Any Other: «Le mie cover su Bandcamp sono dediche a una persona immaginaria» | Rolling Stone Italia
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Any Other: «Le mie cover su Bandcamp sono dediche a una persona immaginaria»

Come tutti, Adele Altro ha imparato a suonare facendo canzoni di altri. Lo rifà nell'EP 'Four Covers' in cui riprende Jon Brion, Björk, Beck, Frank Ocean. I ricavi aiutano i transessuali in attesa di processo

Any Other: «Le mie cover su Bandcamp sono dediche a una persona immaginaria»

Any Other

Foto: Marcus Winson

Nelle prime scene di Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Joel Barish si sveglia nel divano letto del suo salotto. È stanco, un po’ sorpreso di essere lì, e sembra che conti i rottami della sua vita: la casa vuota, la macchina sfondata da un vicino distratto, la solitudine di San Valentino. «Non sono andato al lavoro, oggi. Ho preso un treno per Montauk, non so perché». In sottofondo suona una melodia semplicissima, scritta da Jon Brion per un film che parla di ricordi e che apre alla perfezione il nuovo EP di Any Other. Si intitola Four Covers e contiene quattro canzoni a cui Adele Altro è particolarmente legata, canzoni piene di ricordi: il tema di Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Cocoon di Björk, Lost Cause di Beck e White Ferrari di Frank Ocean. L’EP è disponibile da oggi in anteprima su Bandcamp e fa parte del Fee Waiver Day, la giornata in cui la piattaforma lascia agli artisti il 100% dei guadagni. In questo caso, Any Other ha deciso di donare tutto all’Emergency Release Fund, un fondo che aiuta a pagare le cauzioni di persone transessuali in attesa di processo.

Più che una raccolta di canzoni, l’EP è stato pensato come una dedica a «una persona immaginaria, una persona cara che non vuoi perdere», e i brani in scaletta sono stati scelti con un criterio «decisamente non musicale», come ci ha spiegato Adele al telefono. «Mi piace pensare che in Frank Ocean ci sia sempre un pezzetto di Jon Brion, visto che ha suonato il pianoforte in Blonde, ma il motivo per cui ho scelto questi pezzi è personale, affettivo, più interiore».

In particolare, il tema di Eternal Sunshine ha a che fare con la malinconia e con la voglia «di tornare indietro, quando non avevo un bagaglio di storie da portarmi appresso»; Cocoon è una canzone fisica, fatta di sorprese, corpi e «di com’è stare insieme in un modo romantico ma non idealizzato»; Lost Cause «ti fa sentire come una persona adulta che è stanca di essere in una situazione e dice io me ne vado. Una canzone paternalista, ma cantata da me sembra meno da manic pixie dream girl»; e White Ferrari, scelta per parlare di come «ci si può amare in tanti modi, non solo in una relazione romantica».

Per Any Other tutte le canzoni sono come delle enciclopedie in cui scoprire un nuovo modo di scrivere o di pensare la performance. «Da tutti i pezzi è arrivato qualcosa di specifico, dal modo di cantare di Björk e Frank Ocean all’armonia di Jon Brion, mi interessa quella progressione così semplice, pop, ma piacevole», dice. «Ho imparato a suonare la chitarra con le cover, è una cosa che mi fa crescere sempre, e ovviamente mi diverto».

In scaletta ci sono una canzone cantata da una delle voci più irreplicabili del pop, un capolavoro del cantautorato e un estratto da uno dei dischi più influenti dell’ultimo decennio, e nessuno dei pezzi è stato stravolto più di tanto. Tutti gli interventi sugli arrangiamenti, però, sono fondamentali: dai fiati inquieti di Eternal Sunshine alle aperture alla Beatles di White Ferrari, Any Other trova sempre l’ingrediente giusto per trasportare le canzoni nel suo mondo. È un’artista che ha trovato il suo suono, che maneggia alla perfezione tutti i suoi punti di forza ed è sempre riconoscibile. Per questo, più che cover queste sembrano traduzioni.

In più, in diversi momenti dell’EP a suonare è proprio la quotidianità di Any Other. Il beat di Cocoon è tutto costruito con field recordings – il suo cane che cammina per strada, un bambino che parla –, così come l’introduzione di White Ferrari. «Vado spesso in giro con uno Zoom», racconta. «Ogni tanto, quando qualcosa mi interessa o semplicemente perché ne ho voglia, registro e metto tutto nel mio mini-archivio. È lì che vado a pescare se ho bisogno di suggestioni più materiche rispetto allo studio di registrazione, che invece è sempre pulito».

Tuttavia, Four Covers non è un progetto dell’isolamento, ma il frutto di un lavoro iniziato più di un anno fa. «La mia esperienza, in realtà, è stata molto normale», dice Any Other degli ultimi mesi. «È stato difficile. Tutta l’enorme componente sociale del mio lavoro, cioè avere a che fare con gli altri, è stata cancellata. È stato ed è ancora frustrante non poter andare in tour o suonare dal vivo in una certa dimensione, ma allo stesso tempo è stato anche utile. L’isolamento mi ha aiutato a ritrovare un certo modo privato di vivere la musica, a fare cose fini a se stesse, a scrivere senza pensare a cosa mettere in un disco». Per quanto riguarda il futuro, invece, meglio pensare a progetti a lungo termine. «Tutti i musicisti devono fare i calendari. Devi andare avanti nel tempo di uno o due anni, e ci sono dei progetti a cui sto lavorando. Ma non nel breve termine, ora preferisco aspettare».

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