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Avete presente la bassista degli Smashing Pumpkins (no, non quella e nemmeno l’altra)?

Ai tempi del liceo Ginger Reyes Pooley ritagliava le foto della band. Una decina d’anni dopo ci ha suonato assieme sostituendo D’arcy e Melissa Auf der Maur. Ha poi mollato tutto. «Hai fatto la cosa giusta», le ha detto di recente Billy Corgan. Tutta la storia in questa intervista

Foto: Greetsia Tent/WireImage/Getty

Ai tempi del liceo, negli anni ’90, Ginger Pooley ha ritagliato una foto degli Smashing Pumpkins da Rolling Stone e l’ha attaccata allo specchio in cameretta. Stava imparando a suonare il basso e per lei era un gruppo fondamentale. «Ero travolta dalle emozioni che Billy Corgan trasmetteva coi testi e il suono», racconta. «E ovviamente D’arcy per me era una bassista donna fighissima. La prima volta che ho suonato dal vivo, durante un talent show del liceo, abbiamo fatto Hummer».

Quando Corgan ha rimesso assieme i Pumpkins nel 2007, dopo una pausa di sette anni, D’arcy Wretzky non c’era più e non era disponibile neppure Melissa Auf der Maur, che aveva suonato col gruppo tra il 1999 e il 2000. Così il posto è stato dato a Pooley, che si è ritrovata a suonare Hummer come membro ufficiale della sua band preferita. «È stato come se l’avessi previsto accidentalmente attaccando quella foto allo specchio».

Non che fosse un compito facile. I fan erano felicissimi che Corgan e il batterista originale Jimmy Chamberlain avessero rimesso assieme la band, ma erano contrariati dal fatto che non ci fossero Wretzky e il chitarrista James Iha. Per non dire delle scalette incentrate sull’ultimo disco Zeitgeist e non sulle hit anni ’90. «Il pubblico si è stancato in fretta delle loro odissee allucinate, sconvolte e chitarrose», si legge in una recensione di un concerto tipica quel periodo pubblicata dall’Oakland Tribune. «Il trip attraverso il nuovo nuovo album è parso più lungo di un viaggio coast to coast degli Stati Uniti, andata e ritorno».

Fortunatamente, Pooley non sentiva tutta questa negatività. «I social erano appena nati e non ho visto molta di quella roba. Sapevo che alcuni fan speravano di vedere D’arcy e mi spiaceba per la loro delusione, ma dovevo farlo. Pensavo solo a ciò che stava accadendo in quel momento e guardavo avanti».

Come hai saputo che gli Smashing Pumpkins erano in cerca di una bassista?
Una mia amica conosceva Billy. Mi ha chiamato un giorno mentre tornavo a casa: «Magari non se ne farà nulla, ma ho appena parlato con Billy». Sapeva che ero una grande fan dei Pumpkins, quindi me lo diceva sempre quando parlava con lui. «Stanno cercando un bassista. Gli ho parlato di te, può darsi che ti chiami qualuno». Ero al settimo cielo. Non ricordo esattamente chi mi ha contattata per la mia prima audizione.

Raccontami di quel provino.
Non ricordo il nome del posto, ma era nella Valley. Era una specie di sala prove un po’ hippie. Entro, vedo Jimmy Chamberlain e a momenti me la faccio addosso. È il mio batterista preferito, quindi poter suonare con lui… Mi avevano chiesto di imparare cinque canzoni, mi pare. Abbiamo suonato, è andata bene e lui è stato molto gentile. Me ne sono andata pensando: «È stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, non mi sembra vero di poterla cancellare dalla mia lista di cose da fare prima di morire». Tutto qui. Non mi aspettavo nient’altro e invece mi hanno richiamata più volte.

Cosa è successo nelle altre audizioni? Billy c’era?
Col passare dei mesi si è capito che la cosa stava diventando concreta. Non so quando hanno smesso di fare i provini anche ad altri. Dopo un mese o due mi hanno detto: «Sta arrivando Billy». A quel punto io e lui eravamo già in contatto e ogni tanto ci sentivamo. È arrivato, abbiamo suonato tutti assieme ed è stato fantastico. La storia è iniziata a ottobre o novembre (del 2006, nda). A marzo era deciso: «Sei nella band». Il 1° aprile siamo andati a Chicago, col tour estivo già organizzato. Fantastico.

Chi ti ha detto che il posto era tuo?
Jimmy, durante una prova.

Come ti sei sentita?
Credo di essere caduta per terra. Ma avevo già intuito qualcosa. È come quando esci con qualcuno per parecchio tempo, tutto va alla grande e hai il presentimento che ci si fidanzerà. Però, quando succede, ti emozioni lo stesso, è comunque un momento incredibile.

Ti hanno detto che la cosa era top secret e non potevi dirlo ad anima viva?
Più o meno. Avevano pianificato tutto. Stavano per pubblicare il disco (Zeitgeist). E il grande interrogativo che circolava era: D’arcy tornerà? E James? Chi c’è nella band? È rimasto tutto avvolto nel mistero fino all’annuncio del primo concerto a Parigi.

Zeitgeist era già terminato quando sei è entrata nel gruppo?
No, ci stavano ancora lavorando. Andavo in studio e li guardavo mentre registravano. C’erano solo Billy, Jimmy e Roy Thomas Baker (il produttore, nda).

È stato difficile non dire a nessuno che avevi avuto il posto?
Ho preso la cosa molto seriamente. Ho organizzato una festa di addio con gli amici prima dell’annuncio ufficiale. Era come se stessi dicendo che me ne sarei andata per sempre. Ma non è stato difficile tenere il segreto. C’era tanto lavoro da fare.

Avevano un repertorio enorme, un album in uscita e lui continuava a scrivere nuove canzoni. Le scalette erano lunghissime. Come hai fatto a imparare tutto?
Lavorando sodo. Non ho dormito granché in quel periodo, soprattutto quando siamo andati a Chicago e abbiamo iniziato le prove di produzione. Si trattava di imparare centinaia di brani, e non sono pezzi facili. Sono tutti molto complicati, con strutture diverse.

Stavi anche lavorando al fianco di quello che, forse, è il più grande batterista della sua epoca. È un fattore che ha aumentato la pressione?
Sì. C’era pressione per tutto. Ero esausta. Tornavo da otto o dieci ore di prove nel mio appartamento, mangiavo uno yogurt al volo, mi mettevo a letto e ricominciavo a suonare il basso. Era estenuante.

A te e al chitarrista Jeff Schroeder hanno detto che eravate dei turnisti o che eravate membri a tutti gli effetti della band?
Hanno detto: «Siete nella band». Io ero nella band. E Jeff anche.

Il tour includeva datenei maggiori festival europei. Com’è stato affrontare improvvisamente 30 mila persone?
Fantastico. Era un sogno che si avverava, specialmente perché suonavo le canzoni che adoro con una band che amo. Allora non conoscevo mio marito (il musicista Kris Pooley, nda), ma mi ha detto che nei video sorridevo tantissimo. Per me era un sogno. Ero già stata a Reading come spettatrice con degli amici. Ora ci suonavo. Pazzesco.

Le scalette non erano studiate per compiacere il pubblico. Suonavate qualcuna delle hit più famose, però poi facevate Gossamer per 40 minuti di fila.
Lo so. Era una cosa molto tosta, ma anche divertente. In un certo senso si ricollega alle mie radici punk-rock. Era una specie di: fanculo, suono quel che voglio. Credo che ci fossero molte pressioni, ma a Billy non si dice cosa fare, quindi forse è stato un suo vaffanculo a tutti quelli che gli chiedevano di suonare le hit. Per me è una figata.

Il documentario sui Pumpkins If All Goes Wrong immortala le residency della band ad Asheville, North Carolina, e a San Francisco dopo le date in Europa. Billy sembra piuttosto frustrato per gran parte del tempo. È così che lo ricordi?
Sì, me ne accorgevo. Per me è stato difficile, perché le prove che facevamo prima del tour duravano tutto il giorno e non finivano mai. Speravo che con i concerti le cose sarebbero cambiate, ma non è stato così. Dormivi, mangiavi e andavi al soundcheck, che in realtà era una prova di tre ore. Poi si mangiava un boccone e si suonava un concerto di tre ore, diverso da quello della sera prima. Dovevi esercitarti sulle canzoni nuove. A volte Billy scriveva un pezzo nuovo durante il soundcheck e dovevi ricordartelo per il concerto di quella stessa sera. Era durissima. E, con tutte le altre cose che doveva fare, oltre alla musica, vedevo che lui era stressato.

Come si vede nel film, Billy era molto creativo e aveva tanta musica dentro di sé, ma i fan e la stampa continuavano a ripetere la stessa cosa: dove sono James e D’arcy? E perché suonate così tante canzoni nuove?
Poteva essere fastidioso, persino offensivo, lo capisco. Lui è molto creativo e stava provando a proporre musica nuova. Cercava di farsi ascoltare. Ed è frustrante quando la gente non considera quel che fai. È difficile trovare un equilibrio, perché devi essere fedele a te stesso, ma rischi di non riuscire a pagare le bollette. È roba che potrebbe lasciare insoddisfatti i tuoi fan, ma del resto l’arte non consiste in questo.

La tabella di marcia degli spostamenti era piuttosto impegnativa. Era stancante?
Ero esausta, ma adoravo suonare quei pezzi. Era un’esperienza tutta nuova per me che ero abituata a vivere da musicista facendo fatica ad arrivare a fine mese. Non ero abituata a ricevere uno stipendio. Non ero abituata a stare in un bell’albergo. Mi sono finalmente sentita adulta.

Dopo una breve pausa, il gruppo è tornato in scena nel 2008 per celebrare il 20° anniversario. Ricordo di aver letto di queste maratone live in cui facevate una versione eterna di Set the Controls for the Heart of the Sun dei Pink Floyd e c’erano dei fan che se ne andavano. C’è stato uno spettacolo molto movimentato allo United Palace Theater di New York in cui Billy ha iniziato a urlare contro il pubblico.
Non lo ricordo proprio. Da musicista, ero immersa nella musica. Non prestavo attenzione alle reazioni del pubblico, ero concentrata sulle canzoni da suonare. Ero presa dal momento, anche se non in modo negativo. Mi perdevo molte delle reazioni del pubblico.

La maggior parte delle band di alto profilo provano una scaletta e poi la suonano uguale per tutto il tour, ma non gli Smashing di Billy.
Eh no e me ne sono accorta subito. Nel documentario c’è una scena divertente in cui Billy dice qualcosa tipo: «Stiamo cambiando questa e quella canzone, Ginger mi ucciderà». Questo perché dicevo sempre: «Perché non facciamo delle scalette uguali, così posso avere un po’ di respiro?».

Il tastierista del gruppo, in quel tour, era tuo marito. Lo conoscevi già?
No. Il nostro tour manager dell’epoca e Billy non erano diciamo così molto in sintonia. Lui poi se n’è andato per seguire il tour di Gwen Stefani, visto che anni prima aveva lavorato coi No Doubt. Mio marito allora era il tastierista e il direttore musicale di Gwen. È diventato subito amico del nostro ex tour manager, che gli ha detto: «Mi ricordi tanto questa ragazza con cui ho appena lavorato nel tour dei Pumpkins. Dovresti cercarla. Andreste d’accordissimo». Mi ha trovata su MySpace.

Quando è entrato nella formazione live dei Pumpkins?
L’anno dopo. Noi ci siamo conosciuti ad Halloween (del 2007, nda), ci siamo fidanzati a febbraio e ci siamo sposati a giugno.

E come è finito nella band con te?
È stato in giro con Morrissey per un po’, poi io ho iniziato le prove. A volte veniva in tournée con me ed è diventato amico di Billy. Ogni tanto saliva sul palco, alla fine del nostro set, a suonare la fisarmonica. Quando abbiamo fatto il tour per il 20° anniversario, Billy ha detto che voleva una sezione di fiati e degli archi. Kris e altri si sono uniti a noi per quel tour.

Il tuo ultimo show è stato a Chicago, all’Auditorium Theater. Te lo ricordi?
Billy indossava un costume da sole. Mi pare anche che abbia portato fuori una bara. Era tutto coreografato. Non ricordo il significato della bara, ma doveva simboleggiare qualcosa.

Sicuramente si trattava della fine di qualcosa, perché Jimmy ha mollato la band, dopo quello spettacolo.
Già.

Sei rimasta anche nel 2009, quando è arrivato Mike Byrne alla batteria?
Dovevo esserci, ero anche andata a vedere Billy con la sua band tributo a Sky Saxon, ma poi a gennaio sono rimasta incinta. Il gruppo doveva prendersi una pausa, quindi il piano era andare in tour più avanti, portando come me mia figlia. Ma dopo averla avuta ho capito che non avrebbe funzionato. Stare coi Pumpkins era impegnativo, sapevo che non sarei stata in grado di fare la madre come avrei voluto. Billy mi ha detto che le prove stavano per iniziare, non potevo esserci. Avevo anche saputo di Jimmy. E, onestamente, non volevo suonare senza Jimmy.

Siete rimasti in buoni rapporti e non è così per la maggior parte delle persone che ti hanno preceduta.
Sì, è stato decisamente positivo. Billy sa bene cosa significa la famiglia. È stato rispettoso.

Pensi mai di fare un album solista?
Sì, ma adoro collaborare, quindi non so se lo farei da sola, con la mia band o qualcun altro. Mi piace scrivere. Mi manca il contatto con la gente. E mi manca il processo creativo che si innesca facendo rimbalzare l’energia e le idee fra le persone.

Vai a vedere i Pumpkins dal vivo, quando passano in città?
A volte sì. Non sono andata all’ultimo concerto. Ci sono stata l’anno prima, quando erano qui a Hermosa Beach o a Redondo, che è proprio in fondo alla strada.

E vai nel backstage a salutare Billy?
Sì. Lo scorso anno sono stata lì per lì per suonare con lui. Il bassista (Jack Bates, nda) aveva un problema, se ne è parlato. Ero euforica perché non sarebbe stato un impegno lungo. Doveva essere un tour corto, una serie breve di show, ma non se ne è fatto nulla.

Quindi in pratica sei in panchina, di riserva?
Be’, sì. Billy sa che, se ha bisogno di qualcuno, sono disponibile e mi piacerebbe suonare di nuovo. Ovviamente è lui a decidere.

Quando vedi un vecchio video dei Pumpkins in cui ci sei anche tu, cosa provi?
È commovente. Dopo aver avuto mia figlia è come mi avesse preso un’amnesia. Pensavo solo a quello che dovevo fare, cioè a prendermi cura di una neonata. Per un po’ di tempo mi sono persino convinta di non avere mai fatto quelle cose. Rivedendone alcune, mi dico «L’ho fatto. Posso farlo». Ed è elettrizzante.

Ho parlato con tantissime rockstar che mi hanno detto che il loro più grande rimpianto nella vita è di non aver passato del tempo con i loro figli, quando erano giovani. Molti di loro sono super famosi ed esageratamente ricchi, ma devono vivere per sempre con questo rimpianto. A te non succederà.
Sì, semmai è il contrario. Probabilmente mia figlia vuole essere lasciata un po’ in pace, ma sono orgogliosa di come sono riuscita a esserci per lei. E anche di recente, Billy mi ha detto che ho fatto la cosa giusta. È stato molto carino da parte sua.

Da Rolling Stone US.

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