Björk e Rosalía contro i salmoni Frankenstein: la storia di ‘Oral’ | Rolling Stone Italia
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Björk e Rosalía contro i salmoni Frankenstein: la storia di ‘Oral’

L’islandese racconta la genesi del pezzo che sta per pubblicare con la popstar spagnola, non un inno ambientalista ma la nuova versone di una canzone d’amore rimasta negli archivi perché troppo pop

Björk e Rosalía contro i salmoni Frankenstein: la storia di ‘Oral’

Björk e Rosalía

Foto: Santiago Felipe/Getty Images (1); Aldara Zarraoa/WireImage (2)

Björk s’infuria se pensa alle migliaia di «pesci Frankenstein» che da un anno nuotano nei fiumi islandesi. Come in una scena di Piraña, quei salmoni non autoctoni sono fuggiti dalle reti entro cui sono allevati nei fiordi occidentali dell’isola e negli ultimi mesi sono entrati nei fiumi del Paese. Ora, riproducendosi, minacciano la popolazione locale di salmoni poiché sono entrati in contatto con pesticidi e rifiuti organici. Negli ultimi vent’anni il numero dei salmoni atlantici selvatici in tutto il mondo è calato drasticamente a causa dei cambiamenti climatici e dell’aumento di parassiti come i pidocchi di mare. Secondo i dati forniti dall’Icelandic Wildlife Fund (IWF), la popolazione di salmoni selvatici dell’Atlantico settentrionale in Islanda è un quarto di quella che era nel 1970.

La cantante si è sempre battuta per le cause ambientali, soprattutto in Islanda. Ora vuole attirare l’attenzione sulla situazione dei salmoni del suo Paese con un pezzo cantato con Rosalía. Per rendere ancora più intrigante l’operazione, la canzone non ha nulla a che fare con i pesci.

Björk ha scritto e registrato Oral alla fine degli anni ’90, ma non l’ha mai pubblicata perché pensava fosse troppo pop e mainstream per finire in Homogenic o Vespertine. Il brano, che pubblicherà presto, mette assieme armonie d’archi con un leggero ritmo reggae, mentre le due popstar cantano di unire “sogno e realtà” e pensano se confessare il loro amore all’uomo di cui si sono invaghite. “È la cosa giusta da fare?”, si domandano nel ritornello. “Non lo so, non lo so e basta”. La registrazione è rimasta nel suo archivio fino allo scorso marzo, quando Björk l’ha riascoltata e recuperata.

Quando ha saputo dei pericoli che correva il salmone autoctono islandese (e ha visto come il problema si è aggravato in estate, quando l’Islanda ha cercato di eliminare i pesci indesiderati), ha deciso di pubblicare il pezzo come singolo benefit e ha coinvolto Rosalía per dargli una veste nuova. I proventi saranno devoluti a un fondo per aiutare le persone che vivono vicino a Seyðisfjörður, sulla costa orientale dell’Islanda, a opporsi per vie legali all’arrivo di un altro allevamento industriale di salmoni. Il denaro rimanente sarà destinato alla campagna per promuovere una nuova legislazione e per sensibilizzare l’opinione pubblica.

«L’ambiente naturale del salmone selvaggio dell’Atlantico settentrionale sta scomparendo a causa dei mutamenti climatici e dell’aumento di acidità dell’oceano», spiega Jón Kaldal dell’IWF. «Per questo dobbiamo assolutamente ridurre l’impatto di altre minacce, in modo che il salmone selvaggio si adatti a un ambiente che cambia». I pidocchi dei salmoni, la mescolanza genetica coi salmoni d’allevamento e le infezioni collegate all’allevamento sono le minacce più grandi causate dall’uomo al salmone selvaggio».

«Uno dei motivi per cui abbiamo lanciato questa campagna è che possiamo cambiare le cose», dice Björk a Rolling Stone via Zoom. «Scienziati e avvocati ambientalisti ci hanno detto che è ancora possibile rimediare. Vale per tutte le notizie legate all’ambiente che leggete: potrebbe esserci il lieto fine».

Come sei venuta a conoscenza dei danni dell’allevamento ittico?
La cosa preoccupa noi attivisti islandesi da tempi. Poi a febbraio è uscito un rapporto importante (dell’Icelandic National Audit Office, nda) che spiegava che il problema non era grave come pensavamo, no, era dieci volte peggio. In estate tutti in Islanda, ma proprio tutti, si sono infuriati. Siamo la più grande area naturale incontaminata d’Europa e da mille anni gestiamo gli allevamenti a modo nostro. Le nostre pecore, per dire, sono allevate in libertà: corrono sugli altopiani per quattro mesi, in estate. È uno stile di allevamento biologico all’aperto da prima che venissero inventati questi termini.

E insomma è stato un grande shock scoprire gli allevamenti in gabbie sommerse. Danno ai pesci dei farmaci per stimolarne la crescita col risultato che si sviluppano a velocità doppia o tripla del normale, quindi il 60% degli esemplari è sfigurato. Buona parte della pelle si stacca. Il 20% degli esemplari muore nelle gabbie sommerse per via delle condizioni terribili. Buttano dentro tonnellate di antiparassitari. Le condizioni in cui vivono sono pessime tanto che i medici [in Norvegia] consigliano alle donne incinte e ai bambini di non mangiare questi pesci. Potete ben immaginare cosa vendono, nei negozi, spacciandolo per salmone selvaggio dell’Atlantico settentrionale: non è così. In pratica è come se questi animali vivessero ad Auschwitz. («Il 100% dei salmoni d’allevamento ha problemi cardiaci, la colonna vertebrale e il cranio spesso sono deformati perché crescono troppo velocemente, più della metà soffre di perdita dell’udito», spiega Kaldal. «A questo contribuiscono lo stress dovuto all’ambiente delle gabbie marine e i farmaci somministrati», nda).

I medici dicono che non è sicuro mangiare questo pesce. È quindi contrassegnato in qualche modo nei negozi?
No, non è segnalato ed è una cosa che dovremmo chiedere a gran voce. È uno scandalo. Scrivono “salmone selvaggio artico”, ma non è selvaggio e nemmeno artico (ride). È, tipo, mutante… praticamente un mostro. (Kaldal aggiunge che «tutti i migliori ristoranti islandesi e le due principali catene di alimentari servono solo salmone allevato in vasche a terra», nda).

 

 
 
 
 
 
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Come si è arrivati a questa situazione?
Le società che gestiscono il tutto, che sono norvegesi, dovrebbero controllare le reti ogni 60 giorni. È troppo poco, dovrebbero farlo tutti i giorni. Ma nel giro di 94 giorni non avevano controllato le reti neppure una volta, così alcune migliaia di “pesci Frankenstein” mutanti e geneticamente modificati sono fuggiti e hanno risalito i fiumi, mescolandosi coi nostri salmoni selvatici. Abbiamo dovuto inviare dei sommozzatori con gli arpioni per cercare di abbatterli. A settembre è stato un disastro.

E tutto per un paio di miliardari norvegesi. È assurdo, perché una decina d’anni fa l’hanno fatto anche in Norvegia e la maggior parte dei norvegesi era contraria a causa delle implicazioni ambientali orribili. Così hanno cambiato le leggi e le hanno inasprite. E loro si son detti: allora andiamo in Islanda dove possiamo fare tutto quello che vogliamo. È anche per questo che siamo arrabbiati. Non si tratta solo della crudeltà nei confronti dei pesci: ci sono due miliardari che fanno un sacco di soldi grazie a noi. Tutto quel denaro non va ai villaggi dove si trovano gli allevamenti ittici. Ovviamente un po’ ci arriva, perché la gente trova lavoro negli allevamenti, ma non è nulla in confronto ai soldi che incassano quei miliardari norvegesi. (Kaldal precisa: «Le aziende non si sono trasferite in Islanda perché trovavano ostacoli in patria, ma per cercare di espandersi essendo i fiordi norvegesi ormai interamente sfruttati», nda).

Cosa speri di fare coi soldi derivanti da Oral?
Tutta questa storia interessa i fiordi occidentali, quelli orientali non sono ancora stati presi di mira. Ma c’è un fiordo che si chiama Seyðisfjörður e due venture capitalist vogliono avviare un allevamento proprio lì. La maggior parte delle persone che ci vive è contraria. Hanno manifestato per le strade e intentato causa. Vorremmo che il ricavato della canzone servisse ad aiutare questa gente a vincere la causa. Ci vorranno due o tre anni e, una volta vinta, potrà essere d’esempio per altri fiordi e, si spera, per il mondo intero. Quando abbiamo tradotto il mio comunicato stampa in spagnolo, l’abbiamo diffuso in tutto il Sudamerica e altrove. In Argentina e in Cile l’allevamento ittico è un problema enorme e credo che la gente non ne sia consapevole o informata. Non conoscono le condizioni orribili in cui vivono gli animali.

State promuovendo una petizione da inoltrare al governo islandese per cambiare i regolamenti, come ha fatto la Norvegia?
Il vero scandalo è che il Primo Ministro, il Ministro dell’Ambiente e il Ministro della Produzione Alimentare sono tutti di un partito verde e di sinistra e teoricamente dovrebbero proteggere la natura. La maggioranza degli islandesi è con noi, non importa se di destra o di sinistra, tutti pensano che sia uno scandalo. Stanno cercando di varare nuove leggi, ma l’iter è lentissimo. Non è accettabile dire: «Forse la prossima estate cambierà per un 5%». Non è abbastanza rapido. Per prima cosa vogliamo finanziare questa causa. Poi, se otterremo altri fondi, li destineremo all’assistenza legale, alle campagne informative e a qualsiasi cosa si renda necessaria. Ragioniamo sul lungo periodo.

Quando hai scritto Oral e perché la pubblichi solo ora?
L’ho registrata tra Homogenic e Vespertine. Era diversa, molto poppeggiante, non si adattava a nessuno dei due album. Ma non l’ho mai dimenticata, ha continuato a frullarmi per la testa. A quei tempi in studio non si usavano i computer, quindi i master erano analogici, le bobine fisiche. Ogni tre anni chiedevo al mio manager: «Hai ritrovato quella canzone?». E lui non ci riusciva mai, perché io ho fatto una cazzata e non riuscivo a ricordarne il titolo. Nel marzo del 2023 un pezzo grosso, uno del giro della finanza, è rimasto coinvolto in uno scandalo sessuale o qualcosa del genere, da cui è partito un caso giudiziario che interessava lui e i suoi due figli. In quel periodo ero in tournée in Australia e, guardando la CNN, nella striscia di titoli in basso sullo schermo ho letto: “Orale o non orale?”. Nel senso: “È stato sesso orale o no?”. Ho subito pensato: «Wow, ecco qual era il titolo della canzone: Oral». Ho mandato un messaggio al mio manager: «Potresti guardare fra i nastri multitraccia analogici e cercare un pezzo intitolato Oral?». L’ha trovato e tre giorni dopo me l’ha mandato via e-mail. La cosa strana è che era esattamente come lo ricordavo. Mi piaceva, ma era una cosa a sé stante che non si adattava a nessun album o progetto. Poi è saltata fuori questa storia dell’allevamento ittico e mi sono detta: «La regalerò agli attivisti».

Perché hai deciso di duettare con Rosalía?
Mi domandavo: «Non è che dovrei reincidere le voci?». Però quell’atmosfera nostalgica mi piaceva, è molto particolare e se l’avessi fatto l’avrei perduta. Poi ho pensato che sarebbe stato bello trovare un ospite che rappresentasse il 2023, per creare un collegamento tra le due epoche. Mi sono occupata personalmente dell’arrangiamento e del beat. All’epoca ero molto ispirata dalla dancehall e Rosalía aveva appena fatto una specie di album reggaeton sperimentale, e mi sono detta che la dancehall alla fine è una specie di nonna del reggaeton. Siamo amiche da qualche anno, così le ho mandato un messaggio e le ho chiesto: «Canteresti su questo brano per me? È per l’ambiente». Lei ha detto subito di sì, senza nemmeno averlo sentito.

E cosa ha detto della canzone quando l’ha ascoltata?
Le è piaciuta subito. Credo che volesse farlo anzitutto per l’ambiente, però sarebbe stato difficile se non le fosse piaciuta la melodia, ma l’ha adorata. È un pezzo in cui era facile immaginarla cantare, ma non sapevamo bene come. Le ho detto di fare ciò che si sentiva di fare. Ho scritto i testi e le melodie, lei ne ha cantata di nuovo la metà con un suo arrangiamento e una sua interpretazione. Abbiamo usato lo stesso pattern ritmico, ma abbiamo prodotto il pezzo insieme, cercando di trovare un modo per mantenere il beat fedele a ciò che era, ma aggiornandolo al 2023.

Come hai conosciuto Rosalía?
Ho ascoltato il suo primo album, quello in cui cantava il flamenco, più o meno cinque anni fa. Ne ero ossessionata, lo sentivo di continuo. L’ho contattata tramite Pablo (Díaz-Reixa), che si fa chiamare El Guincho, lavora con lei ed era venuto a Brooklyn per aiutarmi con i beat di Biophilia, nel 2010 o giù di lì. La volta successiva che sono andata a Barcellona, ho incontrato loro due e Arca, che adesso vive a Barcellona. Siamo usciti in quattro ed è stato molto carino. Si è parlato di fare qualcosa assieme, ma dovevamo trovare il momento giusto e la canzone giusta.

Cosa ha portato Rosalía al brano che ti è piaciuto?
Avevamo la stessa età quando abbiamo cantato questa canzone. Io avevo 33 anni o giù di lì, e lei ne ha più o meno 33 adesso (ne ha 31 per la precisione, nda). Ho pensato che da un punto di vista puramente vocale sarebbe stato interessante. Almeno non è necrofilia, anche se ci si avvicina…

Cosa ricordi di… Scusa, ti ho interrotta.
No, stavo per fare una brutta battuta sulla necrofilia.

Mi piacerebbe sentire una battutaccia sulla necrofilia.
Va bene così. Almeno non è necrofilia.

Ok. Cosa ricordi del processo di scrittura di Oral? Secondo me, nel testo stai pensando di svelare i tuoi sentimenti a un uomo, magari in uno stato onirico. Riascoltandoti cantare questo brano quando avevi 33 anni, cosa ti torna in mente?
Hai ragione. Parla proprio di quel momento in cui incontri qualcuno e non sai se è un’amicizia o qualcosa di più. Quindi ti ecciti e diventi molto consapevole di ciò che fanno le tue labbra. Forse è per questo che ho chiamato la canzone Oral. Se fai qualcosa, non sai quali saranno le conseguenze. Ma a volte basta la fantasia, non è necessario agire. Comunque è piuttosto giocosa, non è triste. E, anche se ovviamente non l’ho scritta per i salmoni, mi piace il fatto che sia allegra.

Una cosa che mi è sempre piaciuta della tua musica è il modo in cui moduli la voce, passando dalla dolcezza fino quasi al growl.
Non è una cosa studiata. E uno dei growl che più somigliano al mio è proprio quello di Rosalía. Penso che il suo sia stato un bellissimo omaggio alla mia voce e ne sono onoratissima. Si è impegnata parecchio per cantare il pezzo, mi piace il suono delle nostre voci insieme.

Hai detto che sei contenta di usare una canzone allegra per la causa dei salmoni. Perché?
Mi piacerebbe comunicare speranza per tutto ciò che è legato all’ambiente. Sono contraria all’idea hollywoodiana di realizzare un film dopo l’altro, una serie televisiva dopo l’altra su sopravvissuti in mondi postapocalittici che vivono di scatolette, non riescono a respirare, dicono «moriremo tutti» e si sparano a vicenda. Penso che sia una visione ristretta, codarda e vittimista. Vorrei affrontare le questioni ambientali con più ottimismo e in modo risolutivo, individuare cause legali che si possono vincere e cambiare tutto ciò che si può cambiare.

Nel corso del XXI secolo perderemo molte specie animali e parecchie le abbiamo già perse. Ma ho ancora molta fiducia nella biologia. Forse alcuni di noi diventeranno come piante mutanti, piante umane, al limite della fantascienza. Credo che sia importante avere un’immaginazione abbastanza sviluppata e una mente creativa. Dobbiamo essere in grado di immaginare un futuro e di viverci. È troppo comodo rassegnarsi allo scenario peggiore.

Da Rolling Stone US.

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