Arriva "Daredevil 2": uno show dark, cruento e con grandi performance | Rolling Stone Italia
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Arriva “Daredevil 2”: uno show dark, cruento e con grandi performance

Jon Bernthal torna nel mondo dei fumetti Marvel dopo "The Walking Dead" in un ruolo ancor più oscuro. La seconda stagione della serie originale Netflix arriva il 18 marzo

La nascita di un supereroe ha delle conseguenze, purtroppo non sempre positive. Queste le fondamenta su cui si sviluppa la seconda stagione di Daredevil, incredibile successo televisivo della passata primavera che ritorna venerdì 18 marzo con 13 nuovi episodi, sempre e solo su Netflix. Stando alle parole del protagonista Charlie Cox, che abbiamo incontrato a Parigi qualche giorno prima del lancio assieme agli altri membri del cast, il filo conduttore del secondo ciclo può riassumersi in un interrogativo: «Cos’è un eroe? Chi ha il diritto di decidere cosa ti rende un eroe? Un eroe è infallibile? Quali sono le possibili ricadute? E possono essere isolate? Questa forma di eroismo ha sempre delle controindicazioni».

La stagione prende il via mesi dopo il termine della precedente. Il diavolo di Hell’s Kitchen, Daredevil, è a suo agio nel ruolo di difensore dell’ordine, mentre lo studio legale Nelson & Murdock, ormai ben avviato, continua a rappresentare i clienti più bisognosi ritrovandosi puntualmente con i conti in rosso. La tranquillità purtroppo viene turbata quando qualcuno in città comincia a fare strage di criminali, una minaccia che risponde al nome di “The Punisher”. Ma chi è costui? «Non è né un alleato, né un nemico», risponde Jon Bernthal, ex Shane di The Walking Dead e oggi volto di uno degli antieroi Marvel più famosi di sempre, Frank Castle AKA il Punitore. «Non è lì per liberare Hell’s Kitchen dai criminali, non è lì per aiutare la comunità, ma per trovare le persone responsabili della morte della sua famiglia e farli fuori nel modo più brutale possibile». «In questa stagione la trama è più densa, esplode sin dalla prima puntata e poi prosegue a quel ritmo», spiega Cox, che poi parla del rapporto fra Matt e Castle: «All’inizio Matt vorrebbe categorizzare Frank Castle come un secondo Wilson Fisk: una minaccia per la sicurezza pubblica, per la legge, che deve stare dietro le sbarre. Ma presto realizza che non è tutto bianco o nero, che in fin dei conti loro due si assomigliano più di quanto creda, e questo lo inquieta».

Come se non bastasse, ecco che dal passato di Matt riemerge una vecchia fiamma, Elektra, il suo primo grande amore. Ma chi conosce bene gli albi originali sa che la creatura del fumettista Frank Miller non si limita certo ai patimenti di cuore, ma, armata dei suoi pugnali a tre lame, è una delle figure più amate dell’universo Marvel. A interpretarla è Élodie Yung, che descrive così il personaggio: «È davvero una tipa tosta. E non rifiuta questo lato di se stessa, ma lo abbraccia sentendosi a casa dappertutto. La nostra Elektra non sarà la copia carbone del fumetto, però abbiamo lavorato per coglierne l’essenza. Non sembra avere una coscienza, né provare rimorso, ma c’è molto di più in lei di quel che appare, perché una volta ha amato davvero». Con tre personaggi del genere la nuova stagione promette tanta azione, sangue e botte da orbi. Alla domanda se ci sarà un bis alla famosa scazzotata ripresa interamente in piano sequenza, la risposta di Cox è stata: «La omaggeremo, ci sarà una scena molto simile, ma sotto stupefacenti!». Anche The Punisher non passerà certo il tempo a pettinare bambole: «Ci sono dei combattimenti più avanti nella stagione che mi rendono davvero felice», afferma Bernthal, «Sono davvero folli». Detto così suona quasi come una minaccia.

“Questa è una guerra che devo combattere da solo”. E comincia il 18 marzo. #Daredevil

Pubblicato da Netflix su Martedì 15 marzo 2016

Com’è ritornare al mondo dei fumetti dopo il tuo addio a The Walking Dead?
È figo, te lo dico. La mia esperienza in The Walking Dead è stata eccezionale, amo le persone che fanno quello show e alcuni di loro, ancora oggi, sono gli amici più cari che possiedo. Mi ha fatto entrare in contatto il mondo degli appassionati di fumetti, e non c’è nessuno di più intelligente, entusiasta e fedele di loro. Mi importa molto del loro giudizio e sono stati grandi con me. Credo che quello che ha fatto Frank Darabont con The Walking Dead, cioè prendere il genere zombie e farne un prodotto sofisticato per lo stesso pubblico di Mad Men, l’abbiano fatto gli autori di Daredevil l’anno scorso. Hanno creato una serie di supereroi mettendo al centro personaggi umani, imperfetti. È uno show dark, cruento, con grandi performance. Mi è parsa da subito un’ottima opportunità.

Dopo The Walking Dead hai recitato in parecchi film di successo (Fury, Sicario, The Wolf of Wall Street), poi nella bellissima miniserie Show Me a Hero. Adesso ritorni in tv interpretando di nuovo un personaggio dei fumetti. Cosa ti ha attratto in The Punisher?
Innanzitutto lui non è un supereroe, ma prima di tutto è un uomo che ha subito un terribile trauma e si è lanciato in questa personalissima missione, ossia uccidere tutti i presunti responsabili della strage della sua famiglia avvenuta dopo il ritorno dal fronte. Allo stesso tempo però è tormentato da una domanda sulla sua vera natura: chi sono veramente? Un killer che è più a suo agio in un perenne stato di guerra o l’uomo che ha messo su famiglia in una villetta a schiera di periferia? E se avessi utilizzato questo evento traumatico solo per diventare ciò che già sono nel profondo? Si tratta di un conflitto presente nel fumetto. Frank è un uomo pieno di vergogna, di odio per se stesso, perché si sente di aver fallito nel proteggere la sua famiglia. Avendo una moglie e tre figli questa è una zona d’ombra che mi spaventava davvero esplorare, e ho accettato la parte proprio per questo.

Vincent D’Onofrio è stato uno dei punti di forza dello scorso anno, un antagonista sfaccetato, per certi versi convinto di fare del bene. Adesso al suo posto abbiamo invece una sorta di alleato, ma con una visione radicalmente diversa rispetto a quella di Daredevil rispetto alle mansioni di un eroe. Credo che nella differenza tra Kingpin e Punisher si nasconda anche quella fra stagione 1 e 2. Qual è il tema svilluppato quest’anno e qual è il vero nemico?
Penso che diventi più chiaro col procedere della stagione. A livello tematico la domanda centrale è cosa vuol dire essere un eroe. A che spesa, a quale prezzo. D’altronde un eroe per qualcuno può essere il cattivo per qualcun altro. All’inizio vediamo Frank affrontare un conflitto molto personale, ma quando entra in contatto prima con Daredevil e poi con Karen Paige comincia a sviluppare una personale filosofia che in un certo modo gli permette di affrontare il tormento radicato nella sua vita e di andare avanti.

A proposito di Karen, qual è il rapporto con lei. Entrambi sono dei personaggi con un doloroso passato alle spalle.
È stato un vero piacere lavorare con Deborah [Ann Woll]. È un’attrice incredibile. L’idea che mi sono fatto io è che Frank inizialmente non ha interesse nell’aprirsi con nessuno, ha alzato un muro attorno al cuore. Per qualche strana ragione si avvicina a questa donna, le dà fiducia, e finisce per piacergli molto. Io credo che nella sua fierezza, nel coraggio e nella tenacia che vede in lei Frank riconosca sua figlia, o almeno la persona che avrebbe voluto diventasse sua figlia se non fosse stata uccisa. Così si affeziona a lei, per quanto uno come lui possa riuscirci davvero.

Quali sono state le tue influenze nell’interpretazione di Punisher, sia per quanto riguarda particolari saghe del fumetto che per altri modelli di riferimento. Ci ho visto un po’ del Travis Bickle di Taxi Driver, sbaglio?
Il personaggio di Travis Bickle era un riferimento all’inizio, e ovviamente anche la serie a fumetti The Punisher MAX è stata fondamentale. Poi ho guardato molti film di Charles Bronson, specialmente Il giustiziere della notte, e Denzel Washington in The Equalizer. Però è buffo. Molte volte mi capita di pensare che parte del mestiere dell’attore sia guardare le performance altrui e rubare il più possibile, ma con questo ruolo l’ho fatto pochissimo. Mi ha toccato nel profondo. Il suo percorso è così centrato sulla perdita dei suoi cari che mi ha coinvolto in prima persona, ho sentito che aveva a che vedere con me e la mia famiglia.

Hai detto che Punisher non è un supereroe, ma un uomo. Infatti il suo percorso non è affatto come quello di un normale personaggio in calzamaglia, conteso fra la vita di tutti i giorni e quella con la maschera addosso. Frank Castle è una persona violenta, con una morale brutale e un obiettivo chiaro, letteralmente. In cosa pensi che il pubblico si riconosca?
Sai, Punisher è un personaggio molto amato dalle forze dell’ordine e dall’esercito. Ci sono soldati che sono andati in battaglia con il suo simbolo cucito sul petto, che sono morti con quel simbolo, quindi è una responsabilità che prendo molto seriamente. Penso che le persone si identifichino con lui perché Frank ha preso una decisione che noi tutti a volte contempliamo, quella di dimenticarsi della moralità, fregarsene di cosa è giusto e cosa sbagliato, buttarsi in questa terribile missione e portarla a termine con qualunque mezzo. In lui qualcosa si è rotto. Ed è davvero inquietante il pensiero di un uomo che non può essere fermato o dissuaso, ma allo stesso tempo il fatto che stia sfogando la sua furia sui criminali e cattivi è ciò che rende la questione ancor più complessa.

Uno degli aspetti cruciali del tuo personaggio non riguarda soltanto l’idea di giustizia e di giustizia “fai da te”, ma in un certo modo indirizza questioni sociali che rappresentano ancora oggi una ferita aperta nel sistema americano, come il controllo delle armi o lo stress post traumatico dei reduci. A tal proposito, come pensi che il pubblico reagirà?
Non te lo so dire. Spero metta gli spettatori nella condizione di farsi delle domande. In fin dei conti è questo il nostro mestiere, se ben fatto, cioè far sì che la gente si interroghi, che rifletta. Nel fare da specchio alla società offriamo alle persone l’opportunità di guardare se stesse e di trovarsi faccia a faccia con quanto sta succedendo attorno a loro. Non bisogna però cercare di imporre loro una determinata opinione sulla faccenda, rispondere al posto del pubblico. Non ci compete, il nostro compito è soltanto porre questa benedetta domanda.

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