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Clean Bandit: il (super) successo della normalità

Intervista con la band inglese di 'Rockabye' e 'Symphony', tra Sean Paul, i miliardi di views su YouTube e i droni...

I Clean Bandit sono forse l’anomalia più anomala degli ultimi cinque anni di pop music, ma forse anche di più. Infrangono in un colpo solo tutti i comandamenti della band perfetta, ma nonostante questo i numeri e le classifiche, alla fine, continuano a essere dalla loro parte. Non corrispondono esattamente allo stereotipo “belli e dannati”, quanto più alla straordinaria evoluzione della band del club per secchioni delle superiori. Non a caso si sono conosciuti in alcune delle migliori school dei dintorni di Londra, e sono tutti passati da Cambridge, addirittura: la crema della crema dell’educazione britannica.

Sono in tre: i fratelli Luke e Jack Patterson e Grace Chatto (dal 2016 hanno salutato Neil Amin-Smith, che ha lasciato la band all’apice del successo, chiarendo la sua posizione con un lungo post su Facebook) e non hanno gossip, ragazzate o altro alle spalle. In un’intervista di inizio carriera al Guardian raccontavano di litigi furiosi per la definizione del rider da richiedere ai concerti, tra Doritos e insalate di Marks & Spencer. A un certo punto di questa intervista chiedo loro quali siano stati i cinque momenti da ricordare di questo 2017 – che hanno passato tra il palco del Glastonbury e il miliardo di view per il videoclip di Rockabye, la loro maggiore hit che ha poco più di un anno di vita – e sentono il bisogno di citare le riprese con il drone fatte alle cascate del Niagara. Bellissime, a detta loro, ma…

Nonostante questa mancanza cronica di brividi da rockstar, che forse erroneamente sono sempre stati visti come la “malata” pozione magica per arrivare in cima alle classifiche, i Clean Bandit stanno là.

Maglione lavorato, pantaloni in fustagno e scarpe stringate, tutto Salvatore Ferragamo. Foto Bartek Szmigulski

E là significa un Grammy nell’armadietto (come Best Dance Recording con Rather Be, nel 2015), 13 dischi di platino soltanto considerando l’Italia, hit che sono hit vere, da Top 10, in mezzo mondo o forse anche di più. Ma d’altra parte lo sappiamo, che la regola d’oro nella musica è non fidarsi mai delle apparenze. E le apparenze sono quelle che Grace Chatto, esile 30enne con il pallino della musica classica e i capelli rosa, ha intenzione di smontare. Sul web ha detto di saper parlare italiano, ma non oso testare le sue conoscenze per evitare risposte imbarazzate, nonostante il trio sia in visita a Milano per un evento speciale voluto da Salvatore Ferragamo e un’esibizione televisiva armati del violoncello versione discoball delle foto in queste pagine. Ha una faccia tosta notevole, tanto che i suoi compagni di viaggio riconoscono a lei e a questa sua qualità il merito di aver rotto il ghiaccio tra una bizzarra band di musica classica dance e il mercato discografico. È lei che all’inizio consegnava i demo a fine concerti, chiamava gli A&R delle case discografiche, radunava più gente possibile per convincere tutti che quella “roba” lì funzionava, bastava ascoltarla. Lei e Jack Patterson si conoscono da sempre, hanno sempre suonato insieme in vari quartetti d’archi. «Un giorno a Jack viene un’idea, mettere dei beat e delle linee di basso sotto i pezzi classici, che scrivevamo nelle nostre camerette», dice Grace. D’altra parte, il maggiore dei fratelli Patterson ha sempre detto che i migliori drop li ha sentiti arrivare dalle opere di Beethoven. «Per noi era una novità, un esperimento vero. Non avevamo idea di cosa sarebbe uscito». Era il 2009, una manciata di anni fa.

Da sinistra, cappotto oversize Mackintosh, felpa con zip Adidas Originals, denim Unlimited, scarpe stringate Salvatore Ferragamo. Per lei, giacca militare Off-White, t-shirt Carne Bollente, gonna Courréges. A destra, giacca Calvin Klein, lupetto in cashmere Salvatore Ferragamo, pantaloni Stussy, stringate Ferragamo. Da www.luisaviaroma.com. Make up: Luigi Sutera per DIego Dalla Palma Milano. Hair Stylist: Fabio Sidoli. Foto Bartek Szmigulski

Ed è così che si ripete quella fusion tra classica e dance che accompagna più o meno fortunatamente la storia della musica da una trentina d’anni, ma che mai era stata di stampo così fortemente UK, e neanche lontanamente così di successo. «La dance music è sempre stata un po’ più una mia passione», continua Grace. «Ero io che andavo a ballare spesso, Jack e Luke erano più orientati al jazz l’uno e all’indie l’altro. Sai», abbassa la voce, «nel nord dell’Inghilterra, da dove vengono loro, non era così figo dire “Mi piace la dance music”. Oggi hanno cambiato idea, ma qualche anno fa…», oscillando la mano in orizzontale per far capire che no, non era proprio figo.

Quindi i Clean Bandit si mettono in testa di sfondare, o meglio di provarci, organizzando piccoli party (ecco, qui mi sa che qualche brividino c’era) dove testare le loro produzioni che – ascoltare Mozart’s House, uno dei loro primissimi lavori, per credere – in realtà virano molto di più verso la scuola break UK che non verso le classifiche. «Ho subito pensato che quello che scriveva Jack avesse un mass appeal molto forte, la gente era affascinata dal fatto di vedere una ragazza con il violino in mezzo ai beat e alla musica da club, era una combinazione che funzionava bene, sia musicalmente che a livello visivo», continua.

Credo che ci sia bisogno di aprire un dialogo politico con i cittadini più giovani. E che sia anche un nostro dovere, in parte

«No, non abbiamo mai pensato di finire in classifica sul serio, ma forse per avere davvero successo non devi farlo, non devi puntare ad arrivare subito lì in alto, devi tenere la mente sgombra». Sulla strada verso il successo, però, ci si mette un piccolo problema – e un’altra infrazione al decalogo della pop band perfetta: i Clean Bandit non hanno una voce principale. Nessuno di loro canta, non ne hanno intenzione. Vuol dire che per ogni brano bisogna beccare il featuring giusto. E pare che per questo fossero esclusi a prescindere dalle case discografiche. «All’inizio dovevamo chiedere ai nostri amici», dice Grace. «Pensa che il primo contatto con Sean Paul (che canta Rockabye con Anne-Marie, nda) è stato sei anni fa, a un suo concerto. Gli abbiamo passato alcuni nostri pezzi con un demo, per noi era un mito. Lo è ancora, in realtà. È stato un sogno poter lavorare con lui».

I featuring scelti per i vari pezzi della band, andando a prenderli uno ad uno, non sono sulla carta dei valori aggiunti, a parte l’idolo giamaicano. Jess Glynne, Louisa Johnson, la già citata Anne-Marie, per dirne alcuni, non sono certo il motivo della fama o dell’hype dei pezzi.

Giacca in bouclé Stella McCartney. Foto Bartek Szmigulski

Anzi, per un periodo si era creato l’equivoco che Jess Glynne fosse la voce ufficiale del gruppo. Insomma, non è proprio uno scherzo, soprattutto per la promozione, per l’attività stampa e per tutte le cose collegate all’immagine pubblica della band. «L’ultimo singolo, I Miss You, lo canta Julia Michaels: ecco, per esempio la sua Issues è stata per noi un tormentone estivo, è stata molto importante per noi in prima persona. E in più ha scritto anche Sorry di Justin Bieber, che è una delle mie canzoni preferite di sempre». E non è un caso che lo sia, le dico.
Parliamo di come la musica da classifica, chiamiamola pop per comodità, sia cambiata parecchio negli ultimi anni, spostandosi sempre di più verso la cassa in quattro e meno verso sdolcinate melodie da chitarra e voce. «Sì, da quattro o cinque anni abbiamo visto un sacco di cambiamenti, c’è molta più dance in classifica. E, sempre per quanto riguarda l’Inghilterra, aggiungo anche reggae e dancehall che ultimamente stanno conquistando un sacco di pubblico nuovo», dice. È per questo che avete fatto uscire ora Rockabye, con tutte quelle chitarrine al posto giusto e la partecipazione di Sean-da-Paul, chiedo. «No, quella ce l’avevamo già pronta», risponde, facendo traspirare il primo colpo da perfetta pop band, ovvero la fortuna sfacciata. «Da piccola mi piacevano gli Ace of Base, che facevano più o meno questa cosa, unendo dance/pop e ritmi reggae già all’inizio degli anni ’90. Te li ricordi?». All That She Wants, era il 1992. Abbiamo la stessa età, Grace, e forse le stesse identiche adolescenze al mare ad ascoltare la band dei fratelli Berggren.

La forza dei Clean Bandit è sempre stata quella di fare dei motivetti fischiettabilissimi, che chiunque ha sentito in radio una volta nella vita, magari in spiaggia. Sicuramente non sono impegnati, sicuramente non complicano le cose, esponendosi o facendo pezzi carichi di significati sociali. Dice che è proprio Rockabye la canzone più complessa a livello di testo prodotta dalla band finora: parla di un rapporto madre-figlio, delle difficoltà quotidiane nell’assicurare un futuro a una famiglia. È stata scritta da Ina Wrolsden, autrice che ha prestato la sua voce al Calvin Harris di qualche anno fa su How Deep Is Your Love. L’ha scritta ispirandosi alla sua vita di mamma, più che a quella di musicista (Single mum, how’re you doing out there? / Facing the hard life, without no fear). Quindi, quando passiamo a parlare di politica, Grace Chatto non è proprio brillantissima. Ma so che è un argomento sensibile, perché di recente ha avuto un momento di impegno pubblico improvviso che ha fatto discutere non poco, al di là della Manica.

Eco pelliccia Marco De Vincenzo. Foto Bartek Szmigulski

La faccia, e la maglietta, le ha messe durante il Big Weekend della BBC Radio 1 (la nostra Rai Radio Uno, per intenderci, con lo stesso peso politico ma con una programmazione musicale al confine con l’indipendente) quando ha indossato una t-shirt con una rivisitazione dello swoosh più famoso del mondo, con il nome di Jeremy Corbyn sopra. Il leader del partito laburista è diventato una specie di idolo pop tra gli inglesi più giovani, specialmente dopo il brusco risveglio dovuto alla Brexit. «Sono tutti andati un po’ in panico dopo quel referendum», ha spiegato Grace. «Ci siamo svegliati e all’improvviso eravamo fuori dall’Europa, è stato uno shock per chiunque. Mi piacerebbe che cambiassimo al più presto direzione e quindi persone che stanno al governo». Per chiarire la situazione, ovviamente la BBC ha blurrato la maglietta durante le riprese, che prevedevano anche la registrazione di un video messaggio per il One Love Manchester, il mega concertone organizzato in seguito agli attentati durante il live di Ariana Grande a Manchester, trasmesso dalla stessa BBC. Una censura a tutti gli effetti che ha fatto incazzare non poco la band: nei giorni immediatamente successivi, Grace si è chiesta in pubblico se il destino della sua maglietta sarebbe stato ugualmente sfocato se ci fosse stato stampato sopra il nome dell’attuale Primo Ministro, Theresa May.

«Credo che ci sia bisogno di aprire un dialogo con i cittadini più giovani, e che sia anche un nostro dovere, in parte. Abbiamo perso fiducia, fatichiamo a credere a quello che dicono i media mainstream, ma sono certa che in Inghilterra stiamo riuscendo a dare uno scossone demografico alla politica. Abbiamo dimostrato che certi argomenti non sono un fatto per soli uomini bianchi di una certa età ma, anzi, devono essere di interesse di tutti», dice seria, aggiustandosi sul divano, senza alzare però tono di voce. «Parliamo di modelli da seguire, di ideali e di come vengano intercettati dalla musica. Non c’è bisogno di parlare di continuo e di esporsi troppo, quanto, piuttosto, di dare i messaggi giusti, per la società in cui viviamo.

Foto Bartek Szmigulski

Prendi, ad esempio, una come Miley Cyrus, lei è una popstar perfetta, secondo me», dice Grace, e mi viene un po’ da sorridere, ripensando a quanto siano “imperfetti” loro. «Ha tutte le qualità al posto giusto. È divertente, usa bene la sua immagine, sa essere sexy quando serve, ha una bella voce, ma fa anche un sacco di campagne, è sensibile a tanti argomenti, per l’uguaglianza, per le minoranze. Lotta spesso, cerca di sensibilizzare i suoi fan. È bello avere come punti di riferimento artisti come lei, da seguire davvero». Nella vita, anche al di là delle foto che posta su Instagram.

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