Chi è Napoleone, il cantautore che duetta con Guè in ‘Madreperla’ | Rolling Stone Italia
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Chi è Napoleone, il cantautore che duetta con Guè in ‘Madreperla’

Dice di non essere «abbastanza stronzo» per avere successo. Per ora ci sono canzoni che recuperano la tradizione funk partenopea, una giacca da cameriere che ha indossato alla prima ospitata e un concept matto

Chi è Napoleone, il cantautore che duetta con Guè in ‘Madreperla’

Napoleone

Foto press

«Non sono abbastanza stronzo per raggiungere vette di successo altissime». Lo ha detto Davide Napoleone in una delle interviste concesse negli ultimi due anni, anni in cui le sue canzoni hanno iniziato a circolare e, complice un’emittente mainstream come Radio Deejay, a collezionare un numero crescente di streaming e ascoltatori.

Classe ’92, già autore Sony per Gaia Gozzi, Chiara Galiazzo e Michele Bravi, il cantautore di Capaccio Paestum, provincia di Salerno, stava per abbandonare la musica come professione quando sul suo singolo Lacrime a mare si è innescato un passaparola che la primavera scorsa ha fatto sì che il pezzo, durante una puntata di Propaganda Live, sia stato usato da Makkox come sottofondo di uno dei suoi cartoon e che in estate gli ha permesso di mettere in piedi un tour di una ventina di date live, incluso un passaggio sul palco di Party Like a Deejay, la festa della suddetta radio a Milano.

Piccoli passi, ma significativi e inattesi, per un trentenne lontano dalle mode, che ama cantare in dialetto campano e scrivere canzoni che recuperano la tradizione del funk partenopeo con rimandi a Pino Daniele e Alan Sorrenti. Ora, nonostante la poca stronzaggine di cui sopra, un ulteriore traguardo: dopo la pubblicazione, il 6 gennaio, del nuovo singolo Appuntamento al lungomare, il 2023 di Napoleone proseguirà con Capa tosta, featuring che chiude l’atteso album di Guè, Madreperla, uscito oggi. «Un altro caso in cui ho avvertito che qualcuno ha capito quello che sto facendo e che non è una questione di genere musicale, ma di approccio alla musica», commenta Davide. «Niente di costruito: se sono stato contattato per questa collaborazione è perché il disco di Guè è prodotto da Bassi Maestro, che ho scoperto essere mio fan e a cui piacciono le mie produzioni. Dopodiché lo stesso Guè mi ha confidato di essere rimasto affascinato dal mio percorso, perché sto andando piano».

In effetti, in un’epoca in cui velocità e moltiplicazione di contenuti sono diventate un diktat anche nel mondo della musica, la storia di Napoleone è quasi un’anomalia. «Nel contesto di oggi è strano, ma sto facendo tutto con calma e anche adesso che qualche soddisfazione me la sono tolta non ho nessuna fretta, non ho voglia di fare le cose tanto per farle, di bruciare le tappe, non rincorro il successo, né il cosiddetto hype. Le cose che mi sono accadute, da Radio Deejay al featuring con Guè, sono tutte avvenute senza che le cercassi. Oggi è tutto gonfiato e tutti cercano fondamentalmente di diventare famosi, non badano a ciò che fanno e propongono, pensano unicamente al risultato, ai numeri, il che sta rovinando la musica, ma non solo. Ci hanno messo in testa che possiamo switchare da un’attività all’altra in un secondo come se tutto fosse intercambiabile, come se prendersi cura di qualcosa non avesse più senso. Invece sta tutto là». Parole sagge, che qualcuno definirebbe da boomer, ma di questo Napoleone ha scelto di fregarsene. «Non sarebbero neppure discorsi da fare, questi, meglio andare avanti per la propria strada e basta. Di certo, però, gli attestati di stima che sto ricevendo mi fanno sperare che esista ancora un pubblico che ricerca cose autentiche e non di facciata».

Questo l’atteggiamento con cui il nostro dà forma ai suoi singoli, tra cui Io, tu e l’estate e Anna è tornata. «Canzoni scritte di pancia attingendo, come mostrano i miei video girati con pochi mezzi, da un immaginario che viene naturale associare a Pino Daniele e a Sorrenti, ma che per me ha innanzitutto a che fare con quello che è stato definito, a mio parere sbagliando, il lato un po’ più trash della tradizione napoletana. Il nuovo brano Appuntamento al lungomare, per esempio, è ispirato al film FF.SS. Cioè che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? di Renzo Arbore, il cui titolo rimanda a sua volta a una vecchia canzone napoletana, L’addio».

«È quello il substrato da cui pesco, senza dimenticare il primo Gigi D’Alessio, le cui produzioni erano secondo me assurde, geniali, e il maestro da cui ho cercato di assorbire il più possibile, ossia Totò Savio degli Squallor, uno che ha firmato brani di Massimo Ranieri, Maledetta primavera, ma che è rimasto molto dietro le quinte e a cui non è stato riconosciuto il giusto merito per ciò che ha dato alla musica italiana. E poi, sì, De Crescenzo, Avitabile e tutta la musica napoletana contaminata riportata a galla dal 2018 dalla compilation Napoli segreta. Del resto, Napoli non è né una città italiana, né una città del sud Italia, è storicamente talmente contaminata che per me è estero, e questo si è riflesso nella musica a partire da Carosone, il primo a infilare il jazz e il rock nella tradizione».

Il riferimento a Napoli segreta sposta il discorso sulla visibilità ottenuta in tempi più o meno recenti da alcuni suoi conterranei, in primis Liberato e i Nu Genea. «Di band e artisti giù ce n’è sempre tantissimi. Mi sono chiesto cosa distingue questi progetti da altri che non hanno avuto riscontro a livello nazionale e la risposta che mi sono dato è che a portarli avanti è gente che non vive più in Campania, come me, e che è riuscita a distaccarsi un po’ da quell’attaccamento a volte eccessivo che i meridionali hanno nei confronti della propria terra. Mentre Pino Daniele viveva a Napoli e denunciava i disagi della sua città, il razzismo e così via, quella mia, di Liberato e dei Nu Genea è musica che esprime una visione nostalgica, con una forma narrativa completamente diversa. Forse c’entra anche che al Sud la globalizzazione non funziona come altrove e non perché non ci sia, ma perché non l’accettiamo fino in fondo, abbiamo gli anticorpi. È difficile da spiegare, ma facendo spesso su e giù questa è una cosa che noto molto e che riguarda anche me, nel senso che mi so adattare, ma non mi lascio condizionare da un modo di procedere troppo schematico, programmato: preferisco una sana spontaneità consapevole».

Davide oggi vive a Torino, la città dove i suoi genitori, la mamma salernitana e il papà abruzzese, si sono conosciuti dopo essere emigrati assieme ad alcuni famigliari. «Loro in seguito sono scesi a Capaccio Paestum, dove vivono tuttora, ma essendo che due zii sono rimasti a Torino, questa è diventata la nostra città di riferimento al nord», racconta Davide, che ha iniziato a scrivere canzoni da ragazzino. «Sono sempre stato attratto da tutto ciò che ruota attorno alla comunicazione e nella musica ho trovato abbastanza presto il mio modo di esprimermi. Il posto dove sono cresciuto era privo di stimoli, non c’era nemmeno una sala prove, in casa niente, eppure a un certo punto mi sono comprato una chitarra, io da solo, con grande sorpresa dei miei, e quasi subito ho capito che non me ne fregava niente di imparare le canzoni di altri da suonare in spiaggia per conquistare le ragazze, volevo scrivere i miei pezzi. Non so cosa mi abbia influenzato, so solo che arrivare da un paesino di provincia del sud è davvero dura, ti ritrovi tutto contro, è una lotta non ad armi pari con tutto. Mi hanno aiutato la determinazione e l’impegno e il bello è che le due occasioni finora più importanti mi sono capitate proprio quando avevo deciso di mollare non la musica, quello non accadrà mai, ma la musica come lavoro».

La prima occasione risale al 2015. «Non riuscendo a trovare del sostegno, delle persone che potessero diventare dei punti di riferimento in Campania, e non potendo permettermi di trasferirmi altrove perché non avevo soldi né una famiglia che potesse aiutarmi economicamente, mi convinsi fosse meglio lasciar perdere, ma avendo delle canzoni da parte che forse potevano prendere vita interpretate da qualcun altro provai comunque a spedire un demo alla Sony, unica etichetta di cui avevo un recapito diretto. La mail che inviai era formale, quasi fredda, qualcosa tipo “ciao, sono Davide, questo è il mio brano inedito”, perché mai e poi mai avrei immaginato che mi avrebbero risposto. Invece mi hanno contattato subito, il giorno dopo, e un anno e mezzo dopo era fuori il singolo di Michele Bravi, Solo per un po’, certificato disco d’oro».

Lì ha preso il via il percorso di Napoleone da autore ed è quando Davide si è reso conto che quel percorso cominciava a stargli stretto che si è presentata la seconda chance. «Dopo sei anni come autore avevo deciso di smettere, perché sebbene scrivere per altri, se lo fai con umiltà, può essere una palestra, e questo indipendentemente dal fatto di essere allineati o meno con un genere di musica o un certo mondo, iniziavo a sentirmi saturo. È stato allora, durante la pandemia, che mi sono ripromesso, prima di mollare il colpo, di pubblicare un disco di canzoni mie. Senza velleità, più che altro per lasciare un mio punto di vista sulla musica e non solo quello che avevo dato ad altri».

«Ciò che ho raccolto in seguito è stata una sorpresa, tant’è che quando è arrivato il momento di metterci la faccia mi sono trovato completamente impreparato a fare il performer, non ero pronto. Basti pensare che quando Nicola Savino mi ha invitato a partecipare al programma da lui condotto su RaiPlay nel 2021, Il giovane Old, non sapevo come presentarmi, così ho indossato la mia giacca da cameriere, mestiere che seguendo le orme di mio padre ho fatto fino ai 21 anni: da un lato, quella divisa era l’unico indumento un po’ sopra le righe che avevo nell’armadio, poteva aiutarmi a darmi un tono; dall’altro, l’ho vista come la mia coperta di Linus».

Il prossimo step sarà l’album d’esordio, ispirato in parte alla storia vera di Vito Manzo, falegname di Amalfi nato nel 1919, con una forte passione per la musica, e morto prematuramente nel ’57, con il sogno di diventare un cantautore chiuso in un cassetto. «Sono stati i suoi eredi, miei cari amici, a parlarmene e a condividere con me alcuni documenti scovati mentre tentavano di ricostruire l’albero genealogico della famiglia. Tra questi, delle lettere risalenti al periodo della Seconda guerra mondiale e un certificato di morte della sorella di Vito, Lucia Manzo, dove alla voce “professione” c’era scritto “povera”. Questa cosa mi colpì moltissimo, anche perché non mi pare che certe disuguaglianze siano state superate. Così mi sono messo a scrivere e sono nati i primi tre singoli, Amalfi, Povera femmina e Porta pacienza: nella mia testa il gioco era di fare l’autore e creare le canzoni che avrebbe scritto Vito Manzo per realizzare il suo sogno. Inizialmente avevo addirittura pensato di pubblicare tutto a suo nome, poi nella sua storia ho trovato affinità con la mia e questo mi ha pian piano portato a scrivere sempre più di me stesso: in Appuntamento al lungomare parlo di quel purgatorio in cui ti ritrovi quando qualcuno ti ha fatto provare un amore fortissimo per poi mollarti lì con tutte quelle emozioni, sospeso in una sorta di purgatorio».

Sullo sfondo, il mare. «E dire che ho imparato timidamente a nuotare appena due anni fa. Mi pare fosse Baricco a dire che la riva non è né terra né mare, ma un luogo che non esiste. Ecco, io sono indubbiamente uno da riva».

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