«Non mi resta un tempo infinito»: intervista a Bruce Springsteen | Rolling Stone Italia
Lui è leggenda

Bruce Springsteen: «Non mi resta un tempo infinito»

Il racconto dei sette dischi di ‘Tracks II’ dalla viva voce dell’uomo che li scritti, incisi e conservati per anni. Ma anche il tour con la E Street Band («Voglio sfinire chiunque si trovi nel raggio di 30 chilometri»), l’album del 2026, il terzo ‘Tracks’, il futuro. «Non è ancora tempo di fermarsi»

Foto: Danny Clinch

Bruce Springsteen s’è ritrovato chiuso in casa con un sacco di tempo a disposizione quando nel 2020 la pandemia ha fermato l’industria della musica dal vivo. Lo ha sfruttato andando a mettere le mani nel suo grande archivio d’inediti. Ha tirato fuori sette album che aveva messo da parte fra il 1983 e il 2018. Sono ora raccolti nel box set Tracks II: The Lost Albums che uscirà venerdì e che conterrà 83 canzoni che buona parte dei fan non ha mai sentito.

«Nel complesso, rappresentano generi musicali che non avevo esplorato», mi dice Springsteen via Zoom dalla sua casa di Wellington, Florida. Gli album spaziano dal Western swing al pop anni ’60 alla Burt Bacharach. «Sono tutti delle anomalie: che ci fai con roba del genere? Non lo sapevo. Abbiamo risolto il problema in questo modo».

Una buona parte di queste canzoni è stata registrata negli anni ’90 che sono spesso considerati gli “anni perduti” di Springsteen, visto che tra il 1992 e il 2002 ha pubblicato un solo disco in studio, The Ghost of Tom Joad. «È successo per tutta una serie di motivi», spiega Springsteen (la conversazione ha avuto luogo prima che i commenti su Trump innescassero la reazione del presidente; in seguito il musicista ha preferito non commentare l’episodio). «Avevamo dei figli piccoli e non avevo alcuna voglia di lavorare con la band. Ero esausto. Ma ho continuato a lavorare a nuova musica, semplicemente non l’ho pubblicata».

In un’intervista a tutto campo, Springsteen racconta Tracks II, spiega perché non è mai stato soddisfatto di Born in the U.S.A., rivela di avere un nuovo album già pronto per l’anno prossimo, parla di Electric Nebraska e racconta perché continua a credere nell’America.

Bruce Springsteen - Inside Tracks II: The Lost Albums

Il primo album del box set è L.A. Garage Sessions ’83. Nessuno sapeva che avevi registrato un album intero tra Nebraska e Born in the U.S.A.
Fare Nebraska m’era piaciuto perciò ho pensato che potevo continuare su quella linea con una piccola sezione ritmica, ancora in stile lo-fi, e canzoni nuove. Non avevo ancora chiara la direzione di Born in the U.S.A. Avevo solo metà disco. E quindi è nato questo album tra gli altri due.

Prima di Nebraska avevi sempre registrato in uno studio. Deve essere stato liberatorio…
Ero molto meno inibito e quindi potevo permettermi di sperimentare. Quando vai in studio, c’è la band, ci sono i produttori, è un ambiente formale che tende a rendermi più conservatore, per così dire. Nebraska ha rotto quella consuetudine introducendo un elemento di rischio che non c’era prima nel modo in cui registravo. Volevo proseguire su quella strada, sentirmi libero e così ho iniziato a registrare più spesso a casa.

Nelle note di copertina dici che non eri soddisfatto di Born in the U.S.A. e che non “comunicava” come facevano gli altri tuoi album. In che senso?
È diventato il disco che ho fatto, non necessariamente quello che volevo fare. Avrei voluto fare qualcosa di più simile a Nebraska. My Hometown e Born in the U.S.A. sono i due estremi che volevo usare come cornice. E il resto era semplicemente quello che avevo per le mani in quel momento. Erano le canzoni che avevo scritto, sono quelle che ho registrato. Dall’idea iniziale alla realizzazione non è venuto il disco che avevo in mente, ma con la creatività va così. Entri in studio con un’idea e non è detto che il risultato le somigli. È quel che è successo con quell’album.

Mi sorprende un po’ sentirtelo dire. Ho sempre considerato Born in the U.S.A. una serie di racconti di persone lasciate indietro dall’America di Reagan. Come ascoltatore, mi è sempre sembrato coerente.
Credo sia così per molti. Immagino cercassi di fare qualcosa di più cupo, forse. Ma al di là di questo, i temi di Nebraska ci sono, ad esempio in Downbound Train. Ci sono, anche se mascherati da pop music.

Hai sentito pressioni da parte della casa discografica dopo il successo di Hungry Heart? Volevano che facessi musica più radiofonica?
No, sono stato fortunato ad avere il rapporto che ho con la Sony. Non ho mai ricevuto pressioni per fare qualcosa di diverso da quello che volevo fare esattamente.

The Klansman è un pezzo inquietante. Può ricordare Johnny 99 nel senso che canti dal punto di vista di un personaggio malvagio.
È una cosa che ogni tanto faccio. Nebraska era così. In questo caso si tratta di una scelta particolarmente rischiosa visto che canto dal punto di vista di un membro del Klan. La canzone parla del modo in cui l’odio e la tossicità si trasmettono di generazione in generazione.

The Klansman - Bruce Springsteen (1983 Demo)

Vorrei parlare brevemente di Human Touch e Lucky Town. Quando sei entrato nella Rock and Roll Hall of Fame nel 1998 hai detto: «Nei primi anni ’90 ho cercato di scrivere canzoni felici, e non ha funzionato. Al pubblico non piacevano». Puoi spiegare meglio cosa intendevi?
Human Touch è in particolare un disco non molto amato a giudicare dai siti dei fan, anche se a me piace parecchio e contiene anche belle canzoni come Roll of the Dice, Human Touch, Real World. Credo che per molti il problema fosse la produzione, e forse avevano ragione o forse no. Non lo so, è andata così. Quindi quella volta stavo ironizzando su questo fatto. Lucky Town invece è venuto fuori esattamente come volevo e credo sia molto valido. Stavo solo scherzando sulla percezione che c’era di quei lavori. Secondo me anche il fatto di averli registrati senza la E Street Band ha influenzato e molto la percezione dei fan, c’entra anche quello. Direi che non sono stati pubblicati nel momento giusto.

C’è un disco intero in Tracks II che è costruito intorno ai loop di batteria elettronica. Cosa ti attirava in quel suono?
Streets of Philadelphia. Avevo impostato un piccolo drum loop per la canzone e mi piaceva, s’integrava bene coi sintetizzatori che in quel periodo avevo iniziato a usare per scrivere. Così mi son detto: voglio provare a creare un intero album basato sul suono di sintetizzatori e drum loop. E l’ho fatto.

Come venivano creati i loop?
Alcuni li ho fatti io, altri li abbiamo presi da dei CD che il mio tecnico del suono portava in studio: li ascoltavamo insieme e io sceglievo quelli su cui volevo scrivere.

Alcuni fan l’hanno definito il tuo album hip hop, ma non è così.
Eh no, non è così. I loop hanno fatto venire in mente subito l’hip hop, ma è semplicemente un disco che usa loop e sintetizzatori.

I loop hanno influenzato il tuo modo di scrivere? Come?
Sento che hanno un effetto ipnotico e quindi molta della musica in quell’album ha una qualità che definirei da trance, molto onirica. L’unione dei sintetizzatori e dei loop ha creato un suono cupo e sognante. Ce n’è molto nel disco.

Bruce Springsteen - Blind Spot (Official Lyric Video)

Perché l’album non è mai uscito?
Bob Clearmountain lo aveva mixato e io ce l’avevo a casa. Stavo lavorando alla sequenza delle tracce, ma non riuscivo a trovare l’ordine giusto, e sentivo che… Sai, ho una conversazione in corso coi miei fan da ormai 50 anni e cerco di rispettare nel miglior modo possibile. Uno dei modi per farlo è cercare di mantenere quel dialogo aperto. Non ero sicuro di quel disco. Dopo tre lavori che parlavano di relazioni e vista la natura di quest’album, mi sono chiesto se non fosse troppo chiuso in se stesso. E poi, era il momento giusto per un disco del genere? Il tempismo è importante quando si tratta di pubblicare un album e quello, per un verso o per l’altro, non mi sembrava il momento adatto.

Strano che i testi siano cupi visto che in quel periodo la tua vita era piuttosto felice.
Le due cose non vanno necessariamente di pari passo. La gente tende a pensare che i cantautori assumano sempre un punto di vista autobiografico. Nel mio caso almeno non è così. Tiro fuori cose da un angolo della testa, seguo un filo che trovo stimolante, ci lavoro sopra per un po’.

Com’è che Somewhere North of Nashville è stato registrato nello stesso periodo di The Ghost of Tom Joad?
Capitiva spesso che registrassi Somewhere North of Nashville nel pomeriggio e Tom Joad, che è più cupo, la sera. L’idea è che quelle canzoni alla fine sarebbero finite nello stesso disco.

Bruce Springsteen - Repo Man (Official Audio)

Come hai capito che dovevi pubblicarne uno solo?
Beh, se senti Repo Man capisci che non può stare accanto a Straight Time. Era evidente che stavo realizzando due dischi separati. Ho provato a metterli insieme sia come doppio album che come singolo disco, ma non ha funzionato. Così ho selezionato il materiale e ho tenuto solo i brani che funzionavano bene tra loro, che poi sono andati a costituire The Ghost of Tom Joad.

Marty Rifkin fa un gran lavoro in quel disco.
Suona la steel guitar in modo eccezionale, è uno dei migliori in assoluto in America. Ha suonato con me nel tour delle Seeger Sessions ed è incredibile in quest’album. È un’arma segreta. È un musicista straordinario, una persona meravigliosa, e in Somewhere North of Nashville vien fuori tutto quel che sa fare.

Gran parte di questa musica è stata scritta negli anni ’90, eppure non ci sono quasi mai le sonorità tipiche di quel decennio. Molti tuoi colleghi avevano adottato elementi del grunge e dell’alternative rock. Tu no, non ti sei mai avvicinato a quelle tendenze.
Sei quel che sei. Rincorrere le mode non ha mai fatto per me, non lavoro così. Parto dall’interno e vado verso l’esterno, non dall’esterno verso l’interno. Ed è questo che dà alla mia musica la sua intensità e il suo carattere personale.

Questo fa sì che la tua musica non resti intrappolata in un’epoca.
Puoi ascoltare Racing in the Street accanto a un brano di Tom Joad o a qualsiasi altra cosa che ho scritto dopo, e si incastrano alla perfezione. Ho sempre voluto scrivere di cose senza tempo: famiglia, lavoro, spiritualità, amore, sesso… cose che fanno parte della vita delle persone da sempre. È la strada che ho sempre seguito. E come ho detto, lavoro muovendomi dall’interno verso l’esterno.

Bruce Springsteen - Adelita (Official Audio)

Cosa ti piaceva dei suoni mariachi che ci sono in Inyo?
Nei primi anni ’90 abbiamo preso una fattoria e stavo scrivendo canzoni ambientate in Messico. Avevo un assistente che di tanto in tanto mi aiutava con qualche ricerca. Un giorno m’ha detto: «Ehi, c’è un charro che si è trasferito nel mio palazzo, sopra il mio appartamento nel New Jersey. Una ragazza del Jersey è andata in Messico, ha conosciuto il charro e se l’è portato qui. È uno dei più incredibili cavallerizzi e artisti del lazo che abbia visto». Gli ho detto di portarlo a casa. Ha lavorato nella mia fattoria per cinque anni, ci ha insegnato a cavalcare, un po’ di lazo, qualche trucchetto. Era un tipo speciale. Quando facevamo le feste del raccolto, portava a suonare questi incredibili gruppi mariachi. È così che mi sono avvicinato a quel tipo di musica. E avevo alcune canzoni che secondo me ci stavano bene, quindi le abbiamo messe nel disco.

Quanto eri vicino a pubblicarlo?
Non molto. Ho pubblicato Devils & Dust (che include alcuni brani di quel periodo, nda), ma avevo ancora molto materiale da parte. E sapevo che quelle canzoni erano buone. Di nuovo: il momento non era giusto, quindi sono rimaste in archivio. E quel progetto è rimasto in sospeso finché, durante la pandemia, ho trovato il tempo di rimetterci mano.

In Perfect World ci sono un po’ di canzoni scritte a quattro mani con Joe Grushecky. È uno dei pochi autori con cui hai collaborato. Che cosa ti piace di lui?
Le sue canzoni. Mi pareva avessimo qualcosa in comune venendo entrambi dalla classe operaia, cosa di cui lui scriveva spesso. E poi Joe era molto, ma molto insistente. Continuava a mandarmi dei testi. Credo che la maggior parte delle cose le abbia scritte per lui, per il suo disco (American Babylon, nda) che ho anche prodotto. Mi mandava i testi, io scrivevo la musica e gliela rimandavo. Era bello determinato, siamo diventati grandi amici, lo siamo ancora. Non abbiamo scritto tantissimo insieme, ma qualcosa sì, ed è sempre stato divertente. In genere non scrivo con altri.

Bruce Springsteen - Rain in the River (Official Lyric Video)

Alla fine del tour della reunion con la E Street Band facevi dal vivo inediti come American Skin, Land of Hope and Dreams e alcune cose scritte con Joe come Code of Silence. Attorno al 2000 stavi pensando a un nuovo disco con la E Street?
Sì, dopo il tour di reunion pensavo che se fossimo andati avanti avremmo dovuto fare un disco. Sono entrato in studio con American Skin, Land of Hope and Dreams e qualche altro pezzo, li abbiamo registrati ma non funzionavano. Il team di produzione con cui avevo lavorato per anni aveva ormai dato tutto, era il momento di cambiare, di avere idee nuove e un suono più adatto ai tempi. Ed è lì che è entrato in scena Brendan O’Brien, un produttore straordinario e una persona eccezionale. Ho passato momenti bellissimi lavorando con lui ed è stato determinante per darci il nostro suono moderno in sala d’incisione. Ho lavorato anche con Ron Aniello, altro grande produttore e grande persona. Una volta che è arrivato Brendan, sono arrivate anche le canzoni ed è nato The Rising. Poi Magic e Working on a Dream. Mi ha anche aiutato a finire Devils & Dust.

A differenza degli altri dischi contenuti nel box set, Perfect World non era un album fatto e finito all’epoca.
Esatto, era l’unica raccolta di canzoni che non avevo concepito come album. Era semplicemente materiale che avevo messo da parte, senza sapere dove sarebbe andato a finire. Quando ho pensato a questo progetto, mi sono detto: c’è tanta roba, ma poco rock e là fuori ci sono molti fan del rock. Così ho provato a mettere insieme il disco.

Hai qualche rimpianto per non aver pubblicato nessuno di questi album negli anni ’90?
Mi piace l’idea di pubblicarli tutti insieme adesso, è una cosa inusuale, credo anzi sia il modo giusto per farli uscire. Quindi no, nessun rimpianto.

C’è mai stato un momento, nei ’90, in cui hai pensato che la tua carriera ti stesse sfuggendo di mano?
No, non esattamente. C’è una cosa che pensavo già ai tempi delle grosse cause legali (negli anni ’70, nda): qualcuno può portarti via i diritti, i dischi, le canzoni, i soldi, ma posso scendere da aereo in qualunque luogo degli Stati Uniti e in buona parte del mondo e migliorerò la serata a qualcuno in qualche roadhouse. È una cosa che hai dentro, non puoi perderla, e io negli anni ’90 questa cosa la sapevo. A un certo punto ho detto a Jon Landau: «Questo disco non è andato granché bene. Forse non è il nostro momento, è il momento di qualcun altro». In una carriera lunga arrivano momenti in cui è il tuo tempo e altri in cui non lo è. Devi accettarlo e andare avanti e lavorare.

Hai mai pensato che Born in the U.S.A. fosse diventato troppo grande? Da quel disco sono uscite sette hit. Eri quasi al livello di Michael Jackson. Il cappellino rosso, i jeans, la bandiera… è un’immagine che ancora oggi ti rappresenta agli occhi di molti.
Non avevo interesse a portare avanti quella cosa. L’ho fatta all’epoca, ma l’ho sempre considerata un’esperienza unica. Subito dopo sono tornato alle radici da cantautore con Tunnel of Love. Non mi sono mai illuso che quella sarebbe stata la mia carriera, né desideravo lo fosse. E non mi preoccupava vendere meno dischi, non è mai stato quello il mio obiettivo. È stato solo un momento particolare. È stato impegnativo, ma me la sono goduta. Ancora oggi quando qualcuno mi imita di solito si veste in quel modo. Ai miei concerti vedo ventenni con la bandana e la canotta. È diventata una cosa quasi affettuosa, ormai. E non ho rimpianti. È stata una bella esperienza, ma non era ciò che volevo dalla mia carriera.

Per non dire che non c’era modo di fare qualcosa di più grosso. Per fortuna, non ci hai neanche provato.
Non mi interessa andare più in alto, l’ho sempre pensata così. Preferisco andare più in profondità. È così che ho condotto la mia carriera.

Bruce Springsteen - Faithless (Official Lyric Video)

Parliamo di Faithless. È spuntato dal nulla, nessuno sapeva che esistesse.
È un album insolito. Mi avevano contattato per scrivere un po’ di canzoni per un film western. Ero in Florida con mia figlia e nel giro di due o tre settimane ho scritto tutto il disco. Sono tornato a casa e l’ho registrato in una o due settimane al massimo, insomma molto rapidamente, nel soggiorno della casa accanto alla mia che usavo temporaneamente come studio. E basta, finito. L’ho messo da parte aspettando che producessero il film, ma non è mai successo. Così, dopo una ventina d’anni mi sono detto: forse dovrei pubblicarlo io, e chissà, magari un giorno quel film si farà. Ho deciso di includerlo in questa raccolta perché Patti lo ha sempre adorato e mi ha detto che dovevo pubblicarlo. È una raccolta di canzoni molto particolare, sono felice che faccia parte del box set.

Come sei entrato nella testa dei personaggi? Hai letto la sceneggiatura?
C’era un libro e c’era una sceneggiatura.

Immagino che tu non voglia dirmi il nome del regista, giusto?
Esatto.

Parliamo allora di Twilight Hours. Ci sono evidenti affinità con le canzoni di Western Stars, ma restano due progetti distinti.
Se Western Stars andava un po’ di più verso Jimmy Webb e il country, Twilight Hours guarda più a Burt Bacharach e alla tradizione del classico songwriting americano. Sunday Love, September Kisses o Late in the Evening avrebbero potuto essere cantate da Sinatra, o da Andy Williams, o Jack Jones, o da un qualsiasi crooner anni ’50 o ’60. La vena è quella del pop raffinato stile Mad Men. Quindi, sì, da quel punto di vista si differenzia parecchio da Western Stars, anche se pezzi come High Sierra avrebbero potuto tranquillamente farne parte. Forse anche Sunliner. Stavo usando progressioni armoniche che non avevo mai utilizzato prima e questo mi ha permesso di esplorare strutture musicali un po’ più sofisticate di quelle presenti in buona parte del mio repertorio.

Bruce Springsteen - Sunday Love (Official Audio)

Pensavi di pubblicare Western Stars e Twilight Hours come un doppio album?
Ci ho pensato, ma alla fine ho deciso di non farlo. Di solito quando scrivo molto materiale tutto insieme, tipo 40 canzoni in una volta, mi viene da pensare al doppio, ma alla fine tendo a preferire i dischi più compatti e intensi.

Mi dici qualcosa di High Sierra, che è splendida?
Stavo quasi per metterla in Western Stars. Continuavo a cercare un modo per inserirla, ma per una ragione o per un’altra non ci stava mai. Forse perché c’erano già molte altre canzoni con lo stesso mood. Era pieno di quei personaggi alle prese con la solitudine americana. Avevo Drive Fast (The Stuntman), Western Stars, Tucson Train, Stones. Forse High Sierra avrebbe sbilanciato troppo il tutto, o forse ho pensato che sarebbe stata più apprezzata nel contesto di quest’altro disco. È una delle mie preferite del box set.

Hai suonato tutto Western Stars nel tuo fienile per il film-concerto, ma non hai mai fatto nessuno di quei pezzi dal vivo. Lo farai prima o poi?
Se lo facessi, probabilmente sarebbe nel contesto di un tour più piccolo, magari con un’orchestra, per suonare quei dischi nello specifico. Quando sono in tour con la E Street Band faccio un concerto rock. Voglio salire sul palco, premere sull’acceleratore per tre ore, e sfinire me, voi e chiunque si trovi nel raggio di 30 chilometri. Ci sono cose che si adattano e cose che non si adattano a quello spirito. È così che vedo il lavoro che faccio con la band.

Sei stato fotografato spesso sul set del biopic Deliver Me from Nowhere, che ruota attorno alla creazione di Nebraska. Che effetto ti fa vedere un attore che ti interpreta?
Sono certo che è stato molto più difficile per lui che per me. Jeremy Allen White è stato molto paziente nei giorni in cui sono stato sul set. Gli ho detto: «Senti, se in qualsiasi momento pensi che ti stia intralciando, lanciami un’occhiata e torno subito a casa». Nei giorni in cui sono stato lì è stato gentilissimo a tollerare la mia presenza. È stato divertente. Una bella esperienza. Certo, c’è qualcosa di strano, perché il film tratta alcuni dei giorni più dolorosi della mia vita. Ma è un progetto meraviglioso, e sia Jeremy Allen White che Jeremy Strong (che interpreta il manager Jon Landau, nda) sono stati fantastici, bravissimi, così come tutti gli altri attori. Stephen Graham interpreta mio padre ed è incredibile. Tutti quelli coinvolti nel film sono stati straordinari.

Dev’essere intenso a livello emotivo vedere attori che mettono in scena la tua infanzia proprio davanti ai tuoi occhi…
Be’, ad alcune scene non ho assistito. Se sapevo che stava per essere girata una scena particolarmente personale, restavo a casa, volevo che gli attori si sentissero liberi, senza avermi tra i piedi. Se il regista Scott Cooper voleva o aveva bisogno che fossi lì, cercavo di esserci. Ma ero in tour in Canada durante il primo mese di riprese, in quel periodo ero spesso in viaggio. Ah, una cosa per il mio pubblico canadese: quel tour è stato incredibile, il miglior tour canadese che abbiamo fatto.

A proposito di Nebraska, i fan sono affascinati dall’idea di un Nebraska in versione full band. È diventato quasi un mito negli anni.
Be’, posso dirti subito che non esiste.

Sul serio?
Abbiamo provato a registrare qualche canzone con la band, versioni elettriche di Nebraska, forse qualcos’altro, non ricordo bene. Ma quel disco semplicemente non esiste. Non c’è un Nebraska elettrico al di fuori delle versioni che sentite in concerto.

Max Weinberg e Roy Bittan mi hanno raccontato di aver provato molti dei brani nel salotto di Roy.
Non ricordo, ma posso dirti che nei nostri archivi non c’è niente che si possa considerare un Nebraska elettrico.

(Nota dell’autore: circa un mese dopo l’intervista, accendo il telefono dopo un volo aereo e trovo una chiamata persa da un numero sconosciuto di Freehold, New Jersey. C’era anche un messaggio: «Ciao Andy, sono Bruce Springsteen. Solo per dirti che ho controllato nei nostri archivi e in effetti c’è un Nebraska elettrico, anche se non contiene tutte le canzoni dell’album. Un saluto, Bruce»).

I fan fantasticano di un concerto speciale, prima dell’uscita del film, in cui suoni tutto Nebraska dall’inizio alla fine, cosa che non hai mai fatto. Potrebbe accadere?
Dubito che lo farò, ma un giorno potrebbe succedere. Sarebbe divertente e ai fan piacerebbe un sacco. Non lo escludo.

Springsteen e la E Street Band nel 2023. Foto: Danny Clinch

L’ultima volta abbiamo parlato di Only the Strong Survive – Volume 2. È pronto?
Sì, è finito, completato. È pronto da un bel pezzo. Di nuovo, è una questione di tempismo. I dischi di cover li realizzo perché mi diverte farli quando non sto scrivendo cose mie. È un progetto che mi ha divertito parecchio. Adoro tutta quella musica, quelle canzoni e quei cantanti. Quindi sì, c’è un secondo volume. E ho anche fatto altre cover che non sono necessariamente legate al soul, quindi c’è anche un altro progetto in ballo.

Ora stai scrivendo canzoni? Stai già pensando al prossimo disco?
Sì, ho un disco finito.

Con la E Street Band o da solista?
Da solista.

Puoi dirmi qualcosa?
No.

Pensi che uscirà l’anno prossimo?
Immagino che uscirà nel 2026.

A parte Broadway, non fai un tour senza la E Street Band da 19 anni. Pensi che potresti fare un altro tour da solo prima o poi?
Beh, a Broadway ho fatto 240 date o giù di lì. Ma sì, sicuramente lo farò di nuovo prima o poi. Non so che musica suonerò, ma avrò molto materiale a disposizione perché sto facendo tanti dischi. Mi piacerebbe farlo prima o poi.

Questo tour estivo europeo va considerato la fine del tour con la E Street iniziato nel 2023?
Sì. Questi prossimi 15 o 16 concerti rappresentano la fine ufficiale del tour di 130 date. Questa volta abbiamo fatto una tournée così lunga perché ci eravamo presi sei anni di pausa, dovevo riprendere il contatto col pubblico ed è stato divertente suonare con la band… Ma in futuro probabilmente ci esibiremo più spesso facendo meno date di fila.

I fan australiani non vedono l’ora di vederti laggiù.
Sto facendo del mio meglio per andarci, si spera l’anno prossimo. Mi spiace, chiedo scusa ai fan australiani per non essere venuto in questo giro, ma voglio che sappiano che stiamo pianificando di andarci non appena possibile, probabilmente il prossimo anno.

"4th of July, Asbury Park" Bruce Springsteen@Sea Hear Now Festival Asbury Park, NJ 9/15/24

Il concerto che hai fatto l’estate scorsa ad Asbury Park è stato incredibile.
Lo metto tra i primi cinque o persino tre che abbiamo mai fatto. È stato speciale anche perché ero in quel posto quando era una città fantasma. Asbury Park è stata una città fantasma per 30 anni e io e i ragazzi eravamo lì. Esserci in un momento di rinascita, vedere la città riprendere vita sulla spiaggia davanti a noi in una splendida notte di settembre è stata una delle esperienze più belle della mia vita.

Uscirà un Tracks III?
Sì, ho ancora tanta musica negli archivi. Sono cose che ho finito e sono pronte per essere pubblicate. È solo una questione di quando avremo il tempo di farlo, visto che ho anche altri progetti in uscita. Ma non aspetterete altri 25 anni per sentire un altro Tracks. Immagino uscirà entro i prossimi tre anni.

Ci sono altri album completi e inediti?
No, non ci sono album completi. È musica nata in momenti diversi della mia vita lavorativa con la band e senza, alcuni pezzi sono molto vecchi. Pubblicato quello, l’archivio sarà sostanzialmente vuoto. Mi piace l’idea di poter finalmente dare ai fan tutta la musica che ho registrato.

Durante la presidenza di George W. Bush hai scritto molte canzoni sulla follia di quegli anni. Ti viene voglia di scrivere qualcosa sull’epoca che stiamo vivendo oggi?
Mi ispira a cantare, ma per ora non a scriverci sopra. Non so se succederà. Stiamo vivendo una tragedia americana, ma credo che ne usciremo integri. Il nostro Paese non è come altri che hanno avuto storie autoritarie. Abbiamo una tradizione democratica e credo che verrà fuori. Non credo che questa tradizione sparirà da un giorno all’altro, nonostante gli sforzi di chi prova a sovvertirla.

Non stai perdendo la speranza?
No, no, no. Bisogna avere speranza, amico. Devo avere speranza.

Bruce Springsteen - Land of Hope and Dreams (Manchester May 14, 2025 [Official Live Video])

Quando abbiamo parlato più di dieci anni fa dicevi che la luce del treno in arrivo ti fa concentrare di più. Lo pensi a maggior ragione oggi, alla tua età?
Sì. Ti rendi conto che il tempo è limitato e che il tempo che ti resta da passare sul palco è limitato. Quando vieni a vederci, vedi una band al massimo della forma. Nel 1980 suonavamo in modo diverso, nel 1975 in modo ancora diverso. Avevamo un’energia giovanile, ma ora nelle performance senti la profondità e l’esperienza che abbiamo maturato in cinquant’anni assieme. E la band è semplicemente fenomenale oggi. È emozionante suonare con la E Street Band ora, non vedo l’ora di farlo ancora molto in futuro. Ma quel futuro è limitato.

Ci sono serate in cui guardi Max verso la fine del concerto e pensi: «Ma come fa ancora a reggere»?
Beh, credo che Max abbia affinato una tecnica che gli permette di farlo, è incredibile. Io ogni tanto esco di scena e prendo fiato brevemente tra una canzone e l’altra, perché mi piace tenere il concerto sempre in movimento. Max no. Mentre noi ci prendiamo quello piccola pausa lui continua a suonare. Insomma, suona per tre ore di fila senza fermarsi. Credo faccia due o tre pause di 30 secondi per bere. È un miracolo fatto uomo, una benedizione per la mia vita e la mia carriera.

Spesso penso alla fortuna pazzesca di aver messo un annuncio sul Village Voice per cercare un batterista e un tastierista. E chi ti arriva? Max e Roy.
Hanno definito gran parte del suono della band: le tastiere di Roy Bittan definiscono il carattere della E Street Band, così come la batteria di Max. Se vuoi avere una carriera lunga, devi anche essere fortunato e io lo sono stato. Sono stati giorni fortunati.

Speri di fare come Pete Seeger e di esibirti ancora quando avrai 90 anni?
Assolutamente sì. Conoscevo Pete, aveva un sacco di energia. Quando la voce ha cominciato a calare, ha trovato un altro modo per esprimersi. Penso che fosse un suo cugino o qualcuno che suonava con lui? Pete capiva che la gente veniva a sentire il suo spirito, che era fortissimo.

Un grande modello.
Come Willie Nelson e come tanti “padri” del rock che hanno continuato a esibirsi superati gli 80 anni. E i Rolling Stones sono una fonte d’ispirazione fantastica. Stanno suonando meglio che mai, come del resto Paul McCartney. E Bob Dylan è ancora in giro. Sono un po’ più vecchi di me e dimostrano che, ehi, non è ancora tempo di fermarsi. Ci sono ancora tanti chilometri da fare.

E quindi non farai un tour d’addio?
No.

Da Rolling Stone US.

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