

E voi vi considerate ancora outsider, fieramente outsider?
Squarta
: Certo.
Grandi Numeri: L’outsider è chiunque produce una qualche forma d’arte, deve disprezzare le zone di tranquillità estrema. Se non ti metti in discussione, se non trovi la parte scomoda, non funziona. L’arte non si può fare dal sofà.

È questo il fuoco sacro.
Grandi Numeri: Il fuoco sacro è qualcosa che ti dà una luce piccola, flebile, ma comunque una prospettiva in un qualsiasi momento storico.

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