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Appuntamento a Halloween con John Taylor dei Duran Duran

Il bassista racconta ‘Danse Macabre’, la collaborazione con Victoria dei Måneskin, l’epoca in cui ogni giorno era una festa fra groupie e coca. «Oggi dico no anche a un bicchiere di vino»

Foto: Katja Ogrin/Redferns

L’idea che un gruppo di ultrasessantenni pubblichi un album di Halloween non è francamente il massimo. Quante sono, poi, le possibilità che questo album risulti godibile e divertente? Eppure i Duran Duran ci sono riusciti. Data per finita più di una volta nel corso di una carriera iniziata nell’ormai lontano 1981, la band inglese ha messo insieme 13 pezzi che tra inediti, cover e nuove versioni di canzoni duraniane sconosciute ai più, danno vita a un disco tra i loro migliori degli anni Duemila.

A raccontarci Danse Macabre, questo il titolo dell’album in uscita venerdì 27 ottobre, è John Taylor, in collegamento Zoom dalla sua casa del Wiltshire, non lontano da Stonehenge. «Lo scorso anno abbiamo suonato la sera di Halloween all’Encore Theater di Las Vegas», spiega il bassista. «In scaletta c’era la gran parte dei brani contenuti nell’album. Era una scaletta che avevamo deciso per quella particolare occasione, e prima eravamo andati in studio per arrangiare questi pezzi e li avevamo anche registrati. Noi facciamo sempre così con i brani che suoniamo dal vivo, è un po’ complicato ma il vantaggio è che poi ci ritroviamo anche le registrazioni dei vari arrangiamenti. Eravamo tutti molto contenti di quello che era venuto fuori e abbiamo cominciato a pensare che quelle registrazioni potessero essere le basi per un nuovo album. Poi Nick ha avuto l’idea di aggiungerci nuove versioni di qualche nostra vecchia canzone come Secret Oktober, il lato B di Union of the Snake, e Night Boat, il primo pezzo che abbiamo mai suonato dal vivo con quella che sarebbe stata la line-up classica dei Duran Duran. Prima del tour britannico della scorsa primavera, infine, siamo andati in studio a Londra e abbiamo registrato gli inediti».

Le cover invece sono state scelte all’interno di mondi apparentemente lontani anni luce da quello dei Duran Duran. Un po’ come avvenuto a suo tempo per Thank You (1995), uno dei dischi meno riusciti della loro storia. Stavolta invece le cose funzionano bene. Due episodi su tutti: Super Lonely Freak, ispirata a Rick James e al suo pezzo già campionato a suo tempo in Can’t Touch This di MC Hammer, e una Paint It Black che diventa un vero e proprio pezzo dei Duran Duran. Come già in Thank You, si spazia tra i generi senza un apparente criterio (se non quello di Halloween, in questo caso). C’è persino Spellbound di Siouxsie and The Banshees, gruppo di riferimento di un giovanissimo John Taylor. «Li avevo visti suonare davanti a 60 persone», raccontava nella sua autobiografia Nel ritmo del piacere, «poi di fronte a un pubblico di un centinaio di fan entusiasti e rumorosi, infine davanti a un migliaio di spettatori. Tutto questo prima di ottenere un contratto discografico che li portò a Top of the Pops».

Il bassista non  nasconde il suo entusiasmo per il risultato finale: «Penso sia un album con un incredibile senso del divertimento. È stato bello fare dei pezzi di artisti così importanti per la nostra formazione. L’eccezione è Bury a Friend di Billie Eilish, che è una scelta un po’ paracula. Ma ci siano molto divertiti a farlo, anche perché non avevamo idea di come Simon avrebbe deciso di cantare. È venuta fuori una cosa audace ma figa. Non è un disco in cui abbiamo dovuto impiegare troppo tempo o energia. Come dicono gli americani, era una scelta win-win: non poteva che andare bene».

Tutti i musicisti che suonano in Danse Macabre hanno già avuto un ruolo rilevante nella storia del gruppo. Oltre a Simon Le Bon, Nick Rhodes e Roger Taylor, che con John Taylor sono gli attuali “titolari” della ragione sociale, ci sono anche Andy Taylor e Warren Cuccurullo (il chitarrista della prima line-up e colui che lo sostituì a partire dalla seconda metà degli anni ’80), lo storico mentore Nile Rodgers e Dominic Brown, attuale chitarrista della formazione live. L’unica che con quest’album fa il suo esordio nel mondo Duran Duran è Victoria De Angelis dei Måneskin. «Li ho incontrati a una festa a Los Angeles un paio di anni fa», racconta John. «Non sapevo molto di loro, ovviamente mi hanno subito detto: “Questa è Vicky, è la nostra bassista”. Abbiamo parlato del nostro strumento e quando le ho chiesto chi l’aveva ispirata mi ha risposto “Tina Weymouth dei Talking Heads”. Noi al concerto di Halloween abbiamo suonato proprio Psycho Killer e allora l’ho invitata a registrarla con noi. È venuta a Londra e nel giro di qualche ora abbiamo fatto tutto. È stato bello suonare con lei, mi piace la sua energia pazza».

Foto: Koh Hasebe/Shinko Music/Getty Images

Un disco che contiene vecchi pezzi dei Duran Duran, suonato assieme a storici compagni di strada, non può che riportare alla mente il periodo in cui la band era all’apice del successo, anche se spesso ha rischiato di venirne travolta. In un’intervista recentemente rilasciata da Andy Taylor a Rolling Stone, il chitarrista ha detto che ai tempi di Rio qualcuno avrebbe dovuto prendere da parte i membri del gruppo e metterli in guardia riguardo al loro smodato uso di cocaina. Nel suo libro John è stato molto franco riguardo ad alcol e droghe, raccontando fra le varie cose anche il suo primo incontro con lo stesso Nile Rodgers e Tony Thompson degli Chic, accompagnato dalla cocaina nei bagni del backstage della Meadowlands Arena di East Rutherford, New Jersey, dopo un concerto dei Blondie aperto dagli stessi Duran Duran e prima di una puntata allo Studio 54.

«Nella vita devi trovare la tua strada», ci dice oggi. «Se qualcuno mi avesse detto di andarci piano col bere l’avrei mandato a quel paese, gli avrei detto di farsi gli affari suoi e di pensare ai propri problemi, non ai miei. Tutti incontriamo l’alcol e le droghe prima o poi, indipendentemente da dove viviamo o da quello che facciamo nella vita. Anche le sigarette, o il troppo mangiare, fanno male alla salute. È qualcosa che dobbiamo capire da soli, anche perché siamo tutti diversi. Dobbiamo capire quali sono i nostri limiti. Io a un certo punto ho capito che dovevo rinunciare completamente ad alcol e droga. A volte mi capita di sentire il profumo di un bicchiere di vino rosso, o anche di un bianco italiano, e mi dico: “Mmmmm”. Però so che per me non ne vale la pena, e quindi ci rinuncio».

Nel suo libro, John racconta che fino a prima dei Duran Duran aveva trascorso la maggior parte delle notti nel suo letto, nella casa in cui viveva con i genitori. Poi la vita del musicista gli aveva dato una libertà spesso difficile da gestire. «La cocaina» scrive «era stata era stata una delle grandi protagoniste della mitologia rock anni ’70, quella in cui ero cresciuto. Arrivava col successo, la fama e la vendita dei dischi. Negli ambienti del business musicale di Londra era una cosa assolutamente normale. Come bere una pinta di birra in un pub di Birmingham». Anche se in seguito ha dovuto affrontare un percorso di riabilitazione, quello stile di vita gli piaceva, ci dice oggi quando gli chiediamo se ai tempi avesse paura di venire travolto da tutto ciò che gli stava accadendo: «Non ho rimpianti. Ci sono stati due-tre anni in cui tutto è stato davvero divertente, anni in cui non sarei riuscito a immaginare di vivere in un altro modo: viaggiare per tutto il mondo, suonare e avere fama e successo. Le droghe e l’alcol erano parte di questa vita, ed era una vita che non riuscivo a immaginare di vivere da sobrio. Essere fuori faceva parte dell’avventura».

Nell’autobiografia il bassista racconta anche che il terrore di una stanza d’albergo vuota lo spingeva a fare qualsiasi cosa pur di evitare di dormire da solo. Del resto gli bastava adocchiare una ragazza per assicurarsi una compagnia per tutta la notte. Alle soglie dei 40 anni si è accorto che quel tipo di incontro gli faceva male all’anima. Lo desiderava ma non lo faceva sentire bene. La droga e l’alcol servivano anche a togliergli quei pensieri. A metà anni ’80 era uno degli uomini più desiderati del mondo. Sui briefing che il tour manager consegnava a lui e ai suoi compagni durante le tournée americane c’erano dei numeri: 18, 20 o 21. Si riferivano all’età legale per i rapporti sessuali nei vari stati. Bisognava tenerne conto per non passare guai. In un’intervista trasmessa in quel periodo da Deejay Television, punto di riferimento per i teenager italiani appassionati di musica, Patsy Kensit, altra popstar desideratissima, non fece che ripetere quant’era carino John Taylor. Lui nel frattempo era fidanzato con la modella danese Renée Simonsen, antesignana delle supermodelle alla Claudia Schiffer che avrebbero segnato gli anni ’90.

«Parlo ovviamente per me, ma quel tipo di attenzione è stato una specie di shock», ci dice oggi quando gli chiediamo se non avrebbe preferito essere considerato solamente come musicista. «A scuola ero una specie di nerd, non ero il figo della situazione. Quelli fighi erano gli atleti oppure, in modo diverso, i secchioni, quelli che avevano i voti migliori. Io invece ho trovato me stesso nella musica. Quando ho preso in mano il basso per la prima volta avevo già 18 anni, ero un tipo molto timido e non pensavo certo di poter interessare alle ragazze. Con la nascita dei Duran Duran è partita una sorta di competizione interna: c’erano le fan di Simon, quelle di Andy, di Nick… avevamo messo su una specie di gara. Io ero consapevole che a rendermi attraente era anche la mia personalità, così come il mio essere un musicista. Devo dire che negli ultimi dieci anni ho fatto più attenzione a quest’ultima cosa, così come alla mia salute. Sono parti vitali di me che non devo trascurare».

Foto: Stephanie Pistel

Del resto John, oltre al sesso e alla droga, non ha certamente mai trascurato il rock’n’roll. Nel suo libro racconta per esempio di quando, a Parigi per registrare il video di A View to a Kill (1985), si infilò negli studi Pathé Marconi e approfittò dell’assenza di Bill Wyman per suonare reggae con i Rolling Stones fino all’alba. A quel punto, vista l’ora, Charlie Watts lo invitò a fare colazione, ma lui fu costretto a rispondergli che doveva andarsene: aveva appuntamento con gli altri per realizzare la clip della nuova canzone di James Bond. È però indubbio che la presenza di sex symbol come Simon Le Bon e lo stesso John Taylor fossero parte del mix in grado di rendere amatissimi i Duran Duran, assieme alle canzoni e alle personalità dei diversi membri del gruppo: Simon, Nick, Roger e John hanno portato ciascuno qualcosa di speciale in questo mix.

«Simon è un cantante straordinario», dice oggi John, «ma è anche un poeta, un paroliere, uno che riflette sulle parole e sul loro significato, e sul modo di metterle insieme. E poi è una persona molto sensibile, lui è il suo strumento. Nick è la persona più creativa che abbia mai incontrato, anzi: direi che è la persona più irrequietamente creativa che io abbia incontrato. Produrre arte è la sua ossessione, è sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo. Adesso sta studiando il modo di utilizzare l’intelligenza artificiale all’interno dei Duran Duran. In più è la nostra mente organizzativa, quello che meglio di tutti sa vedere i Duran Duran anche come un’azienda. Roger, sarà anche un luogo comune che riguarda i batteristi, ma è quello stabile, la voce tranquilla all’interno della band. Io sono quello appassionato della vita, quello con cui ci si diverte e che crede nel potere della musica. La nostra è una buona intesa, migliore di quella che mai avrei potuto immaginare quando eravamo giovani. Non avevo idea che insieme saremmo stati così potenti: incontrarci è stata una vera fortuna».

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