Chuck D e i Public Enemy lottano ancora | Rolling Stone Italia
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Chuck D e i Public Enemy lottano ancora

Le leggende del rap americano sono state in Italia per un'unica data. Abbiamo chiesto a Chuck D del progetto Prophets of Rage e per cosa è giusto incazzarsi oggi, a partire dalle Presidenziali

Chuck D e i Public Enemy lottano ancora

La prima cosa che penso quando vedo da vicino, da molto vicino, Chuck D è che più che un musicista sembra un pugile, così come Muhammad Ali è sempre sembrato un rapper e forse lo è stato prima di tutti. Mancano solo pochi minuti all’inizio dell’unico concerto italiano dei Public Enemy, a Roma, nel bel mezzo del quartiere residenziale EUR e in una struttura fatta costruire da Benito Mussolini. Non proprio la location che immagineresti per un concerto dei Public Enemy, la più grande rock’n’roll band della storia della musica (come scrisse Simon Reynolds su NME a fine anni ’80).
Ma se c’è una cosa che la musica può fare è quella di prendere un luogo e trasformarlo per due ore in un posto che prescinde sia dallo spazio che dal tempo. Così anche l’architettura razionalista sembra piegarsi davanti alle bordate di pezzi come Bring The Noise e Fight The Power, veri e propri classici della canzone di protesta. Quella migliore. Quella con i bassi che fanno tremare lo stomaco. Ci sono tanti argomenti da affrontare: la situazione politica americana, l’ascesa di Donald Trump, ma anche il supergruppo – Prophets of Rage, proprio come una canzone dei Public Enemy – che Chuck D ha appena formato con i Rage Against the Machine (senza Zach De La Rocha) e B-Real dei Cypress Hill. L’atmosfera è rilassata anche se c’è uno show da preparare: Chuck D si fascia le caviglie e si allena proprio come farebbe un pugile mentre continua a parlare. Proprio come farebbe Ali, se fosse ancora tra noi.

Public Enemy- PROPHETS OF RAGE

Perdonami, ma non posso non chiederti niente dei Prophets of Rage, anche se so che non ne puoi parlare. Posso dire, però, che era scritto nelle stelle che tu, B-Real dei Cypress Hill e i Rage Against the Machine sareste finiti in una band insieme.
Eh già, è proprio così! È nato tutto da un’idea di Tom Morello: un paio d’anni fa siamo stati invitati insieme in un programma televisivo. Eravamo io, lui, Travis Barker alla batteria e LL Cool. J.
È andata talmente bene che Tom non ha mai smesso di pensare a un modo per farla diventare una cosa più seria e strutturata. Sai, i Rage hanno smesso di suonare nel 2011 ma in qualche modo la gente non ne ha mai avuto abbastanza e anche loro si sentivano di poter dare ancora tanto. Come band avevano voglia di esplorare nuovi territori ma non riuscivano a trovare il modo per ricominciare, capisci? Con Prophets of Rage abbiamo trovato un modo per prendere le loro canzoni, le nostre e quelle dei Cypress Hill e portarle nel futuro, e non è un caso che questo accada in un momento storico in cui il mondo guarda agli Stati Uniti d’America con la faccia di chi si sta chiedendo: ‘Ma cosa cazzo sta succedendo!?’.

E quindi che dici di questi primi concerti di prova? Come sono andati?
Bene, benissimo! Sono stati degli show fenomenali. Sai, quello tra di noi sulla carta è il matrimonio perfetto, ma una volta sul palco poi dobbiamo fare anche meglio di quello che la gente si aspetta. In questo momento noi ci sentiamo come dovevano sentirsi i Led Zeppelin ai tempi del loro primo concerto, o Crosby, Stills, Nash e Young. Hai presente, no? Quando si sono ritrovati e uno arrivava dai Byrds, Stills dai Buffalo Springfield, Nash dagli Hollies e Neil Young, beh… e il loro primo concerto è stato a Woodstock. Boom! Ecco, per noi è stato uguale: solo che il nostro Woodstock è stato il Whisky a Go Go di Los Angeles.

In programma c’è un tour lunghissimo, che attraverserà in lungo e in largo gli Stati Uniti, e che porta il nome di “Make America Rage Again”. Non serve essere particolarmente brillanti per cogliere il riferimento allo slogan che Donald Trump sta portando in giro in questi mesi: “Make America Great Again”. Cosa pensi della sua candidatura?
Non è Donald Trump che mi fa paura, ma la stupidità della gente che lo segue. È come per il nazismo: più di Hitler a mandarmi in paranoia è l’idea che gran parte della popolazione tedesca dell’epoca abbia creduto che idee così pericolose potessero essere giuste. È quello il problema: passano gli anni, ma gli errori che vengono commessi sono sempre gli stessi.
D’altronde questo tipo di ideologia si basa proprio sulla paura che genera nei confronti delle persone. È terribile, non trovi?

Se ignori la storia, sei condannato a vivere da schiavo.


Io ancora faccio fatica a crederci: quando Trump si è candidato in tanti abbiamo pensato che si trattasse di un bluff e che non saremmo mai arrivati fino a questo punto…
Esatto! Ma vedi, il punto è che in America c’è molta povertà e parlo di una povertà anche ‘geografica’. C’è un sacco di gente che ignora completamente cosa succede in giro per il mondo e che guarda ogni altra cultura con sospetto e, appunto, paura. Trump attecchisce e riesce a comunicare proprio con quel tipo di persone. Se ignori la storia, o la geografia, sei condannato a vivere da schiavo.

Una cosa che mi colpisce sempre è che a occuparsi di questi problemi, nel mondo della musica, siate più o meno sempre gli stessi. Voi che c’eravate già all’epoca di Reagan e che continuate a combattere contro gli stessi pregiudizi e gli stessi problemi di allora. Ma davvero non è cambiato niente?
Ma no! Le cose sono sempre diverse, perché sono diverse le persone. E anche se la situazione non sembra essere davvero cambiata, il fatto che sia ‘nuova’ la gente stravolge completamente lo scenario. Il potere contro cui combattiamo non è più lo stesso potere di allora, anche se la matrice da cui discende è la medesima, ed è cambiato anche il modo di combattere.

Cosa ne pensi di Obama? Tu sei stato uno dei supporter della primissima ora…
Brava persona, ma cattiva amministrazione. È stato come avere un ottimo pilota alla guida di una macchina dal motore scassato. Io credo che lui abbia fatto tutto quello che poteva: è il Presidente degli Stati Uniti, non il Presidente dei neri. Lo sapevamo fin da prima della sua elezione, ma in tanti erano convinti che avere un presidente nero avrebbe creato più opportunità.
E invece non ha fatto miracoli. D’altronde non è mica Gesù.

Il potere contro cui combattiamo non è più lo stesso potere di allora, anche se la matrice da cui discende è la medesima


Però durante la presidenza Obama – anche per via di quello che è accaduto con Trayvon Martin o Michael Brown, la rivolta di Ferguson – si è tornato a parlare moltissimo, anche a livello internazionale, della questione razziale. Mi interessa il tuo punto di vista su questo, dato che sei anche stato molto coinvolto dal movimento “Black Lives Matter”…
Black Lives Matter è una cosa bella e importante perché è un movimento che ha coinvolto e avvicinato a certe questioni anche ragazzi molto giovani e che fino a quel momento non erano mai stati trattati come adulti e che invece sono stati chiamati a prendere delle decisioni, fare delle scelte e mettersi in moto.

Come vedi Hillary Clinton come alternativa a Trump ora che anche la sua candidatura è ufficiale?
Secondo me c’è una distanza siderale tra i bisogni reali della gente e il sistema dei partiti che domina negli USA. Il popolo fa fatica a sentirsi davvero rappresentato da Hillary Clinton, ma anche da Trump, perché la ritiene parte integrante di un meccanismo. È come se loro giocassero sulla pelle della gente e questo cambierà solo quando gli americani scopriranno che esiste un altro mondo oltre il loro.

E Bernie Sanders? Lui è diverso, no?
Sanders da un punto di vista filosofico è perfetto: ha delle idee promettenti e che per fortuna non sono passate sotto traccia. Ma in un sistema partitico criminoso come questo, anche per quanto riguarda i soldi, non aveva nessuna possibilità di farcela.

Parliamo un po’ di rap? Mi sembra che negli ultimi tempi si sia tornato molto a parlare di società dopo un periodo dominato dall’edonismo e dall’individualismo. E invece con i dischi di gente come Kendrick Lamar e Run The Jewels…
Abbiamo artisti migliori sulla nostra etichetta! Non fraintendermi: io amo Kendrick Lamar e i Run The Jewels e credo che loro stiano sfruttando alla grande il loro potere e l’enorme visibilità che hanno per fare passare anche delle tematiche importanti e un punto di vista originale sulle cose che stanno succedendo nel nostro paese. Ma credo pure che la spinta propulsiva che tiene in vita l’hip hop vada cercata lontano dalle major. Le cose migliori sono quelle che accadono nell’underground, nel mondo delle etichette sotterranee e spesso anche fuori dai confini americani. È per questo che ci siamo inventati una struttura come rapstation.com, dove facciamo il possibile per mettere il nostro nome e la nostra credibilità a disposizione di quei talenti che fanno fatica a emergere ma che stanno facendo cose davvero degne di nota.

Trent’anni fa avresti mai pensato che alla tua età saresti stato ancora sul palco e che i Public Enemy sarebbero stati così importanti? Visto come è andato il film sugli N.W.A., mi sa che toccherà presto anche voi. Sei pronto a vedere un attore vestire i panni di Chuck D?
No, non succederà mai perché i film sono solo opere di fantasia, in quel caso una fantasia plasmata da Dr. Dre, mentre noi non abbiamo niente a che fare con l’industria del cinema. A noi interessa solo continuare a fare dischi, scrivere canzoni, andare in tour e dare ad altra gente la possibilità di fare lo stesso. Ecco, per me è proprio questo il motivo per cui siamo in giro da così tanto tempo: la musica.

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