Che suono hanno le montagne? E come suonano le montagne italiane? È questa la domanda che adidas si è fatta e che il producer Stefano Riva è stato chiamato a rispondere nel progetto The Sound of Altitude. Tre vette – Cortina, Anterselva, Livigno – e uno skyline urbano (quello di Milano), che Riva ha esplorato fisicamente ed emotivamente, arrivando a comporre 4 brani, uno per località, con l’obiettivo di creare una playlist capace di trasportare atleti, sportivi e appassionati di musica in altitudini emozionali intense.
Lavorando a partire dai dati estratti dalle mappe topografiche di queste località, a cui si aggiungono field recording, processing digitale e analogico e coding, Riva ha indagato il rapporto tra natura, movimento e musica in un momento in cui lo sguardo del mondo è rivolto verso le vette italiane e la città di Milano. Echi dell’ambient di Brian Eno e Vangelis, ma anche un’attenzione a mantenere queste produzioni energetiche e adatte all’attività sportiva.
Il risultato è stato raccolto in una playlist – The Sound of Altitude – formata dai 4 brani prodotti da Riva. Ne abbiamo approfittato per fargli delle domande sul progetto firmato adidas e sul suo album solista di prossima uscita.
Milano, Cortina, Anterselva e Livigno: come hai reso in musica quattro paesaggi così diversi?
L’altimetria delle montagne è stato il punto di partenza per connotare le varie località. Anche se sono dei dati, infatti, nascondono informazioni sulle caratteristiche dei vari luoghi. Poi ho eseguito delle registrazioni ambientali direttamente in location, molto caratteristiche, che hanno differenziato i brani. E poi c’è la suggestione di immagini, di ricordi di questi vari luoghi. Ad esempio: Anterselva è materica, incontaminata, mentre Cortina è legata alla mondanità, alla festa.
Hai lavorato traducendo dati topografici in file MIDI. Come si trasformano i dati in qualcosa di musicabile?
I MIDI riproducono abbastanza fedelmente la linea simmetrica delle altezze di questi skyline. Ho preso questi file e li ho stretchati, magari tagliati in porzione, mappati su note, accordi, parametri di qualunque tipo, filtri, riverberi, lunghezza dei riverberi. Ciascuna località ha le proprie dinamiche: quelle di Milano sono inevitabilmente più statiche di quelle di Livigno.
Spiegaci meglio.
I MIDI, come poi si presentano nella maniera più usufruibile da un punto di vista compositivo, sono una sorta di linguaggio, di spartito allo stesso tempo evoluto e stilizzato. È un disegno, molto limitato rispetto a quello che sono le scanalature, un’approssimazione dello skyline di una montagna. L’utilizzo di questi dati è molto legato al coding e al programming.
Ci sono altri progetti di incontro tra dati e musica a cui hai fatto riferimento? Penso ad esempio al lavoro di James Murphy coi dati dell’U.S. Open.
È un progetto su cui abbiamo lavorato per parecchio tempo e di riferimenti ne abbiamo avuti differenti. Personalmente mi sono basato su reference che mi aiutassero a rappresentare l’atmosfera delle montagne. Quindi ho ascoltato molto Brian Eno (Music for Airports), Vangelis (in particolare Antarctica Echoes, che è stata la mia reference principale per il progetto in sé). Dal punto di vista della programmazione, invece, no, è una cosa su cui mi dedico quotidianamente, fa parte della mia ricerca artistica.
The Sound of Altitude è pensato per motivare atleti e sportivi: tu che rapporto hai con lo sport e con l’idea di spingere il corpo al limite?
Pratico sport da combattimento. Ho fatto 8 anni di boxe, ora da 4 faccio jujitsu. Facendo questo tipo di sport la mia necessità mentre ascolto musica è che abbia molta stamina, che carichi parecchio. Per me funziona come un energy boost.
Nelle tue precedenti produzioni e collaborazione hai raccontato la città, e in particolare Milano. Come questi due differenti ambienti, la città e la natura, incidono sulla tua creatività?
Io vengo dalla Brianza, zona Parco Adda Nord. Sono cresciuto in mezzo alla natura, nei boschi. Ma i dischi non si possono vendere nei boschi, lì non c’è un modo semplice di connettersi al pubblico, all’industria, agli altri artisti. La città, che non è il mio ambiente ideale, è un compromesso, un luogo che accetti per riuscire a svilupparti nella musica.
Pensi che il futuro della musica passi sempre di più dall’ibridazione con dati, mappe, intelligenza artificiale e nuove tecnologie?
Non parlerei di futuro, ma di presente, ci siamo già dentro fino al collo. Il progresso premia alcuni, altri no. Ha pro e contro belli sostanziosi. Sono scettico sul fatto che l’IA porti via il lavoro agli artisti. Si tratta di un codice, che può finire in mano a chi vuole monetizzare, certo, ma l’IA non ha l’esigenza di buttare fuori output artistici o creativi. C’è un po’ di solito terrore distopico.
Parliamo del tuo disco L’amante infelice, che uscirà a fine novembre. È ispirato all’omonima raccolta di racconti di Moravia. Come mai questa scelta?
Volevo fare una mia versione di quel libro. L’ho letto in un periodo piuttosto buio e mi ha rasserenato per il suo placido cinismo. Ho provato un coinvolgimento emotivo mai sperimentato per un’opera letteraria. La traduzione tecnica è avvenuta con il nostro magnetico e un registratore tutto scassato Teac che ho e che ho usato anche per The Sound of Altitude. Essendo rotto funziona solo un canale e per dare l’immagine stereo alla musica devo farlo a mano. Questo mi porta ad avere due tracce che si incontrano in alcuni punti, si abbandonano, si avvicinano, si allontanano, si perdono in due direzioni inconciliabili oppure ritornano ad essere complementari. Mi sembrava una traduzione in linea con l’opera.
Hai definito il tuo suono «psycho folk sintetizzato e omerotico». Come intendi?
Enrico Molteni de La Tempesta, che pubblicherà l’album, ha usato termini come psichedelico e folk. Sembra un po’ che sto raccontando delle storie di mare, davanti al fuoco con la chitarra, quindi questo è un po’ quello che si intende con questa definizione. Ho registrato la chitarra acustica con il Teac, ma anche esplorato registrazioni di radio degli anni ’20 e ’30 che trasmettevano orchestre già di per sé smagnetizzate e su cui poi ho fatto del lavoro di processing digitale.
