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Bnkr44, la rivoluzione pop viene dalla provincia

Più che un gruppo, sono un collettivo, sette ventenni che vengono dal rap, dal rock, dal nulla. Ieri hanno pubblicato 'Farsi male a noi va bene', oggi sono alla Milano Music Week: li abbiamo incontrati

Foto press

Milano, interno giorno. I Bnkr44, che la sera prima hanno suonato nella puntata di Niente di strano che li vedeva ospiti, si sono svegliati da poco e la stanza d’albergo in cui ci siamo accampati per l’intervista non è ancora stata rassettata dalle cameriere. Essendo in sette, occupiamo ogni superficie disponibile per sederci in cerchio, tipo alcolisti anonimi. All’improvviso, una notifica: è uscito un articolo che parla di loro, su un web magazine dagli utenti particolarmente agguerriti che di solito non parla di artisti come loro. Tra l’entusiasmo e il timore di una potenziale shitstorm, ciascuno si mette a scorrere freneticamente la schermata del proprio cellulare alla ricerca di eventuali commenti negativi. Falso allarme: nessun troll avvistato, possiamo proseguire con l’intervista, tra uno sbadiglio e una risata. La sensazione è quella di avere interrotto una gita di classe particolarmente allegra e movimentata, e non è affatto spiacevole.

I Bnkr44 hanno tra i 20 e i 23 anni, arrivano da Villanova, una piccola frazione tra Empoli e Firenze, e sono Fares (scrive, canta), Erin (produce, scrive, canta, registra, suona), Caph (scrive, suona la chitarra, canta), JxN (produce), Faster (scrive e canta), Piccolo (scrive, canta, disegna), Ghera (manager e babysitter: parole loro, non nostre). Non immaginatevi un coro gospel misto a una big band: non cantano e suonano tutti insieme, ma funzionano come un collettivo, alternandosi sulle tracce. Come una cinquantina di altri ragazzi della loro zona frequentavano il Bnkr, o Bunker che dir si voglia, una sorta di polo aggregativo culturale che ha in sé uno studio di registrazione aperto ai giovanissimi. Loro sette erano quelli che facevano musica, portando avanti i propri progetti solisti, e a un certo punto Ghera ha avuto l’idea di riunirli, «ome fa una madre amorevole», scherzano. «Oggi siamo davvero fratelli».

Hanno lanciato il loro progetto, con notevole tempismo, a fine 2019, appena prima del lockdown. Che quasi tutti loro hanno vissuto da tardoadolescenti reclusi, vista l’età. «Ognuno stava a casa sua e praticamente non ci siamo visti, a parte qualche eccezione quando riuscivamo a uscire di nascosto e a beccarci di sgamo», ride Erin. «Io studiavo a Londra, sono dovuto rientrare in Toscana per il Covid e ho scoperto la lettura», aggiunge Fares. JxN e Faster andavano ancora a scuola, erano iscritti all’ultimo anno dell’artistico a Empoli: «Abbiamo finito il liceo nel peggior modo possibile», commenta Faster. «Io avevo appena cominciato a fare il fattorino, quindi ero tra le pochissime persone che potevano muoversi», conclude Piccolo, che però quella libertà l’ha pagata cara, visto che quando ha preso il Covid è rimasto positivo per oltre due mesi. «Per fortuna, durante il secondo lockdown, ci siamo praticamente trasferiti al Bnkr e abbiamo pensato solo a fare musica».

All’inizio, l’idea di suonare tutti insieme come un collettivo era una sorta di allenamento: «Un modo per sperimentare, imparare a fare musica con altri e capire cosa ci piaceva e cosa no», spiega Caph. «La parte collettiva la vivevamo come una cosa ricreativa, mentre la scrittura e la produzione da soli era più terapeutica», dice Faster. L’introspezione e la provenienza geografica li accomunano, ma per il resto i sette membri di Bnkr44 sono molto diversi, anche perché molti di loro si sono conosciuti quando hanno fondato questa realtà. C’è chi viene dal rap e chi dal rock, ad esempio, e c’è addirittura chi non ascolta musica di altri per scelta, perché preferisce fare la sua. Anche le canzoni nascono in maniera molto frammentaria: «È un po’ una gara!», ride Fares. «In generale, ciascuno di noi inizia a scrivere da solo e poi decide chi degli altri coinvolgere su quella specifica traccia», aggiunge Faster. «Però stiamo imparando anche a scrivere tutti insieme, come un gruppo coeso», dice Erin.

Inizialmente i Bnkr44 suonano nella loro zona (finché e quando è possibile, ovviamente) e pubblicano le loro tracce su SoundCloud. A un certo punto, arriva la proposta di collaborare con una delle etichette che ha sfornato le realtà più interessanti della scena indie italiana degli ultimi anni, da Calcutta a Liberato, dagli Psicologi ad Ariete: Bomba Dischi. «Ci siamo subito trovati benissimo con loro, perché come noi sono molto informali: ridiamo e scherziamo un sacco, non sono ingessati come ci immaginavamo fossero i classici discografici», racconta JxN. «E poi rispettano totalmente la nostra visione: ci danno ovviamente dei consigli, ma non ci impongono niente», rincara Caph.

Con loro pubblicano il posse album 44 Deluxe, che raccoglie tutti i brani pubblicati fino a quel momento su SoundCloud, e poi, svelato a blocchi con una serie di EP, l’album di debutto Farsi male a noi va bene, uscito ieri. Una piacevolissima miscela di pop post moderno, suonato bene e cantato ancora meglio, in cui le canzoni rispecchiano perfettamente i loro creatori: allegre ma non sopra le righe, introspettive ma non malinconiche, casiniste ma non casinare, abbastanza giovani da mostrare un ampio potenziale di miglioramento ma abbastanza mature da non suonare incompiute. La title track, che chiude il disco, rappresenta la loro motivazione e la loro perseveranza, spiegano, ed è il lavoro più collettivo che abbiano fatto finora.

Nonostante il suono urbano e cosmopolita dei loro brani, i Bnkr44 vivono tuttora «nella periferia della periferia, e ci resteremo ancora per molto!», scherzano. Per la maggior parte di loro è una scelta, raccontano: nella provincia toscana stanno bene, vivono felici, sentono che è utile alla loro creatività. «Quando arrivo a Roma o a Milano, dentro di me fo “wow!”», ride Faster. «Qui è pieno di stimoli, c’è sempre qualcosa da fare, ma alla lunga ti senti una formica. Per il nostro modo di scrivere e lavorare, il mood più sano è quello di casa nostra».

«Immaginatevi se vivessimo a Milano e dovessimo prendere la metro ogni giorno per andare in studio, non ci arriveremmo mai», esclama Piccolo tra le risate generali. L’unico che proverebbe volentieri a vivere in una metropoli è Erin – «Cambiare aria ogni tanto è fondamentale» – ma gli altri non sembrano particolarmente inclini a seguirlo. Sicuramente i ragazzi di città non percepiscono una grande differenza tra loro e i sette del Bnkr, come dimostra il listening party improvvisato che hanno organizzato ieri sera: un paio di storie su Instagram per invitare i fan sui Navigli, e nel giro di mezz’ora si erano presentate 60 persone. «I nostri fan sono sia maschi che femmine, e hanno tutti più o meno la nostra età. Sono tutte persone super positive, finora nessun hater!», sorridono felici.

Partiti dalla sala prove, non credono granché nel potere dei social e dei talent show e sono convinti che «i migliori hitmaker italiani probabilmente in questo momento sono chiusi in cameretta e non sanno neanche di esserlo». Il primo live lo hanno fatto a dicembre 2019, per poi bloccarsi a lungo per la pandemia. Hanno ricominciato a esibirsi dal vivo con l’ultimo tour estivo, che ovviamente è ricco di aneddoti da ricordare. «La nostra gavetta è stata di due anni in uno, come il recupero anni scolastici. Il furgone praticamente aveva preso vita già dopo 24 ore», ironizza Fares. «Una volta abbiamo fatto una tratta notturna di 12 ore, da Locorotondo a Gorizia», racconta Caph. «Asciugamani ovunque, un cimitero di lattine di Red Bull vuote, panini sul cruscotto, gente che dormiva addosso agli altri, sudore, fumo di sigaretta… E una volta arrivati a Gorizia, abbiamo suonato e siamo ripartiti per la Sicilia in traghetto».

Anche sul palco avevano approntato un set “strategico”, come lo definiscono loro: «C’è un divano, un tavolino con le birre e una tela: chi non è impegnato a suonare si siede lì e beve, oppure dipinge», ricorda Faster. Le tele prodotte al termine del tour, ben 17, sono andate all’asta dopo una mostra. Stasera all’Apollo, in chiusura della Milano Music Week, hanno preparato un allestimento speciale, diverso da tutti quelli visti finora, anche per questioni logistiche: non c’è abbastanza spazio sul palco per tutti loro. «Lo sappiamo, siamo in tanti, ma per fare una rivoluzione bisogna essere minimo in sette», affermano convinti. E ci credono talmente tanto che convincono anche noi.

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