Anna Tatangelo, ma come ti è venuto in mente di diventare Anna Trapangelo? | Rolling Stone Italia
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Anna Tatangelo, ma come ti è venuto in mente di diventare Anna Trapangelo?

Perdonate il gioco di parole, ma la “ragazza di periferia” sta registrando un album fra trap e r&b con alcuni nomi della scena. Operazione furba o sincera? «Ora ascolto Kehlani, PartyNextDoor, Jhené Aiko, H.E.R.», assicura lei

Anna Tatangelo, ma come ti è venuto in mente di diventare Anna Trapangelo?

Anna Tatangelo in versione 2.0

Foto: Vincenzo Valente

Da un po’ di tempo, negli ambienti discografici, circolava una voce sempre più insistente: che Anna Tatangelo stesse lavorando a un album trap. Un clash mentale pazzesco, considerando che è sempre stata l’antitesi di tutto ciò che la musica urban rappresenta. Anche lei, come molti trapper, è arrivata alla fama giovanissima, ma anziché incarnare la ribellione adolescenziale era il ritratto del conformismo: una sedicenne determinata e senza grilli per la testa che cantava canzoni scritte da autori di grido, nel solco della più tradizionale melodia italiana. Qualche anno dopo, anziché recuperare le esperienze che si era persa da ragazzina, si era ritrovata di colpo a vestire i panni dell’adulta, legandosi sentimentalmente a un cantautore di vent’anni più grande di lei, Gigi D’Alessio, che era poi diventato suo marito e il padre di suo figlio Andrea, avuto ad appena 23 anni. Perfino il suo look rispecchiava un’età indefinita e signorile che mal si conciliava con quella anagrafica, un’immagine un po’ ingessata e rétro da prima serata di Rai Uno. Insomma, per quanto la versione del 2018 del suo classico Ragazza di periferia con Achille Lauro e Boss Doms era piaciuta a molti, pensare a quella Anna Tatangelo alle prese con l’AutoTune o le batterie 808 faceva un po’ impressione. E soprattutto, sollevava qualche dubbio sulla spontaneità dell’intera operazione, visto che casca in un periodo in cui il mercato discografico italiano ha accantonato la musica leggera a favore di rap e derivati.

Poi, però, dopo l’ufficializzazione della fine del suo matrimonio con Gigi D’Alessio, sui social sono comparse le prime immagini della nuova Anna – per niente austera, vestita finalmente come le pop star di oggi, chioma bionda e ribelle – e soprattutto il suo primo singolo di questa nuova fase, Guapo. Abbiamo scoperto che non si tratta di un brano trap, ma di contemporary R&B, per gli amici trap’n’B; che ha il featuring di Geolier, uno dei rapper napoletani più interessanti del momento; che a firmarlo sono stati Martina May, cantante e autrice molto conosciuta nell’ambiente, e Dat Boi Dee e Mixer T, produttori ben noti alla scena romana; e che l’accoglienza è stata tutt’altro che negativa. Insomma, alla luce di tutto ciò, quella di cambiare radicalmente non sembra poi una cattiva idea, anche se i margini di miglioramento sono ancora parecchi, com’è ovvio che sia per una cantante che negli ultimi vent’anni è stata abituata a fare musica leggera (la trap e l’urban pop saranno anche generi tecnicamente “semplici”, ma a livello di metrica, struttura e tempo sono molto più ostici di quanto non sembrino, e a risultare un po’ legnosi basta un attimo di anticipo o di ritardo). Curiosi di capire il motivo di questa rivoluzione, l’abbiamo raggiunta al telefono a Roma.

Chi te l’ha fatto fare di imbarcarti in un universo complesso, ipercritico e basato ossessivamente sul concetto di credibilità come la scena urban italiana?
Ti dico la verità: quando mi chiedono “Come mai hai cambiato genere?”, rispondo che non ho cambiato genere, e che non è vero che non sono credibile in questi panni. Non cerco di entrare in un mondo diverso dal mio: ci tengo che la gente capisca che sono sempre io, e credo che dall’album si capirà chiaramente che ci sono più facce della stessa Anna. Indipendentemente dalla canzone, basta sentire le prime note per realizzare chi canta. Ovvio, nella vita si cresce e si cambia. Noi donne, soprattutto, tra i 20 e i 30 anni, siamo molto plasmate dalle circostanze e dalle esperienze che facciamo. Circa un anno e mezzo fa, dopo l’ultimo festival di Sanremo a cui avevo partecipato, ho voluto rinchiudermi in studio e capire che musica mi stava meglio addosso, e ho realizzato ci sono dei momenti in cui vuoi sentirti più comoda, agile e ginnica, senza troppi fronzoli. È stato un processo molto naturale, che mi ha coinvolto prima interiormente e poi esteriormente, con il cambio del colore dei capelli, il look e tutto il resto. Sto solo cercando un linguaggio che sia un po’ più mio.

Nel senso che il linguaggio che utilizzavi nella tua discografia precedente non lo sentivi tuo?
No, anzi, ho sempre fatto cose che sentivo di voler fare, giuste per il periodo che stavo vivendo e per la mia crescita. Oggi, però, per me è un momento diverso, in tutti i sensi: per la mia vita personale, per come mi pongo, per come mi vesto… Non è stata una cosa decisa a tavolino per andare incontro a ciò che va di moda. Anche perché la gente non è scema: se ne accorgerebbe se fosse così, e invece finora ho ricevuto riscontri molto positivi. Mi piace l’idea di avere un sound vario, in cui senti la mano di tutti quelli che partecipano al progetto: Martina May che ha saputo trascrivere le esperienze che ho vissuto in maniera molto diretta e sincera, Geolier che partecipa al primo singolo, Mixer T, Danti e Dat Boi Dee che hanno prodotto diversi brani e tutti gli altri artisti coinvolti nel progetto. Tutte persone molto diverse tra di loro, e molto diverse da me, ma questo non vuol dire snaturarsi, vuol dire sperimentare. Ho anche scritto diverse cose insieme agli autori con cui ho lavorato.

Il che è una novità, in effetti: finora avevi fatto solo l’interprete…
In realtà mi era capitato di scrivere qualcosa anche in precedenza, ma non in tutti i dischi (in effetti è accreditata ad esempio come co-autrice del testo di Bastardo, con cui aveva partecipato a Sanremo 2011, nda). Qui, invece, appena siamo entrati in studio è scattata subito una molla e ho capito che poteva funzionare.

Si dice in giro che tu abbia studiato tantissimo per quest’album, macinando ascolti su ascolti di artisti che potevano avere un’affinità con questa nuova direzione. È vero?
Assolutamente. Con Mixer T, uno dei produttori coinvolti, abbiamo ascoltato davvero di tutto. Kehlani mi ha fatto compagnia per tutto il lockdown; Jhené Aiko è una delle mie preferite; H.E.R. mi piace da morire; di PartyNextDoor ho consumato i dischi… Sono ferrata anche sul versante del rap italiano, ma non posso citarti gli artisti che ascolto di più, perché molti di loro li troverete nel disco (ride). Lavorare su un progetto del genere è un po’ come cucinare improvvisando, e decidere man mano che ingredienti aggiungere sulla base dell’ispirazione.

Prima di allora, però, ascoltavi già musica hip hop e R&B?
Io ho sempre ascoltato di tutto, se ti facessi vedere le mie playlist di Spotify resteresti stupita: ci sono cose completamente diverse da quelle che ho fatto come cantante. Per esempio una delle mie più grandi ispirazioni è Rihanna, che è un’artista super versatile, che ama giocare con la sua immagine rimanendo sempre vera.

Se hai sempre ascoltato questo, però, sorge spontanea una domanda: perché non hai mai sperimentato in questa direzione? Perché cominciare proprio adesso?
Quando entri nell’immaginario collettivo con un certo tipo di etichetta, farti vedere dagli altri con un’immagine diversa un po’ ti spaventa. Negli anni sono sempre stata preceduta da una serie infinita di pregiudizi, quindi era difficile. Non è che non credessi nella musica che facevo prima, anzi: ci ho sempre creduto fino in fondo. Però avevo voglia di fare un passo anche in un’altra direzione, e non mi decidevo a farlo. A un certo punto, però, quando vivi esperienze personali che ti cambiano, ti dici: sticazzi, io alla fine so’ così, che devo fa’? Mi piace la musica urban e ho voglia di provare a farla, mi piace cambiare colore di capelli e sperimentare nuovi look e non vedo perché non dovrei.

Anna Tatangelo e Geolier

La musica urban di solito viene associata ai giovani, perché la maggior parte degli ascoltatori lo sono. Viceversa, di te molti hanno detto, spesso in maniera anche poco gentile…
Che sembro vecchia? Io dico sempre che sono come Benjamin Button: sono partita come una vecchia e ora sto tornando giovane (ride). Anche a me capita di rivedere le foto di qualche anno fa e di dirmi: oddio, ma perché? Ragionandoci, però, era un look e un atteggiamento dovuto proprio al fatto che ero una ragazzina insicura che si muoveva in un ambiente, quello dello spettacolo, in cui sei sempre sotto la lente d’ingrandimento. Ovviamente non sono una macchina, e ci ho sofferto anche io. Ma passata quella fase, ora sto bene. Mi sento molto più libera: giro senza trucco, con la cipolla in testa, non metto un paio di tacchi da mesi. In quell’immagine non mi ci ritrovo più. E sono contenta di aver vissuto quel periodo della mia vita senza i social, perché oggi i giudizi negativi e le cattiverie hanno molta più cassa di risonanza.

Ecco, a proposito: com’è stato pubblicare un singolo come Guapo, che cambia completamente gli equilibri della tua carriera, in un periodo in cui la reazione dei social può esploderti in faccia da un momento all’altro?
Ovviamente sapevo che correvo il rischio di essere attaccata, ma paradossalmente è stato l’opposto: molti mi scrivono “Era ora, finalmente dimostri la tua età, sorridi, sembri una persona più alla mano”. Mi rendo conto che in passato mi ero sempre mostrata diversa da quella che realmente sono, il che mi faceva apparire più vecchia, appunto. Su alcuni aspetti sono maturata in fretta per forza di cose: a 23 anni ero già madre e oggi mio figlio ha 10 anni. In più la mia vita privata è sempre stata esposta ai giudizi del pubblico, il che mi costringeva ad essere sempre un po’ rigida e sul piede di guerra. Hai presente quando vai al bar, becchi un cameriere un po’ sgarbato e dentro di te pensi “ammazza, che testa de cazzo è questo”? Se poi ragioni sul fatto che sta tutto il giorno in piedi, al caldo, con la gente che fa richieste assurde, e magari ha pure avuto una giornata no, lo giustifichi. A me, invece, nessuno mi ha mai giustificata, eppure ero giovanissima e perennemente sotto pressione: dovevo sempre apparire in un certo modo. Cercavo di essere perfetta, precisa, di mostrarmi al meglio in ogni occasione, e magari tenevo nascosto il mio lato più umano proprio per non dare soddisfazione a chi mi criticava.

E ora, invece?
Ora mi diverto, finalmente. Lavoro con gente che mi fa ridere, che mi piace innanzitutto sul piano personale, con cui passo il tempo sia in studio che fuori. La cosa più bella di questo progetto è proprio il fatto che siamo tutti amici: non ho mai chiesto un featuring a qualcuno che non conosco. So che qualcuno penserà il contrario quando nei prossimi mesi cominceranno a uscire i nomi delle persone con cui ho collaborato, ma posso assicurare che è così. Tanti li ho conosciuti nel backstage dei concerti di Achille Lauro, ai tempi di Ragazza di periferia 2.0. Negli ultimi due anni è nata un’amicizia; ci si vede tutti insieme a cena, si scherza, c’è un bel feeling.

In passato uno dei momenti in cui ti eri beccata più critiche era stato il 2010, quando avevi fatto da giudice a X Factor. Se te lo riproponessero, lo rifaresti?
Adesso sì, mi divertirei tantissimo! Ai tempi era diverso: non è che fossi l’ultima arrivata, anzi – avevo cominciato a fare musica a 15 anni, avevo già alle spalle diversi dischi d’oro e di platino e avevo partecipato a tre festival di Sanremo – ma approdare a quella sedia a 23 anni non è semplice. Mi guardavano malissimo, si chiedevano cosa ci facessi lì e con che diritto dessi giudizi, visto che ero così giovane. In più avevo partorito da un mese e giustamente mio figlio aveva le sue esigenze, quindi era molto dura, lo stress era parecchio. Poi, però, sono riuscita a uscirne abbastanza bene, un po’ perché è diventato chiaro che ascoltavo davvero tanta musica, un po’ perché come personaggio funzionavo, vedi la famosa frase “Quando la persona è niente, l’offesa è zero” (ride). Oggi credo che me la vivrei molto più easy.

Adesso è molto più comune cominciare a fare musica e magari diventare delle superstar di TikTok in età scolare, ma quando hai iniziato tu era un’eccezione…
Sì, ma anche allora non era facile, credimi. Se non hai delle basi solide in famiglia è un casino. Io sono partita da Sora, un paesino, per fare l’Accademia di Sanremo, e sono stata scelta da Pippo Baudo tra 5000 persone per entrare in gara nella categoria Giovani, senza case discografiche alle spalle. Ho compiuto 15 anni un paio di settimane prima di salire sul palco dell’Ariston, nel 2002, e ho vinto. Sono tornata a Sora da regina, l’anno dopo mi sono buttata in un altro Sanremo, stavolta in gara tra i Big, e sono arrivata quartultima. Se non ci fosse stata la mia famiglia, e in particolare mio padre, che la settimana dopo mi ha detto “Okay, tutto molto bello, ora vai a friggere ciambelle” (i genitori gestiscono un forno a conduzione familiare, nda), non so come sarei finita. Forse avrei perso il contatto con la realtà.

Foto: Vincenzo Valente

E se un domani tuo figlio volesse seguire le tue orme?
Andrea è un fenomeno su TikTok e ascolta tantissima musica, ma non sono una che impone le cose: sarà lui a decidere cosa vorrà fare e cosa lo farà stare bene. Avrà sempre il massimo appoggio da parte dei suoi genitori, ma anche se è agevolato da tanti punti di vista, rispetto ad altri bambini, cerco di insegnargli a non dare mai nulla per scontato.

Tornando al tuo nuovo progetto discografico, se dovessi lanciare direttamente un messaggio agli scettici, quale sarebbe?
Di chiudere gli occhi e di ascoltare, senza pensare da dove vengo, che cosa ho fatto, perché ho cambiato genere, cos’è successo nella mia vita privata. Odio quando la gente utilizza il passato di una persona per criticarla, vorrei che la gente mi vedesse per come sono adesso e che potesse riconoscersi nella mia musica.

La tua è una trasformazione musicale definitiva, o magari il prossimo album sarà di tutt’altro genere?
Guarda, onestamente ancora non te lo so dire. È un momento in cui sto bene, e voglio godermi il percorso senza pensare troppo. Dieci anni fa stavo sempre a pensare al futuro, oggi mi dico vabbè, vediamo un po’ che succede. Anche questo è un sintomo di maturità: smettere di fasciarti la testa prima di rompertela.

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