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Col loro punk da balera gli Extraliscio trasformano il liscio in gasato

Intervista alla band "più vicina a Buena Vista Social Club che il nostro Paese abbia mai avuto". Un OGM della musica che con il nuovo album 'Punk da Balera' farà esplodere un cortocircuito tra generazioni

Matteo Romagnoli di Garrincha Dischi li definisce “la cosa più vicina a Buena Vista Social Club che il nostro Paese abbia mai avuto”. Gli Extraliscio nascono dall’incrocio tra la barba hipster di Mirco Mariani e i capelli tinti di Moreno “Il Biondo” Conficconi. A fare incontrare i due romagnoli non è stato un parrucchiere di Misano Brasile ma Riccarda Casadei, figlia di Secondo. Mirco, polistrumentista e sperimentatore, ha suonato con Stefano Bollani, Paolo Fresu, Vinicio Capossela. Il Biondo, clarinettista e capo orchestra dell’Orchestra Grande Evento, è la stella dorata delle balere, già braccio destro di Raoul Casadei. In uscita con un singolo e con un album, il gruppo ha una missione chiara quanto il ciuffo di Conficconi e barocca quanto la barba di Mariani: trasformare il liscio in gasato. Rolling Stone ha incontrato Mirco per capire in che consista l’extra degli Extraliscio.  

Dal momento che “Punk da balera” è anche il vostro slogan, che cosa intende per punk?
Sono diplomato in contrabbasso: al conservatorio sono più le cose che ti dicono di non fare rispetto a quelle che ti dicono di fare. Il punk è mettere i sì al posto dei no. A Bologna ho un laboratorio pieno di strumenti strani, il Labotron, un’arca di Noè sonora: ho iniziato a collezionarli da ragazzino con i soldi dei concerti a Cesenatico, dove mi accompagnava il maestro della banda di paese perché non avevo ancora la patente. Oggi ho 50 anni e mi sento libero di suonare qualsiasi strumento, perché ho capito che conta più la musica dell’oggetto.

E la vostra voce, Mauro Ferrara, quanti anni ha?
Porco boia, non lo so mica. Con le età sono un disastro, non mi ricordo nemmeno quando è nata mia figlia. So solo che Mauro ha tutti i capelli tinti di nero carbone. Una volta, in auto verso un concerto, s’è guardato nello specchietto retrovisore e ha scovato un capello bianco. Tragedia. S’è fatto passare immediatamente il rimmel.

Non sarà tinto anche Moreno, “il Biondo”?
Eccome. C’ha tutta una gamma di sfumature che vanno dal tortora al crema, colori che non esistono neanche più sulla Terra. Per i primi due anni abbiamo investito lì tutti gli incassi.

Ma lì dove?
Nelle tinte. Scure per Mauro e chiare per Moreno. Adesso che c’abbiamo un mucchio di scorte di tubetti possiamo iniziare finalmente a metterci in tasca qualcosa.

Foto: Manuel Palmieri

Come nasce questo tripudio di tinte sperimentali, questa neoavanguardia rucola e squacquerone?
Ah, niente, qualche anno fa parlai bene del liscio su Radio 2. È una musica generosa, che privilegia il pubblico rispetto al narcisismo di chi suona. Vai avanti quattro o cinque ore, una roba come tre concerti di fila, capito? Finché la gente balla si va avanti. Poche smanie di protagonismo, si segue una tradizione codificata. È un lavoro per certi versi routinario, come gestire un’azienda o fare il carpentiere, fuori dallo stereotipo dei musicisti fighetti e tormentati.

E poi che è successo?
Che Riccarda Casadei, figlia di Secondo, stava ascoltando. Allora ha fatto incontrare me e Il Biondo nel suo palazzo di famiglia a Savignano sul Rubicone, capitale mondiale del liscio, un edificio enorme, anni ’80, con una chiave di violino sulla facciata.

Perché ha pensato di unire proprio lei e Moreno?
Perché Moreno è l’unico che riesce a pensare all’extra del liscio, ad allargare gli orizzonti. Così ci è venuta l’idea di tenere le radici della nostra musica popolare ma di innestare nuovi suoni nel tronco e nei rami. 

Insomma, siete una piadina OGM.
Qualcosa del genere. Quando pensi a Romagna mia te la immagini con la voce di Mauro. È pulita, potentissima, da Claudio Villa, forse da Pavarotti. Ma di solito è molto impostato. Poi, durante un concerto, dopo qualche mese che ci annusavamo, mentre lui cantava e io riproducevo sonorità distorte, Mauro s’è inginocchiato davanti a me e mi ha gridato: “Da quanto sono felice ti darei un morso alla gamba”.

Autentico “Punk da balera”. Che è anche il titolo del vostro secondo album, in uscita il 27 marzo.
Sì, però noi nelle balere non ci suoniamo. Il nostro target sono i giovani. Ci esibiamo nei locali dove suonano anche gruppi come i Pinguini Tattici Nucleari, per intenderci.

E i componenti della band da dove saltano fuori?
Alcuni li ha portati Moreno, altri io. Avevamo un bassista con meno di trent’anni, Nicolò Scalabrin, proprio perché il nostro obiettivo è il cortocircuito tra mondi e tra generazioni. Ci sono fenomeni come il sassofonista Fiorenzo Tassinari, considerato un mostro sacro addirittura dai jazzisti.

Anche lei ha suonato jazz per molti anni…
Sì, soprattutto con Enrico Rava, come batterista autodidatta. Poi il jazz mi ha stufato. In fondo io con l’America non c’entro tutto sto granché, la passione per quella musica aveva qualcosa di artificiale. La mia terra è la Romagna, e parla al mondo col suo liscio.

Perché liscio è bello?
Il liscio old school è tutta fumo e legno, da locali anni ’50. In fondo è parente di Billie Holiday. Ma col tempo questa cosa si è persa, oggi trionfano le basi, e il liscio è diventato un genere da balli di gruppo in atmosfere da karaoke.

Invece voi dove lo volete portare, questo liscio?
Nell’universo, ovunque, perfino nei teatri. Collaboriamo anche con lo scrittore Ermanno Cavazzoni, che tra le altre cose ha sceneggiato La voce della luna di Fellini. Lui legge dei suoi passi, noi suoniamo, e attorno i ballerini agitano dei mocio vileda. Il liscio come musica concettuale, per gente colta. 

 
La vostra storia si è addirittura incrociata con quella di Umberto Eco…
Sì, l’anno scorso. Per la chiusura della ventesima Milanesiana di Elisabetta Sgarbi, abbiamo inaugurato il monumento di Marco Lodola dedicato a Eco nella sua città natale, Alessandria.

L’avete inaugurato in che senso?
A proposito del suo libro illustrato La misteriosa fiamma della Regina Loana (Bompiani), Eco aveva detto al Corriere: “Ho accostato e alternato i due generi dell’epoca: gli inni guerreschi che si ascoltavano a scuola e i motivetti ilari che ci offriva la radio, unica vera voce dell’epoca. Un abbinamento di assoluta schizofrenia, quasi una sintesi degli anni Trenta e Quaranta”. Era insomma affezionato alle canzoni della sua infanzia: Maramao perché sei morto, Pippo Pippo non lo sa, Mille lire al mese. E noi le abbiamo suonate in sua memoria. 

Già il 13 marzo uscirà un vostro singolo.
“Singolo”, per un gruppo di liscio, fa già ridere di per sé. Ho trovato un’antica melodia ungherese e con Pacifico c’abbiamo scritto sopra un testo, Merendine blu. Io me le immagino come uno di quei cibi che danno i superpoteri ai supereroi, tipo gli spinaci di Braccio di Ferro.

Canterà Mauro Ferrara?
No, in questo caso le voci sono di Lodo Guenzi de Lo Stato Sociale e di Orietta Berti. Merendine blu anticipa l’album Punk da Balera, per la Garrincha Dischi di Matteo Romagnoli. È il nostro secondo disco: il primo era innocente e spontaneo, questo più consapevole, con l’obiettivo di riprodurre a domicilio la magia dei nostri live (il primo concerto del tour sarà al TPO di Bologna il 17 aprile, ndr). Ci sono voci-monumento come Armando Savini e Roberta Cappelletti, la prima donna capo orchestra di liscio della Storia.

Come definirebbe i suoi musicisti?
I romagnoli del liscio sono vichinghi selvaggi che calzano scarpe di vernice lucidissime. C’è qualcosa di più punk?

   

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