Annie Lennox, «di famiglia mezza monarchica e mezza antisistema», e la Regina | Rolling Stone Italia
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Annie Lennox, «di famiglia mezza monarchica e mezza antisistema», e la Regina

La cantante degli Eurythmics racconta i suoi incontri con Elisabetta II. E poi, che cosa significava ascoltare ‘God Save the Queen’ ai tempi del punk e il problema dell’imperialismo britannico

Annie Lennox, «di famiglia mezza monarchica e mezza antisistema», e la Regina

Annie Lennox degli Eurythmics incontra la Regina Elisabetta nel 2011 indossando la t-shirt "HIV Positive"

Foto: Leon Neal - WPA Pool/Getty Images

Nel corso del tempo, Buckingham Palace ha convocato alcuni selezionati musicisti affinché la Regina Elisabetta II conferisse loro varie onorificenze. Mick Jagger, Paul McCartney, Elton John e Bob Geldof sono stati nominati cavalieri, Robert Plant è diventato Commander of the Order of the British Empire. Una delle poche donne musiciste a ricevere un’onorificenza del genere è stata Annie Lennox, che nel 2011 è stata insignita dell’OBE (Officer of the Order of the British Empire) per il lavoro svolto con l’organizzazione benefica Oxfam nella lotta alla povertà e con alcune associazioni per combattere l’Aids in Africa.

Non è stata, quella, l’unica volta in cui la strada di Lennox ha incrociato quella della Regina. La popstar, che nutre sentimenti contrastanti nei confronti della monarchia, ce lo racconta dalla sua casa di Los Angeles.

Sei cresciuta col punk e quindi da ragazza hai sicuramente sentito God Save the Queen dei Sex Pistols.
L’adoravo! Anzi, Dave Stewart ed io vivevano sopra lo Spanish Moon, il negozio di dischi di proprietà di Paul Jacobs. Una domenica mattina Paul era sovreccitato, ha messo fuori due ampli e ha sparato God Save the Queen a tutto volume, a ripetizione. Quel pezzo condensava la voglia di ribellione d’un sacco di persone, tipo: sono stufo marcio dell’establishment e la Regina è il simbolo dell’establishment. Era scioccante. Chi non l’ha sentita all’epoca neanche può immaginare quant’era estrema quella canzone.

Ti ha fatto vedere la monarchia sotto una nuova luce?
Ho radici famigliari particolari. All’inizio del Novecento entrambi i miei nonni materni lavoravano al castello di Balmoral. Nonno era guardiacaccia, nonna cameriera, è lì che si sono conosciuti. Quindi ho un legame con Balmoral e con quella zona. E questo è il ramo monarchico della famiglia. L’altro ramo stava all’estremo opposto. I genitori di mio padre erano parecchio di sinistra e socialisti. Non che fossero particolarmente contrari alla monarchia, ma di certo non credevano nel sistema. Anzi, probabilmente avrebbero preferito che non ci fosse proprio, un sistema. E quindi sono cresciuta fra questi due estremi.

Non sono anti-monarchica, però ho una posizione critica. Il problema è che la famiglia reale rappresenta il colonialismo, l’impero, le cose tremende risalenti all’epoca della tratta degli schiavi e delle conquiste coloniali. È difficile da mandare giù, soprattutto al giorno d’oggi. La Regina rappresentava il Commonwealth e va detto l’atteggiamento della famiglia reale nei confronti del Commonwealth è decisamente cambiato nel corso degli anni, ma c’è ancora molto da fare ed elaborare in termini di razzismo, abusi, sfruttamento. E quindi nutro opinioni contrastanti. Ma quando penso alla Regina, penso a una donna che si è trovata in una situazione unica, non una posizione facile in cui trovarsi, certo non invidiabile.

Com’è stata la tua prima volta a Buckingham Palace?
Ci sono andata per il Giubileo d’oro del 2002. Non c’ero mai stata prima. Superi la soglia, sali la prima rampa di scale, percorri un corridoio pieno di dipinti dal valore inestimabile e ti stupisci d’essere lì. È quasi un’esperienza extracorporea.

Nel 2011 sei stata all’Abbazia di Westminster per il Commonwealth Day. Hai incontrato la Regina e indossavi una maglietta con su scritto “Positiva all’HIV”.
Ero stata invitata a un ricevimento per i sudafricani nel Regno Unito. Non che io sia sudafricana, ma in quel periodo stavo facendo una campagna molto intensa a favore delle donne e dei bambini affetti da HIV e gran parte di questo lavoro si svolgeva in Sud Africa. Indossavo quella maglietta ogni volta che presenziavo a un evento, mi pareva che farlo mi desse modo di rappresentare la causa per cui mi battevo.

Un po’ estrema per una cerimonia alla presenza della Regina, no?
Può darsi, ma la indossavo praticamente sempre. Magari qualcuno pensava che fossi positiva, ma non m’importava perché mi dava modo di solidarizzare con chi ne era affetto, specialmente con le donne.

E la Regina ha detto qualcosa della t-shirt?
Non ricordo. Ci hanno presentate e le ho stretto la mano. Sai, tutti gli ospiti sono messi in riga e lei passa e dedica una ventina di 20 secondi a ognuno di essi. Un commento invece l’ha fatto il principe Filippo, ma non ricordo di preciso che disse, se non che era una battuta rozza, tanto per cambiare (ride).

La cerimonia del 2011 per il tuo OBE è stata più formale.
Eravamo suppergiù in 150 a venire premiati in quella sala di Buckingham Palace. Era tutto molto ben organizzato, ognuno sapeva in quale ordine entrare. Ci si mette in fila, si entra in modo molto formale in una bellissima sala rivestita in legno con un palco e il posto a sedere per la Regina. Tutto piuttosto irreale. Ti devi muovere in modo preciso: devi stare in piedi, fare un passo avanti, uno indietro, cose del genere. Te le dicono e tu pensi: oh oh, spero di ricordarlo. Passa tutto in un batter d’occhio. Non ricordo nemmeno che cosa ha detto la Regina. È stata dolce e gentile, ti guardava dritto negli occhi e non lo faceva sembrare un obbliugo. Molto affabile.

All’epoca, la Regina aveva all’incirca 85 anni. Non sono monarchica, né mi piace mettere le persone su un piedistallo. Quindi non guardavo la Regina in quel modo. Ma stando lì seduta a osservarla mi sono resa conto del suo forza di resistenza. È rimasta in piedi per tutta la durata dell’evento, un paio d’ore, e ha interagito e stretto la mano a ogni singola persona che le è stata presentata. Tutti erano stanchi e accaldati e si sventolavano con i loro programmi. Lei ha continuato a fare quello che doveva fare, una normale giornata di lavoro.

Sapeva chi eri?
Certamente. Il tuo nome viene annunciato e viene spiegato quale onorificenza ricevi cosicché tutti sappiano che cosa ha fatto la persona che viene presentata alla Regina.

Pensi che conoscesse la tua musica?
Dubito che ascoltasse il tipo di musica che faccio e l’OBE non mi è stato dato per quello. Ma Carlo sa chi sono. Quel giorno non c’era, ma l’ho incontrato un po’ di volte e mi sono esibita a sue iniziative di beneficenza.

 

 
 
 
 
 
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In giugno, quando hai ritrovato il tuo OBE, ci hai fatto un post su Instagram.
Mi ero trasferita dal Regno Unito agli Stati Uniti. Le mie cose erano finite dentro delle scatole, immagazzinate da qualche parte. Le stavo riaprendo e l’ho trovato. È stato emozionante. Credo di averlo riposto in un armadio, adesso.

In quel post l’ha definito «un bell’oggetto», ma hai anche spiegato che hai un problema con la parola “impero”, “Empire”, la E di OBE.
Sì e credo sia tempo di cambiare le cose. Mi provoca disagio. Dovrebbero cambiare e far sì che la E stia per Eccellenza. Sarebbe bello.

Ti sei sentita in colpa per quel post dopo aver saputo che la Regina era morta?
Ma no, per niente. Penso che la famiglia reale dovrebbe reinventarsi. Alla base di ogni monarchia c’è la necessità di governare e dividere. E da un punto di vista contemporaneo non è il massimo. Dovremmo riconsiderare questo aspetto. La monarchia deve evolversi e cambiare, ed essendo il Principe Carlo lungimirante probabilmente accoglierebbe con piacere ogni suggerimento utile in tal senso.

Un’ultima domanda: quando ha visto la Regina, le ha parlato di quella canzone dei Sex Pistols?
Non avrebbe capito. So quando una cosa è inappropriata (ride).

Tradotto da Rolling Stone US.

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