Comet is Coming, jazz per un rave alla fine del mondo | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

The Comet is Coming, jazz per un rave alla fine del mondo

Il tastierista del gruppo più rappresentativo del nuovo jazz londinese ci ha raccontato come si tengono insieme Coltrane e l'elettronica, e perché quello del trio è il live perfetto per un viaggio interiore (e per tornare in forma)

The Comet is Coming, jazz per un rave alla fine del mondo

I Comet is Coming dal vivo

Foto: Danny Matson/Getty Images

Alla fine, la cometa è arrivata. Per il Guardian sono “futurismo musicale”, per Neil Spencer “musica hardcore per una generazione cresciuta con rave e grime”, per Pitchfork la “colonna sonora di una festa su un mondo che sta per svanire”. In realtà, la questione è molto più semplice. I Comet is Coming sono il progetto più rappresentativo della nuova scena jazz londinese: lontani dall’accademia, capaci di tenere insieme il John Coltrane più cosmico con il grime, hanno riportato il genere nell’underground – e poi sui palchi dei festival più importanti del mondo – e nelle playlist di chi nelle scuole di musica non ha mai messo piede.

Una volta a bordo della cometa, i musicisti del trio cambiano identità: Shabaka Hutchings diventa “King Shabaka”, Dan Leavers il minaccioso “Danalogue the Conqueror” e Max Hallet “Betamax Killer”. Nomi da b-movie fantascientifico anni ‘80, o al massimo da santoni alla Sun Ra, più che da serio collettivo jazz. In occasione dell’uscita del nuovo album Trust in the Lifeforce of the Deep Mystery (il primo con Impulse! Records, l’etichetta di Coltrane e Pharoah Sanders), i Comet is Coming torneranno a suonare sui palchi italiani. Ne abbiamo approfittato per fare qualche domanda al tastierista Dan Leavers.

Come descriveresti la musica dei Comet is Coming a chi non vi conosce affatto?
Vuoi una risposta veloce o una spiegazione più approfondita? Immagino quella veloce…

Abbiamo appena iniziato, sentiti libero di dilungarti.
È il souvenir di un viaggio nel subconscio. È quello che riportiamo indietro dopo i viaggi dentro noi stessi. È un messaggio in codice da un’altra dimensione. Ma insomma, se vuoi la risposta standard, allora faccio prima a dirti che suoniamo musica con elementi di jazz, rock psichedelico ed elettronica.

La tua definizione mi sembra più appropriata.
La penso così davvero. È così che vedo la nostra musica.

Hai parlato di “un viaggio dentro voi stessi”. Che significa? È una forma di meditazione?
Sì, ci sono dei “processi fisici”, diciamo così. In tour, per esempio, facciamo esercizi di respirazione e seguiamo il metodo Wim Hof. È uno specialista olandese ossessionato con il ghiaccio, le docce scozzesi, il freddo come metodo per elevare il tuo corpo. L’ho scoperto l’anno scorso e l’ho fatto vedere alla band, che mi ha seguito a ruota. Adesso facciamo gli esercizi e la doccia fredda prima di ogni concerto.

Funziona?
Ti scuote nel profondo, diciamo, e ci ascoltiamo di più, siamo più attenti a quello che suonano gli altri.

Com’è nata la band? È vero che Shabaka era un fan dei Soccer96 (un altro progetto di Leavers, nda) e veniva a tutti i concerti?
Sì, assolutamente. All’epoca i Soccer96 spaccavano. Avevamo appena fatto la nostra prima BBC Session, eravamo sulla cresta dell’onda e i nostri concerti erano una bomba. Shabaka ne ha visti tre di fila, era un fan. Poi, una sera, ce lo siamo ritrovati sotto al palco. Aveva il sax al collo e faceva dei segni, voleva saltare su e suonare. Così, nel bel mezzo di una canzone.

E cosa è successo?
Gli ho tirato un microfono. Il pubblico è andato fuori di testa. Il potere del trio, capisci?

Come avete scelto il nome?
Per caso, in studio. Era il secondo o il terzo giorno di registrazioni, eravamo un po’ fatti e io stavo mettendo su un vinile di BBC Radiophonic Workshop. L’ultima traccia si chiamava proprio The Comet is Coming. Io e Shabaka ci siamo guardati e abbiamo annuito. Era perfetto. Avevamo già capito che tra di noi c’era un legame silenzioso.

Questo “legame silenzioso”, come lo chiami tu, funziona anche per la composizione? Oppure avete un approccio più formale?
Sì, improvvisiamo molto. In realtà quasi tutto. A volte capita che alcune cose che scriviamo da soli, a casa, saltino fuori spontaneamente durante le jam. Ma sì, ci fidiamo l’uno dell’altro, soprattutto musicalmente.

Parliamo del vostro ultimo album Trust in the Lifeforce of the Deep Mystery. Come avete costruito quel suono così particolare, tra Sun Ra e John Carpenter?
La risposta a questa domanda è sempre diversa da quello che la gente si aspetta. Molti compositori approcciano la scrittura in maniera rigorosa, ascoltano John Carpenter e cercano i sintetizzatori, studiano i suoni e hanno un approccio molto tecnico. Io invece sono irrazionale: a 18 anni mi sono innamorato di due sintetizzatori, gli stessi che suono ancora adesso. I suoni che senti sono la conseguenza della mia storia d’amore con quelle macchine. Hanno un linguaggio, un’identità. Sono le mie navi spaziali in technicolor.

Parli più come un produttore che come un jazzista…
Mi interessa di più il suono che il resto… So che sto per dire un’eresia, almeno per i musicisti più tradizionalisti, ma le mie sensazioni sono più importanti delle scale. Nella scena jazz mi criticano, magari qualcuno pensa che non sono in grado di suonarle, ma non è così.

I Comet is Coming, foto stampa

Molti dei musicisti più apprezzati della nuova scena londinese – Tenderlonious, lo stesso Shabaka – sembrano lontanissimi dall’approccio accademico che di solito si associa al jazz.
Credo che in tutti i movimenti musicali ci siano artisti più legati alla tradizione. Ma c’è anche chi dice: “Sai che c’è? Amo la musica del passato e la rispetto, ma questo è il 2019 e io ho qualcosa da dire”. L’importante è essere sinceri, ma molti musicisti si tormentano di dubbi e cercano di scrivere musica per qualcun altro. Dalla mia esperienza ho capito che bisogna fare il contrario: scrivi per te stesso, e fallo nella maniera più coraggiosa possibile.

Credi sia per questo che i giovani si sono riavvicinati al genere?
Se sei onesto e scrivi senza farti troppe domande, il pubblico lo capisce, lo può sentire. E il nuovo jazz londinese è così, non c’è nessuna stronzata capitalista. Prova a cercare, non la troverai mai.

Ultima domanda. Cosa dobbiamo aspettarci dal vostro concerto?
Riprogrammeremo il vostro DNA. Alla fine del concerto sarete persone diverse. Il live ha diversi movimenti come una sinfonia classica. Si può ballare, oppure restare in contemplazione. È un’esperienza che ti cambia la vita, ovviamente. Ah, se volete tornare in forma, venite in prima fila.

I Comet is Coming suoneranno al MONK di Roma il 10 maggio e alla Santeria di Milano l’11. La data milanese è il secondo antipasto di Jazz:Re:Found, il festival dedicato alle contaminazioni tra jazz, elettronica e pop che si terrà a Cella Monte, in Monferrato, dal 21 al 23 giugno.