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Comme des italiens: i Phoenix raccontano il nuovo album

Abbiamo parlato con Thomas, il frontman della band francese che in 'Ti Amo' canta (anche) in italiano

I Phoenix, foto di Taylor Hill

Questa cosa del giro del mondo è sfuggita di mano ai Phoenix. Se l’ultimo Bankrupt!, quattro anni fa, strizzava l’occhio all’Asia con scale orientali e video ambientati in Corea, gli alt rocker di Versailles stavolta si sono presi una sbronza di Bel Paese, dedicando il nuovo Ti Amo a un’Italia che forse non c’è più. I nomi delle canzoni (Tuttifrutti, Fior di Latte, Via Veneto, ecc.) sono una novità anche per chi come i quattro francesi è nel giro da più di vent’anni, ma la sostanza rimane: il solito synth pop da sculettare sotto un palco.

Solo che stavolta Thomas Mars e i suoi si sono sentiti autorizzati a calcare la mano con la nostalgia italo disco, dato che ormai si erano sbrodolati i colletti delle camicie con il gelato. «Ciao Claudio!», risponde alla chiamata Thomas con un italiano squillante. È di buon umore, ma è anche il giorno successivo all’attentato al concerto di Ariana Grande a Manchester, lo scorso 22 maggio. Quindi sarebbe strano non parlarne nemmeno per un secondo.

I Phoenix sono gli stessi dal 1999. Da sinistra: Christian Mazzalai, Laurent Brancowitz, Thomas Croquet (in arte Mars) e Deck d’Arcy. Foto di Taylor Hill

Non è un bel periodo per chi va ai concerti. Non hai paura?
Non ho paura per me, però ho due figlie che adorano Ariana Grande. Potevano esserci anche loro lì, tra la folla di Manchester. Questa cosa mi terrorizza.

Meglio parlare d’altro.
Meglio, sì. Continuo a pensarci, è assurdo. Più succedono queste tragedie, poi, e più aumentano i controlli, la sicurezza, l’oppressione delle autorità. Cambiamo argomento che è meglio.

Mi aspettavo che rispondessi alla chiamata come fai in Telefono. L’ultimo brano del disco in cui dici in italiano: “Pronto? Sì? Come va a Hollywood?”.
Cavolo, hai ragione! Prossima intervista con un italiano giuro che lo faccio.

Possiamo dire che Ti Amo è un concept album?
Ti do il mio permesso di scrivere quello che vuoi sul disco. Noi l’abbiamo fatto e basta. Quando scriviamo canzoni non sappiamo mai come o dove finiranno. Quello che posso dirti è che creiamo sempre un nostro linguaggio. Siamo francesi cresciuti a Versailles, e la lingua per noi – che sia inglese, italiano o la nostra – è solo uno strumento per arrivare ad altro. Vogliamo sperimentare elementi estranei in maniera distorta. Non è più affascinante quando una parola non viene pronunciata alla perfezione? Non cerchiamo mai di essere autentici inglesi quando cantiamo in inglese. Ci piace mantenere gli errori, ma non scambiarla per ironia: il nostro è vero amore. L’ispirazione viene da sentimenti molto semplici, siamo molto schietti. E poi ci piace raccontare storie strane. Era successo con Lisztomania e probabilmente succederà ancora con Fior di Latte. Immaginati come sarà cantarla davanti a, boh, dei messicani! Sarà un’esperienza unica.

Non storcevano un po’ il naso in Francia quando vi sentivano cantare in inglese? Almeno a inizio carriera.
Negli anni sessanta in Francia cantavano quasi tutti in inglese, per sentirsi più americani. Ci è voluto un po’ di tempo perché la gente capisse che non siamo più negli anni sessanta e che il nostro non è mai stato un atto di tradimento o di rifiuto della cultura francese. Usavamo l’inglese per parlare di noi, senza voler imitare nessuno. Questa faccenda dell’inglese cantato da un parigino forse ha spianato la strada ad altri, dopo di noi.

A volte, se ti dicono di non mangiare la caramella che ti mettono davanti, è bello fottersene e farlo

Comunque il tuo italiano non è niente male, sai?
È facile, perché due di noi sono figli di un italiano, Christian e Branco Mazzalai. Hanno sempre suonato tantissima musica vostra e, quando qualche anno fa il padre è morto, hanno sentito come il bisogno di conoscere più a fondo le loro radici. Così hanno cominciato a viaggiare per la penisola. Branco si sarà perso mille volte. Insomma, abbiamo preso tantissima musica italiana e ne abbiamo restituito una nostra versione alterata. Sono curiosissimo di vedere come la prenderanno i fan italiani.

Ti dico. Qui in redazione appena abbiamo saputo del titolo eravamo un po’ perplessi, perché tutte le canzoni più smielate qui si chiamano Ti Amo.
Esattamente! E pensa che il titolo dell’ultimo album, Bankrupt!, sarebbe dovuto essere proprio Je T’Aime. Poi non si addiceva bene al disco, ma per noi era la stessa cosa che avete pensato voi in redazione. Solo i cinque artisti più famosi in Francia potrebbero chiamare in quel modo un disco, e comunque non ci vorresti mai avere niente a che fare. Ma che ti devo dire? Ci piace riappropriarci di cose che all’apparenza sembrano vietate perché troppo sdolcinate. A volte, se ti dicono di non mangiare la caramella che ti mettono davanti, è bello fottersene e farlo lo stesso. Io poi ho tantissimi ricordi dell’Italia. Mentre registravamo ho vissuto tre mesi a Roma. Mia moglie stava dirigendo una pièce d’opera lì. Ma è stato quasi a fine album.

I Phoenix, foto di Taylor Hill

Tra l’altro ho realizzato che sposando Sofia Coppola sei diventato parente di Nicolas Cage. Che effetto fa?
Non so cosa rispondere. (C’è un momento di silenzio, ndr). Mettila così: è stimolante essere in una famiglia così piena di artisti.

OK, ti sei salvato in corner. Ma a me la storia dell’Italia non convince ancora, nel senso che deve pur esserci stato un evento scatenante.
I due fratelli Mazzalai sono cresciuti con i classici della canzone italiana, e io nel mio piccolo conoscevo qualcosa di Battisti. Però, sì, c’è stato un episodio che mi ha spinto a tradurre compulsivamente i testi di Battisti e Mogol, e che quindi ha dato il via a tutto. Ero a una festa di compleanno in un ristorante della Napa Valley, in California. Stavo mettendo la musica dal mio cellulare collegato allo stereo con un cavo jack, quando è partita una canzone di Battisti. A quel punto, un italiano è uscito in lacrime dalla cucina.

E da dove doveva uscire l’italiano, se non dalla cucina?
Te lo giuro, stava piangendo a dirotto e diceva: “Cosa sta succedendo?”.

Che canzone era di Battisti?
Era Il salame (da Anima Latina, ndr). Voglio dire, anche noi abbiamo Serge Gainsbourg e altri cantanti iconici, ma nessun francese ci metterà un trasporto del genere di fronte alla rievocazione della sua terra lontana. In quel momento ho pensato: “OK, ora devo tradurre ogni testo per sapere”. L’ho fatto, e quello che mi ha scioccato sono le impercettibili variazioni attorno al tema principale delle canzoni. C’è sempre un’idea semplice al centro, lo facevano anche i Velvet Underground, ma la si osserva sempre da diverse angolazioni. Come quando nel cinema piazzi sulla scena la stessa macchina da presa, ma da una prospettiva diversa. Ci è stato utile per capire che non c’è bisogno di torturarsi cercando di reinventare ogni volta la ruota. Basta usare un’idea semplicissima per cambiare il punto di vista degli altri. Anche per i nuovi live vale la stessa regola: c’è questo specchio ricurvo che ti fa vedere la band da ogni prospettiva.

È bello comunque che qualcuno abbia ancora una visione idealizzata dell’Italia. Gli italiani di sicuro non ce l’hanno più.
Sì, ti capisco. Il mondo intero ti può capire. È un po’ come i giardini di Versailles, che invecchiando perdono l’antico splendore. In qualche modo devi vivere lì, sapendo che qualcosa di grande è successo in passato, e che pian piano i suoi resti si stanno sgretolando col tempo.

Voi però non parlate mai bene della vostra Versailles. Come mai?
Noi adoriamo l’estetica del posto in cui siamo nati. Sarebbe da pazzi pensare il contrario. Ma in un posto di culto come Versailles devi comportarti in un certo modo, altrimenti non vieni accettato. Se poi fai parte di una band, allora sei un elemento di disturbo per la comunità e i musei. Ho amato crescere lì vicino alla Reggia, andare al parco con una bottiglia di notte, però è difficile viverci se sei giovane. O cambi tu, oppure cambi posto. Ho visto la stessa cosa a Roma, un’altra città bellissima ma incastrata nel passato. Pensa solo al fatto che devono sempre interrompere i lavori del metrò perché continuano a trovare antichità sepolte. Oppure perché, se vieni da Roma o Parigi, sai che non esisterà mai un posto bello come la tua città. C’è un momento in cui sai che, se vuoi uscire da lì, dovrai essere scomodo.

Come mai i vostri dischi escono sempre nella bella stagione? Suonano meglio se ascoltati in spiaggia?
No! Sai cos’è? Per qualche strano motivo quando registriamo ci prefissiamo Natale come data di scadenza. È una cosa implicita. Nessuno lo dice, ma tutti sanno che con il 25 dicembre dobbiamo aver finito di registrare. Così possiamo rilassarci. Ci godiamo le vacanze, la famiglia e magari pure Versailles.

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