Bunna: «Bob Marley mi ha insegnato che la vita è un regalo» | Rolling Stone Italia
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Bunna: «Bob Marley mi ha insegnato che la vita è un regalo»

Nel quarantennale della morte del profeta del reggae e poche ore prima del concerto per i quarant'anni del gruppo piemontese, il cantante degli Africa Unite racconta il suo Marley

Bunna: «Bob Marley mi ha insegnato che la vita è un regalo»

Bunna non ricorda dov’era l’11 maggio 1981, quando seppe della morte di Bob Marley. Aveva appena 16 anni, ma aveva già fondato gli Africa Unite sulla scia del concerto che il profeta del reggae aveva tenuto a San Siro nel 1980. Poche ore prima dell’esibizione in streaming che la band piemontese terrà su Bandcamp per festeggiare i quarant’anni di carriera (ne abbiamo scritto qui), abbiamo chiesto al cantante di spiegarci che cosa ha rappresentato per lui Marley, sia umanamente che artisticamente.

Come hai scoperto il reggae di Marley?
Attraverso le cassette che facevamo ai tempi del liceo. C’era qualcosa di strano in quelle melodie. Era una musica nuova, diversa da quelle che avevo sentito fino a quel momento. Poi ho approfondito l’artista e il genere insieme a Madaski. Ci è piaciuta soprattutto l’idea di utilizzare la musica per far passare dei messaggi. È la stessa che abbiamo cercato di fare con gli Africa Unite quando abbiamo iniziato a scrivere cose nostre.

Com’è che il riferimento rimane sempre lui per il genere?
Perché è inarrivabile. Sia per il carisma personale, sia dal punto di vista musicale. Ha scritto canzoni che nessun altro è riuscito a eguagliare. Nessuno che segua le sue orme può prescindere da lui. La nostra intenzione è stata quella di portare in Italia un genere apparentemente lontano, ma dandogli un carattere personale e riconoscibile.

E com’è stato portare il reggae in Italia? Quali sono state le prime reazioni?
All’inizio le band reggae in Italia si contavano sulle dita di una mano. Eravamo dei pionieri. Ai primi raduni reggae il pubblico era molto connotato, tutto vestito di giallo, rosso e verde, era caratterizzato da una serie di stereotipi.

Dal punto di vista umano, quali caratteristiche ti hanno più colpito di Marley?
Tutto il personaggio è affascinante, in particolare quando diceva che la ricchezza non è nel denaro, nelle case e nell’auto che possiedi, ma nella vita stessa. Nell’essere grati di trascorrere un altro giorno su questa Terra, un regalo enorme di cui spesso ci dimentichiamo. Quando nelle interviste gli chiedevano se si sentisse ricco, rispondeva sempre: cosa vuol dire essere ricchi? Possedere delle cose? Questa non la ritengo una ricchezza. La vera ricchezza è vivere nella tolleranza e nel rispetto degli altri.

A quali suoi brani sei particolarmente affezionato?
Il primo che ho ascoltato, Lively Up Yourself, è per forza di cose quello che mi è rimasto più impresso. Poi sono molto legato all’album Survival, dove ha utilizzato la sezione fiati che per lui non era usuale, abbellendo ancor di più le canzoni.

Quarant’anni senza Marley, quaranta con gli Africa Unite. Stasera per voi sarà una grande festa, nonostante il concerto sia in streaming su Bandcamp e non dal vivo. Ho visto che amici e colleghi, da Frankie hi nrg a Zibba, si sono spesi per sostenervi attraverso messaggi e video sui social.
Siamo onorati di avere questo supporto, vuol dire che in 40 anni siamo riusciti a intrattenere un bel rapporto con le persone, che è importante al di là della musica. L’aspetto umano per noi è fondamentale, non meno di quello musicale. Temevamo che la gente non fosse pronta al concerto in streaming, mentre invece ha reagito benissimo, ma in attesa degli spettacoli dal vivo abbiamo rinviato l’uscita del disco di inediti.

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