Boss Doms: «Lascio Achille Lauro per portare l’underground nel pop» | Rolling Stone Italia
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Boss Doms: «Lascio Achille Lauro per portare l’underground nel pop»

Il produttore pubblica il singolo solista ‘I Want More’ e parla della sua idea di suono, del rapporto con Lauro, di depressione, delle scaramucce con Morgan, del momento in cui ha detto: «Fanculo, d’ora in poi farò musica»

Boss Doms: «Lascio Achille Lauro per portare l’underground nel pop»

Boss Doms

Fino a ieri, se pensavi ad Achille Lauro subito dopo ti veniva in mente Boss Doms e viceversa. Da oggi, i fan dell’accoppiata più distopica della musica italiana dovranno adeguarsi a un cambiamento radicale: i due hanno preso strade diverse. Lo conferma lo stesso Edoardo Manozzi (in arte Boss Doms), mentre ci presenta con grande soddisfazione il suo primo singolo da solista in uscita oggi, 3 luglio 2020, che si intitola I Want More.

Romano, classe ’88, chitarrista, produttore e dj, è l’architetto del suono che ha permesso a Lauro De Marinis, vero nome di Achille Lauro, di trovare la cornice adatta ad arricchire i suoi testi dadaisti (cit. Morgan). Ora però è il momento di correre da solo perché, ha spiegato, «da troppo tempo avevo lasciato da parte le mie ispirazioni». Non è un addio, semmai un arrivederci a data da destinarsi.

Fino a poco tempo fa eri considerato il partner in crime di Achille Lauro, oggi come ti presenti al pubblico?
Come me stesso, semplicemente. Abbiamo condiviso un pezzo di percorso insieme e ci siamo piaciuti perché siamo animati dallo stesso approccio militare alla musica, da veri stacanovisti. Ce lo siamo sempre detti: qualsiasi cosa avessimo fatto, anche i costruttori edili, ci avremmo applicato la medesima dedizione. È ciò che ha fatto scattare la scintilla tra noi, quell’impeto che ci muove.

Quindi non ti sei mai sentito oscurato dalla sua personalità?
Come produttore devi sempre fare il massimo per l’artista con cui collabori. Cioè, metterti al servizio per far rendere il cantante nella sua forma più figa possibile. Ho cercato di cucirgli addosso un sound perfetto per lui e che valorizzasse i suoi testi e il suo immaginario. Ma ci siamo trovati, perché per noi la musica non è solo musica, ma anche quello che gli gira intorno. Come spalla, chitarrista e produttore, il mio compito era far risplendere lui, come avevo fatto con Gemitaiz, Emis Killa o Anna Tatangelo.

Oggi invece punti a splendere in proprio.
Arriva un momento in cui hai il bisogno di comunicare quello che senti. Ho fatto tantissimo in questi anni per gli altri, mettendo da parte le mie cose. Anche perché, per un progetto come quello di Lauro devi dedicarti al 100%. E nello stesso modo, per dare dignità al mio lavoro solista, non posso dividermi a metà.

Quindi con Achille Lauro le strade si dividono?
Per ora sì, ma ci amiamo. In realtà gli ultimi due pezzi di Lauro li ho condivisi, ci siamo visti, abbiamo fatto riunioni, gli ho dato consigli, però non ero presente in studio 24 ore su 24 come prima. Ma con la testa e il cuore c’ero, con la stessa passione di sempre.

Parliamo un po’ di I Want More, il tuo singolo in uscita, un incontro fra pop e cultura underground.
Questa canzone è l’inizio di un nuovo sound, ma non voglio dire che abbraccerà tutto il mio percorso. Sono eclettico, non mi piace etichettarmi da solo. Continuerò a spaziare. La visione è di far diventare pop ciò che oggi è normalmente considerato underground. Sembra un controsenso, due opposti che di solito non si uniscono, invece con questo sound credo di esserci riuscito.

Grazie a un nuovo approccio alla techno?
Sì, adoro la techno, ma sento che i pezzi che passano hanno tutti lo stesso format. La challenge è far diventare radiofonico qualcosa di più dark, ma che possa essere ascoltato da una persona di 50 anni come dal pischello di 14.

Tecnicamente su cosa hai lavorato?
È il risultato di un anno di lavoro in studio. Ho passato tutti i suoni all’interno di macchine analogiche per renderli più autentici. Ho unito la techno alla pop music, dove strofe ed incisi sono invertiti, così da ottenere strofe più movimentate grazie al groove della cassa in 4/4. I Want More vuole rendere la musica techno più radiofonica, ma con un’architettura underground e dark.

Sei stato definito in tanti modi, ma sei sempre sfuggito alle etichette. È uno sforzo o una attitudine naturale?
È naturale non avere etichette per me, da sempre. Questa tendenza mi ha portato anche delle difficoltà, soprattutto all’inizio. Avevo cominciato con delle release per la Play Records molto importanti di Deadmou, poi ho cambiato genere radicalmente e non hanno più accettato quello che facevo. Se avessi continuato con 10 o 20 uscite simili avrei avuto la strada spianata molto prima, ma non è stato un errore, mi è servito. Sono convinto che tutto ciò che ci succede arriva al momento giusto. È stato utile per un altro percorso con Lauro che ci ha fatto crescere e ci ha insegnato tantissimo della discografia, della comunicazione, dei contratti, del booking, tutti aspetti che prima non conoscevo.

Achille Lauro ha dichiarato: «Voglio portare il disordine dove c’era ordine per ristabilire un nuovo ordine». È un po’ questo anche il tuo atteggiamento?
Sì, è quello che sto portando avanti anch’io, cioè il voler riscrivere le regole di cosa è il pop. Come Marilyn Manson, i Daft Punk, i Chemical Brothers, insomma quegli artisti di rottura. Non è la strada più semplice, avrei potuto produrre pop a raffica e mi sarei già comprato dieci Rolex, però non è quello che volevo. Il messaggio che voglio lanciare è di perseveranza e passione, di credere alle proprie idee. A volte ho creduto così tanto a quello che facevo che mi sono dimenticato perché ci credessi.

C’è stato un momento in cui hai pensato di non farcela?
Mi capita dieci volte al giorno, poi fortunatamente all’undicesima riesco a farlo. Quando c’è una sfida mi accende la vita, e devo ammettere di avere questi dieci attacchi di depressione nelle 24 ore, però finché arriva l’undicesimo step e me li fa superare vado avanti. Quando non succederà più smetterò di fare musica.

E il momento migliore della tua carriera?
Quando ho capito che avrei fatto musica nella vita. Fino a quel punto non ci credevo poi tanto, mi chiedevo perché proprio io? Un giorno, però, mi hanno proposto un live al Cube dove avrei aperto per un artista che era appena uscito con una hit internazionale. Non avevo mai fatto un live, figurati fare l’apertura a uno così. Però portai 45 minuti di musica solo mia, un vero live test, non un dj set con brani registrati. Ero solo io con il computer aperto e i vari canali delle casse, dei piatti, dei sintetizzatori e suonavo dal vivo miscelando tutto. Non ho mai alzato lo sguardo, fino a quando non è venuto da me il promoter che ha detto: “Stanno pogando tutti”. Alzo la testa e vedo la gente impazzita. Quando sono sceso, mi sono detto: “Vaffanculo, d’ora in poi farò musica”. Da quel momento ci ho creduto per davvero e non ho ancora smesso.

Con Morgan vi siete chiariti, dopo che se l’è presa per il tuo rifiuto di remixare il brano diventato virale con cui attaccava Bugo nell’ultimo Sanremo?
Io mi sento in pace con il mondo, non ce l’ho con lui. È un artista della madonna, davvero forte, non so perché sta percorrendo questa strada, però non lo giudico. Ma quando parla in maniera sbagliata di me e Lauro, più di lui perché di me gliene frega poco, mi sento colpito anch’io per amicizia. Mi spiace che dopo aver collaborato con noi e averlo sentito dire che Lauro è il nuovo Luigi Tenco, appena c’è qualcosa che non va come si aspetta lo tratta come fosse la peste. Non lo trovo coerente. Morgan artisticamente è un genio e continua a esserlo, però trovo sprecato questo modo di fare. Non gli serve il gossip. Nel messaggio dicevo che “non voglio entrare in trashate italiane” perché non faccio remix, non me la prendo verso i colleghi con i dissing, e avevo anche paura di messaggiare con lui.

Come mai?
Glielo avevo scritto, temevo che lo avrebbe usato contro di me. E infatti è successo. Però la gente ha apprezzato la mia risposta, non ci ha fatto una bella figura.

Comunque, se in futuro ti contattasse per un progetto artistico, saresti pronto a collaborarci?
Assolutamente sì, anche se non subito perché non sono interessato alla musica italiana. Se volessi farla adesso continuerei con Lauro. Però un giorno, perché no?

Con chi vorresti collaborare a livello internazionale?
Travis Scott, Skrillex, Deadmau5, Liam Gallagher, anche se mi tremerebbero le gambe, visto che li considero delle divinità. Dovrei tirare fuori il 100%, ma sarebbe stimolante.

Valentina Pegorer, la tua compagna, ha detto che durante il lockdown stavate per lasciarvi, ma poi ha aggiunto: «Al matrimonio non penso, però se Edoardo me lo chiedesse…». Cosa aspetti?
In effetti abbiamo rischiato di lasciarci sei volte al giorno durante il lockdown, ma sfido chiunque a non aver pensato di accoltellare nel sonno la moglie o il marito. È stato un periodo difficile, con una bambina di un anno. Dormivo tre ore al giorno, perché suonavo sempre, ho scritto 30 pezzi tutti di notte. Uno stress che nella coppia si è fatto sentire. Superata questa non ci abbatte più nessuno. Se c’è l’amore passa tutto. Io amo mia figlia, amo la mia compagna e quindi sono pronto a superare qualsiasi ostacolo per loro. Il matrimonio è un foglio di carta, io e Vale siamo già sposati.

Tu e Lauro siete stati definiti “sessualmente fluidi” dopo il bacio a Sanremo, ma è un messaggio sociale che volevate lanciare?
Finalmente qualcuno che lo capisce! Noi siamo i registi e gli attori di noi stessi. Quindi il messaggio non è che siamo “sessualmente fluidi”, ma riguarda la libertà di espressione. Io che non sono omosessuale posso dare tranquillamente un bacio sulla bocca a un altro ragazzo sul palco di Sanremo per far vedere che siamo liberi. Invece hanno visto solo la punta dell’iceberg. Non è lo scandalo che cercavamo, ma la libertà di espressione, per dire a tutti che bisogna sentirsi sempre bene con sé stessi, che non c’è da vergognarsi mai di quello che si è, perché non ci sono sessi, razze e colori che tengano.

Il coronavirus è stata una tragedia a livello umano, ma anche lavorativamente lo è diventato per chi opera nel settore degli spettacoli. Da musicista, ti sei sentito trascurato dalle istituzioni?
Assolutamente sì. È stato sottovalutato il fatto che il business milionario che ruota intorno agli spettacoli non arricchisce solo gli artisti, ma sfama migliaia di famiglie. Per questo con Max Pezzali, Lodo Guenzi e Jake La Furia abbiamo realizzato il brano Una canzone come gli 883, i cui ricavati sono stati devoluti a chi è in difficoltà. E siamo persino stati contestati, perché ci dicevano che non esiste solo questo settore. Ma se ognuno pensasse a rialzare il proprio, sarebbe già tanto. Oggi bisogna pensare a tutti quelli che non lavorano, dai tecnici luci alla produzione, dalla manovalanza ai fonici e ai direttori artistici o quelli che operano sui video. A qualsiasi festival vedi minimo 100 persone impegnate, e sono tutte senza uno stipendio. Non è corretto che non ci sia un sostegno per questi lavoratori.

Hai ancora un sogno nel cassetto?
Prima era di diventare musicista, ora che lo sono mi rimane solo quello di crescere sempre di più a livello artistico come solista. Ma deve andare di pari passo al far stare bene la mia famiglia. Ho capito che il mio compito è questo, darle quello che io non ho avuto da ragazzino.

Ma se il tuo singolo supera le views dei pezzi di Achille Lauro, secondo te rosica?
Ma no, siamo fratelli! Facciamo gioco di squadra, non c’è rosichella tra noi. Ci siamo costruiti insieme e da soli e sono contento se lui spacca e lui è contento se io spacco. Quando un giorno torneremo insieme lo annunceremo su Instagram e la gente se metterà a piagne, capito? Tra noi c’è agonismo sportivo, chi arriva secondo stringe la mano al primo. Io tifo per Lauro e sono certo che lui faccia lo stesso con me.

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