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Anastasio: «Porto a Sanremo il personaggio del Sabotatore»

Il rapper parla del protagonista del nuovo album ‘Atto zero’, della canzone del festival ‘Rosso di rabbia’, del rischio di perdersi a causa del successo. E di Sartre, che gli ha insegnato che si può essere sopraffatti dal peso dell’esistenza

Anastasio è tra i 24 artisti in gara alla 70esima edizione del Festival di Sanremo con il brano Rosso di rabbia, di cui è autore del testo e co-autore delle musiche insieme a Marco Azara, Luciano Serventi, Stefano Tartaglini. È il suo debutto al festival – dove porterà anche una cover di Renato Zero, suonata insieme alla PFM – dopo aver vinto X Factor nel 2018. Il 7 febbraio pubblicherà Atto zero, il primo album dopo l’EP La fine del mondo.

A Sanremo ci arrivi Rosso di rabbia
Rosso di rabbia è la canzone centrale del disco Atto zero, sia come posizionamento, è la quinta di undici, sia perché è lo snodo dell’evoluzione di un personaggio che faccio apparire nel disco. Non è un vero proprio concept album, ma si presta a un’interpretazione un po’ più cervellotica.

Ma il personaggio di cui parli è il Sabotatore cui fai riferimento su Instagram?
Sì. Mi sono scervellato per due anni per capire questo personaggio che mi è apparso. Quando mi sono a messo a lavorare sul disco non credevo ci fosse spazio per lui, salvo poi comprendere che l’unico tassello che rendeva coerente il progetto era proprio il Sabotatore.

Ma dove ti è apparso il Sabotatore, che è pure il titolo di brano del tuo disco?
Nel maggio 2018, ancora prima di X Factor, in un momento di grande rabbia e sofferenza. Mi ha preso e, come in preda a un raptus, ho scritto fiumi di versi da cui ho tratto questo pezzo. Un fatto che mi ha gasato perché, dopo averlo messo giù, ero sereno e sollevato. E perché credo che ogni brano debba essere scritto come è stato scritto Il sabotatore. È fresco, vivace, nato senza un piano, ma con un flusso.

Torniamo a Sanremo. In Rosso di rabbia c’è, nel ritornello, un “Panico! Panico!” che entra in testa e non si leva più. Quanto è studiata questa cosa?
Non lo so, ma questo brano è stato cambiato un po’ di volte. L’ho riscritto alla luce del Sabotatore e dei frutti legati alla mia ricerca per il personaggio. Anche il ritornello è stato cambiato, l’ho fatto per dare un’esplosione al pezzo.

Aspettative?
Nessuna. Già andare a Sanremo è un diploma, voglio farmi sentire da tutta Italia, sperando di incuriosire chi ascolta per l’insieme del mio progetto.

Che idea ti sei fatto del festival? Come te lo immaginavi?
Non pensavo fosse così bello cantare con l’orchestra. Sembra di avere i cannoni dietro, la prima volta ho sentito vibrare gli strumenti nelle ossa. È stato bellissimo.

Ti ha chiamato Amadeus o ti sei proposto tu?
Avevo l’album pronto. All’orizzonte c’era Sanremo, ero fiducioso di avere qualcosa di adatto per il festival. Ci siamo proposti noi. Ero anche scettico se portare Rosso di rabbia, mi sono convinto solo dopo averla suonata con l’orchestra.

Quale altro brano volevi portare?
Mi sarebbe piaciuto portare Narciso. È il pezzo più elegante dell’album, mi avrebbe dato un bel profilo, ma non dà lo schiaffone di Rosso di rabbia.

In Narciso dici che non vuoi finire annegato nel tuo riflesso. Dopo X Factor c’è stata questa possibilità?
Sì, il pericolo di sprofondare in questo riflesso c’è. Oggi non ci sono più gli specchi, ma i telefonini che riflettono la nostra immagine artificiosa. Ci sono stati momenti in cui ho rischiato di essere vanesio come Narciso. Quando me ne sono accorto ho provato vergogna verso me stesso. Il rischio è chiaro: ogni artista può sprofondare nella sua immagine.

C’è stato un episodio in particolare?
No, però magari hai passato tutta la giornata a fare ego-selfing su te stesso, leggi i commenti. Poi ti rendi conto che è tutto sterile.

I bookmaker ti danno tra i possibili vincitori.
Mi sto facendo una serie incredibili di grattate (ride, nda). Non sono neanche tra i più popolari, secondo me loro chiamano una serie di analisti che dicono che Anastasio è il migliore di tutti, per sempre (ride, nda).

Un altro pezzo dell’album è Cronache di gioventù metese
Io sono di Meta, è il mio paese.

Hai vissuto la strada, come vivi il successo?
Era meglio la strada. Quella che ho vissuto io non è la strada che hanno vissuto altri. E sono dieci volte fiero di averla vissuta. La mia strada era calda e accogliente. Il successo è freddo, non è accogliente, non ha nulla di accomodante.

Hai preso parecchi schiaffi per le tue dichiarazioni…
A parte quello, è un viavai di facce e di complimenti che perdono valore. Fanno piacere, soprattutto dalle persone che stimi, però non è che arrivo a casa, mi hanno fatto dieci complimenti e mi sento appagato. Per questo dico che è freddo.

Nell’inedito Quando tutto questo finirà invochi vari dei. Sei credente?
Non mi definirei credente, ho avuto un mio periodo da ateo-praticante-borioso della peggior specie. Sai l’adolescente infatuato da Nietzsche che si sentiva ribelle? I miei genitori sono molto credenti, davo loro tutte le mie argomentazioni sulla non esistenza di dio. Poi mi sono fatto un grande bagno di umiltà, mi sono reso conto che il sacro e la spiritualità sono cose di cui l’umanità ha bisogno. Non mi reputo credente, perché dovrei partecipare alla messa e dire le preghiere prima di andare a dormire. Avessi un po’ di forza d’animo magari lo farei pure.

Dici una frase bellissima “Levatemi il mondo di dosso”: è il successo?
No, l’ho scritta prima. È quasi nonsense. Al liceo studiai Sartre che parlava della troppa esistenza: una volta era su un pullman e dovette scendere perché si sentiva nauseato da questo peso dell’esistenza addosso. È quasi la nausea di troppa esistenza intorno.

Quindi come vivi l’attenzione che, per forza di cose, ti regala la popolarità?
La vivo malino, sono uno che si è sempre professato libero, mi piace giocare col fuoco e fare l’avvocato del diavolo. Chiaramente non posso più, ora sto con il freno a mano tirato e questa cosa mi spiace, mi limita.

Dopo Sanremo partono i concerti.
Suonerò tantissimo. Spero di fare tre tour: uno invernale-primaverile, uno estivo e uno autunnale. Se dio vuole li facciamo tutti e tre.

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