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Charli XCX, l’icona pop che ancora non conoscete

Vi piace "I don't care, I love it"? Abbiamo parlato con l'autrice. Ha fatto un album ("Sucker"), ama Miley Cyrus, sta per aprire il tour europeo di Katy Perry e coi soldi della hit delle Icona Pop s'è comprata una sala da ballo
Charli XCX, foto profilo Facebook ufficiale

Charli XCX, foto profilo Facebook ufficiale

“I don’t care, I love it”. Quante volte abbiamo sentito questo ritornello? L’anno scorso ha fatto la fortuna delle Icona Pop, ma l’autrice è Charli XCX, ventiduenne di Stevenage, cittadina a una cinquantina di chilometri da Londra, che ha messo lo zampino anche in Fancy di Iggy Azalea per poi andarsene in tour con i Coldplay. Il 21 ottobre uscirà il suo nuovo disco, Sucker, il terzo della sua carriera, il secondo per una major, e stando ai pronostici sarà l’album con cui Charlotte Emma Aitchison – questo il vero nome dell’artista inglese – farà il botto, quello vero.

L’abbiamo incontrata in un hotel di Milano, dal vivo sembra una bambolina, non è alta, non è magra, ha un rossetto rosso fuoco, lo sguardo dolce e un filo di malizia negli occhi. Una ragazza come altre, ma solo all’apparenza; nel 2015 aprirà le date europee di Katy Perry e dice di non avere per niente paura: «Non mi spaventa, in quel genere di show sei super esposta, ma io faccio così: salgo sul palco, canto la musica che amo, do il massimo e vedo che succede! E poi ho un trucco, prima dei concerti bevo champagne».

Hai iniziato a fare musica a 14 anni: com’è andata?
Credo che la prima spinta me l’abbiano data i dischi della Ed Banger, mi ascoltavo tutto ciò che usciva per quell’etichetta: Feadz, Uffie, Justice. È stato allora che ho cominciato a scrivere i primi pezzi; Chaz, un party promoter di Londra, li ha sentiti su MySpace e così… È stato un lungo viaggio quello che mi ha portata sin qui, all’inizio frustrante.

La prima canzone che hai scritto?
Avevo 7 anni, avevo messo su una band, ci trovavamo in cortile, mi pare che il brano s’intitolasse Man oh man. Sì, il ritornello faceva «man oh man» (lo canticchia, ndr). Terribile…

Ora sei al terzo disco: perché Sucker?
Quel titolo è un dito medio alzato contro tutti quelli che sostenevano che non sarei riuscita ad avere successo. Ed è ciò che mi viene da dire quando penso all’industria discografica: sono scettica riguardo a quel mondo, mi sembra che a volte si prenda tutto troppo seriamente. Non fraintendermi, per me la musica è una cosa serissima, ma quando leggo analisi approfondite sul perché un artista si è vestito in un certo modo o ha fatto un movimento sul palco scoppio a ridere. Insomma, c’è gente che perde ore a studiare delle fotografie, sono degli idioti!

Nell’album, oltre alla già nota Boom Clap, c’è Break The Rules, il tuo nuovo singolo. Nel ritornello canti “I don’t wanna go to school, I just wanna break the rules”. L’hai scritto pensando ai tuoi coetanei o a ragazzini più piccoli che pensi possano diventare tuoi fan?
In realtà ero nel parcheggio del vecchio studio di Quincy Jones a Los Angeles, mi stavo fumando una sigaretta e ho cominciato a pensare a quanto fosse strana quella situazione. Voglio dire, ero lì, nel posto dove Michael Jackson ha registrato i suoi dischi: assurdo! Poi mi sono venute in mente quelle parole e ho iniziato a cantarle a voce alta registrandomi col cellulare. Ne è uscito un pezzo che parla di ribellione, ma in modo leggero, una canzone sciocca nel senso bello del termine, tutti i pezzi pop che mi piacciono sono così.

Per Sucker hai lavorato con produttori come Rivers Cuomo degli Weezer e Rostman Batmanglij dei Vampire Weekend, ma tu che tipo di sound volevi? Avevi qualche idea?
All’inizio avevo in testa certa musica francese, lo Yé-yé pop anni 60, cose tipo Sylvie Vartan, Johnny Hallyday, Serge Gainsbourg. Ma durante le registrazioni ho ascoltato anche tantissimo punk, adoro una band svedese che si chiama Snuffed By The Yakuza, ci suonava Patrik Berger, altro produttore con cui collaboro. Sucker è un miscuglio di tutto questo: un album pop, certo, ma grezzo e selvaggio come il punk.

E Avicii non vi ha influenzati?
Non sono una grande fan di Avicii, ma sì, Break The Rules, per esempio, ha senza dubbio qualcosa che lo ricorda. Però, se ci fai caso, quando ascolti quella canzone a un certo punto ti aspetti un’esplosione alla Avicii. Invece no, è tutto più tenue.

Suoni qualche strumento?
Un po’ la chitarra e ho studiato pianoforte per sette anni. Ma non ho una formula per scrivere le mie canzoni, a volte parto dal piano, a volte registro una melodia col telefonino, a volte ricevo una base e ci lavoro su.

da piccola andavo matta per le Spice Girls e Britney Spears, adesso ho una cotta per Robert Smith dei Cure

In un’intervista hai detto di essere una femminista: in che senso?
Nel senso che sono per la libera espressione delle donne, penso che abbiamo il diritto di esprimerci come ci pare senza che nessuno ci incaselli, ci giudichi, ci appiccichi addosso delle etichette, senza dover pensare a ruoli che altri hanno stabilito per noi. Alle mie fan vorrei trasmettere questo messaggio: siate voi stesse, fregatevene di quelli che vi criticano per come siete, cosa fate o come vestite. Perché a volte si esagera, sembra che una donna possa essere femminista solo se si veste in un certo modo, è assurdo, non esiste un look da femminista. Se ti senti a tuo agio col tuo corpo e hai voglia di indossare qualcosa di sexy, che male c’è? L’importante è che tu non lo faccia per gli altri, ma per te stessa.

Quindi pensi che Miley Cyrus possa essere femminista mostrandosi mezza nuda e leccando un martello in un video?
Sì, al 100 per cento. Per me Miley è punk e il suo modo di essere una performer ha dato forza alle donne. Sono andata a un suo concerto e mi ha letteralmente stregata: è fighissima.

È lei il tuo modello?
Non ho modelli, da piccola andavo matta per le Spice Girls e Britney Spears, adesso ho una cotta per Robert Smith dei Cure, dei miei fan me l’hanno regalato in versione voodoo doll, forse nella speranza che anche lui si innamori di me (ride, ndr). A parte questo non ho idoli, la parola “idolo” mi fa andare fuori di testa! Voglio essere me stessa, punto. Sogno un tour tutto mio come quello di Katy Perry.

Sei a buon punto, stai girando il mondo.
Sì, e accadono cose folli! Lo scorso settembre eravamo a Toronto, io e la band, e mentre scendevamo dal tourbus davanti al locale dove dovevamo suonare abbiamo sentito un rumore simile a quello di uno sparo. “Sarà stato un incidente, un tamponamento”, ci siamo detti. Quindi siamo entrati, abbiamo fatto il concerto e via. Peccato che all’uscita ci siamo ritrovati circondati da poliziotti! Hanno iniziato a dirci che eravamo sulla scena del crimine, che qualcuno aveva sparato a qualcun altro e gettato la pistola sotto al tourbus, che non potevamo salire. E volevano sapere se c’entravamo qualcosa, da non crederci…

Un’ultima curiosità: cos’hai comprato con i soldi guadagnati grazie al successo di I Love It?
Una casa in campagna, fuori Londra. Non proprio una casa, a dire il vero, è una villa suddivisa in più spazi; io ho preso la sala da ballo. Bello vivere in una sala da ballo, no? Ci sono stata solo due volte, ma è pazzesco: di fronte ci vive Rod Stewart.

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