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Avalanches, campionare in nome dell’amore

Il duo di 'We Will Always Love You' racconta l'arte di costruire canzoni con una montagna di sample. C'è del romanticismo: «Quando campioni un vinile, campioni anche le storie legate a quel disco»

La storia degli Avalanches è abbastanza particolare. Nel 2001 pubblicano Since I Left You, un disco contenente oltre 900 sample che, in breve, diventa un caso, un instant classic. Il sorprendente risultato però si trasforma in un peso insostenibile per la band che cede alla pressione delle aspettative. Bisognerà aspettare quindici anni prima che il loro secondo lavoro in studio, Wildflower, veda la luce.

Ora, a vent’anni da quello strepitoso esordio, è uscito a sorpresa We Will Always Love You, terzo disco della band, un long form da 25 tracce che ospita artisti di ogni genere come Blood Orange, MGMT, Neneh Cherry, Johnny Marr, Mick Jones, Jamie xx, Rivers Cuomo, Tricky. Per l’occasione abbiamo avuto il piacere di uno scambio piacevolissimo con Robbie Chater, metà del progetto con Tony Di Blasi.

We Will Always Love You è uscito a dicembre, un periodo davvero strano per pubblicare un album d’inediti, soprattutto in anno come il 2020, non credi? Come mai siete giunti a questa scelta?
Questo disco doveva uscire prima a giugno, poi a settembre. Il rischio era continuare a rimandarlo all’infinito. In accordo con la nostra label abbiamo quindi deciso di pubblicarlo a dicembre, con il rischio di venir risucchiati dagli album di Natale. Volevamo uscire nel 2020, dare un segnale; oramai siamo tutti così lontani che la musica rimane uno dei pochi modi per connettere le persone. Per noi fare musica è un atto d’amore.

Anche il titolo dell’album, We Will Always Love You, è abbastanza confortante.
Volevamo porre l’accento sul concetto di “always” (sempre, nda), sul suo significato di eternità. Il titolo può essere letto come una dichiarazione d’amore per chi ci ascolta o verso la musica stessa. Viene dal cuore. Inizialmente il titolo doveva essere Pink Champagne ma ci sembrava più adatto a un lavoro di Drake, noi non siamo abbastanza cool!

Ci racconti la storia della copertina?
Il volto presente in copertina è quello di Ann Druyan, celebre per aver co-scritto la serie Cosmos con Carl Sagan, con cui è sposata dal 1981. Lei e Carl Sagan hanno avuto l’onore di lavorare al Voyager Golden Record, un disco inserito nelle sonde spaziali del Programma Voyager lanciato dalla NASA nel 1977. Contiene una serie di suoni e immagini del nostro pianeta, nel caso qualche forma di intelligenza aliena ne venisse a contatto nello spazio. Una sorta di bignami della storia della Terra. Per il disco erano previste anche alcune registrazioni del sistema nervoso e del battito cardiaco. Il giorno delle scansioni Sagan si propose ad Ann e ora il battito del cuore di una donna innamorata è per sempre catturato in un disco che fluttua nello spazia per l’eternità. È la storia più romantica che abbia mai sentito. Rappresenta il meglio della specie umana.

Mi pare la migliore spiegazione possibile del concetto di eternità.
Sì, assolutamente. Questi sono i due punti che avevo connesso nella mia mente per titolo e copertina.

La copertina di ‘We Will Always Love You’

In vent’anni di carriera è cambiato il vostro modo di approcciarvi alla composizione?
Il punto di partenza è sempre lo stesso, un disco e un campionatore. Cominciamo sempre da un sample, come quando avevamo diciott’anni. È amore per la musica, dedizione al campionamento.

Quando parliamo degli Avalanches parliamo di plunderphonics, l’arte di costruire brani attraverso l’utilizzo massiccio di sample. Le vostre produzioni, nonostante suonino molto fruibili e pop, sono composte da una quantità impressionante di strati. Come riuscite a gestire la giungla di suoni con cui costruite la vostra musica?
Tony me lo dice spesso: «Robbie ci sono troppi sample, troppi layer, troppo casino!». Lui è molto bravo a togliere il superfluo e mettere in luce le parti forti di un brano. È una collaborazione funzionale: uno capace ad ordinare e uno perso nella pazzia.

Quali sono i dischi che vi hanno ispirato ad iniziare con l’arte del campionamento?
Siamo stati ispirati da Beastie Boys, De La Soul, Prince Paul. I Big Audio Dynamite, non a caso in questo disco c’è Mick Jones. Eravamo innamorati di Dummy dei Portishead. Unendo queste influenze al nostro amore per i Beach Boys è nato Since I Left You, un disco pop di campionamento.

Ti ricordi per caso quale è stato il primo sample della storia degli Avalanches?
Uh, abbiamo iniziato con una cosina da niente, un brano dei Doors (ride).

Ecco, questo è un punto di cui volevo parlare con te. Nella vostra musica utilizzate anche campioni riconoscibili e celebri, ma sempre dando pari dignità a quelli meno conosciuti. Mi sembra una buona dimostrazione di democraticità sonora…
Oh, grazie. Sai, a dispetto di quanto si possa pensare, noi non siamo dei collezionisti incredibili di musica rara. Non cerchiamo il campione che nessuno ha. A noi piace molto più la parte di editing.

Immagino sia anche capitato di non ricevere il permesso di utilizzare qualche campione.
Sì, è capitato. Penso ad esempio a un sample bellissimo di Gene Clark che volevamo per questo disco ma ci è stato negato. A volte mi capita di pensare cosa sarebbe successo se la ragazza che canta la linea vocale di Since I Left You ci avesse negato l’utilizzo del campione. Tutta la mia vita sarebbe andata in un’altra direzione, pazzesco.

Campionate ancora esclusivamente da vinile?
Continuiamo a comprare ancora molti dischi, ma ti ammetto che utilizziamo tantissimo YouTube. C’è davvero ogni tipo di musica là dentro. A pensarci, quando abbiamo iniziato YouTube non esisteva. Chissà come sarebbe stato comporre Since I Left You se, invece di acquistare dischi da due dollari nei negozi dell’usato, ci fosse stato YouTube.

Lavorare a un sample ha qualcosa di magico, il passato e il presente si incontrano continuamente…
Ho questa idea che porto con me: quando campioni non ti limiti a prendere una parte di una canzone, ma tutto il flusso di energia di quel disco e delle persone che lo hanno posseduto prima di te e lo hanno fatto suonare un milione di volte, magari versandoci sopra del vino durante una festa o piangendo dopo una relazione finita. Quando campioni una parte di un brano, e nel sample rimane quel rumore, quello scricchiolio tipico del vinile, stai campionando tutte le storie legate direttamente a quel disco. E noi, utilizzando quel preciso suono, lo facciamo rivivere e ne diventiamo parte.

In una tua intervista ti lamentavi di quanto fosse lungo il vostro processo creativo. Mi ha fatto ridere una tua espressione in merito: «Non voglio spendere i prossimi otto anni da solo con il mio computer, voglio vivere una vita pazzesca». Quindi mi viene da chiederti: ci sei riuscito? E qual è il tuo rapporto con il lavoro di musicista adesso?
Sì, sto vivendo una vita incredibile, ma mi manca tantissimo viaggiare. Onestamente, vorrei davvero uscire dall’Australia. Fare questo disco è stata un’esperienza incredibile in cui abbiamo avuto l’onore di poter registrare nei migliori studi del mondo a fianco di artisti incredibili; son felice che abbiamo avuto il coraggio di cambiare metodo di lavoro e sperimentare questo approccio. Non avrei resistito altri cinque anni chiuso in casa a lavorare. Credo che siamo riusciti a fare il giro e tornare al punto di partenza: fare musica come gioia pura, senza pensarci troppo, seguendo il cuore. Con Wildflower abbiamo davvero patito la pressione di ripetere il successo di Since I Left You. Per fortuna non la viviamo più così, ne sono grato.

C’è molta onestà nelle vostre dichiarazioni e nel vostro modo di raccontare anche il lato più oscuro del fare musica. Come siete riusciti a liberarvi di quel peso? Come avete fatto a ritrovare quella gioia?
Negli anni, con il trascorre della carriera e della vita, hai la fortuna di imparare nuove lezioni, cambiare prospettiva, capire cosa conta davvero. In poche parole, cresci. Noi siamo stati in grado di farci una domanda: se far musica in questo modo non è più divertente, perché continuare?

In questo disco vi siete aperti con disinvoltura alle collaborazioni vocali e la lista degli ospiti è notevole. Non vi ha messo pressione lavorare con alcuni grandi nomi della storia della musica?
Sono ancora nervoso quando mi relaziono con artisti che per me hanno avuto una certa importanza. Quando siamo andati a casa di Perry Farrell (leader dei Jane’s Addiction, nda), ad esempio, eravamo davvero agitati. Ma lui ci ha messo subito a nostro agio ed è finita ad abbraccioni. Quando c’è amore e rispetto reciproco è facile collaborare. Anche questo fa parte del crescere, quando ero più giovane ero troppo timido per pensare di poter produrre un disco del genere.

E tu hai qualche collaborazione preferita in questo album? So che ti sto chiedendo di scegliere quale figlio preferisci.
Con alcuni artisti, per forza di cose, si instaura un rapporto che supera la musica e diventa amicizia. È quello che è successo con Cola Boyy, con cui abbiamo stretto un rapporto magnifico. È una persona e un amico speciale e averlo in We Go On con Mick Jones (Clash, Big Audio Dynamite) mi fa amare quella canzone in maniera particolare. Posso dire lo stesso di Gold Sky con Kurt Vile. La mia preferita però credo sia Reflecting Light, è stato un onore lavorare con Sananda Maitreya (già Terence Trent D’Arby), una voce incredibile.

Ci sono anche collaborazioni non cantate come quella con Karen O.
Volevamo avere degli spoken word per intervallare i vari brani. Il suono della voce di Karen è incredibile, lo amiamo. Volevamo fare un brano con lei, ma non c’era il tempo necessario per una collaborazione cantata. L’idea è stata quindi di chiederle di registrare una parte parlata. E stato tutto molto naturale, Karen ha registrato in casa: nella sua traccia si sentono i cani che abbaiano!

Come nasce invece il featuring con un produttore di una generazione differente come Jamie xx?
Ci siamo conosciuti in un rave in una foresta in Australia, una festa per un centinaio di persone a fine 2018 dove suonavamo entrambi. Non sapevo che lui fosse nostro fan e che avesse iniziato a produrre anche grazie all’ascolto di Since I Left You. È stato davvero facile lavorare con lui anche perché il suo disco In Colour ci aveva ispirato tantissimo. È stata la chiusura di un cerchio. Durante la scrittura di We Will Always Love You gli ho mandato molti brani per avere un suo feedback. Lui era innamorato di Wherever You Go ed è venuto naturale chiedergli di mettere mano su quel brano.

Quest’anno è il ventennale di Since I Left You, un disco che vi ha dato gloria e anche messo pressione. Che rapporto avete, ad oggi, con quell’album?
Mi sento molto fortunato di essere ancora a far musica vent’anni dopo, a rispondere alle domande di un’intervista di un giornalista di uno Stato così lontano ancora interessato al nostro lavoro. Quando ascolto Since I Left You, sento una certa gioia e capisco perché le persone lo hanno amato. Lo celebreremo come si deve, con una ristampa e nuovo materiale.

In Wildflower, invece, avevate collaborato con MF DOOM. Volevo chiederti, visto la sua prematura scomparsa, se avevi un ricordo da condividere con noi riguardo quel lavoro assieme.
Abbiamo collaborato via e-mail. Pensa che tra il primo contatto e il brano finale sono trascorsi cinque anni: assurdo. Tutta colpa nostra, eravamo davvero persi. Quando però gli abbiamo mandato la versione finale lui era entusiasta e ci ha dato la disponibilità per qualsiasi futura collaborazione. E così siamo tornati a lavorare assieme e siamo molto orgogliosi di poter dire che la sua voce sarà presente nella ristampa. Era davvero un figo.

Nonostante la situazione al mondo, riuscirete ad andare in tour? Avete qualcosa in programma?
Penso riusciremo a fare un primo tour primaverile qui in Australia, partendo ad aprile. L’idea è mettere in piedi uno show dove io e Tony costruiamo il brano montando i vari layer di sample, vogliamo mostrare al pubblico come creiamo.

Mi tolgo una curiosità. Il vostro modo di utilizzare il filtro (la tecnica per togliere frequenze a un determinato suono) nella produzione mi ricorda in qualche modo i primi Daft Punk.
Ricordo che quando stavo imparando ad usare il mio primo campionatore, i Daft Punk erano usciti da poco. Quando riuscii a padroneggiare l’uso del filtro, pensai: oh, suona come i Daft Punk!. Homework dei Daft Punk e Remedy dei Basement Jaxx hanno reso celebre l’utilizzo di quel tipo di filtro. E lo ammetto, quei dischi li ho ascoltati davvero troppe volte.

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