Amy Lee e il ritorno degli Evanescence: «Prendete la pillola che vi fa affrontare la realtà» | Rolling Stone Italia
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Amy Lee e il ritorno degli Evanescence: «Prendete la pillola che vi fa affrontare la realtà»

'The Bitter Truth' è il primo album di inediti della band in 10 anni. «Canto la necessità di confrontarsi con ciò che spaventa. Mi sentivo spezzata dentro, svuotata. Mi sono rialzata affrontando il dolore»

Amy Lee e il ritorno degli Evanescence: «Prendete la pillola che vi fa affrontare la realtà»

Amy Lee degli Evanescence

Foto: Nick Fancher

Paladini – e fra gli inventori, se vogliamo – di un certo gothic metal che unisce melodie pop e atmosfere dark, gli Evanescence non pubblicano un disco di inediti da 10 anni. Synthesis del 2017, infatti, conteneva soprattutto rivisitazioni orchestrali di brani del repertorio della formazione. Ora tornano con The Bitter Truth, in uscita il 26 marzo, e la domanda è: dopo 26 anni di attività, giunti al quinto lavoro sulla lunga distanza, reggono ancora?

Di sicuro giova il ritorno a sonorità più rock e metal, un approccio decisamente più diretto e con un occhio rivolto alle origini (del resto è quello che fanno tutte le band a un certo punto, nel bene e nel male): The Bitter Truth è un album non ambizioso, ma fedele all’immagine degli Evanescence che i fan più hardcore hanno. Magari con qualche scivolata nel rock più semplice e prevedibile, ma onesto e coerente. E specchio di una forte volontà di rimettersi in pista, nonostante la situazione straordinaria che viviamo nostro malgrado.

Nel tardo pomeriggio – praticamente sera – di un sabato marzolino, a videocamera rigorosamente spenta, in collegamento dagli Stati Uniti c’è Amy Lee, voce e leader degli Evanescence, che oggettivamente compensa l’assenza di contatto visivo con una cortesia e una gentilezza spiccatissime. Siamo qui per parlare del nuovo album e di tutto ciò che ha portato alla sua realizzazione.

Partiamo dal titolo del nuovo album: come mai The Bitter Truth?
Penso che possa avere diversi significati a seconda di chi lo interpreta. Per me ha una doppia lettura: da una parte questo disco è molto personale, i testi sono tutti ispirati alla mia vita e a cose che mi sono accadute realmente – fra cui la perdita di mio fratello, un lutto che ancora fatico a elaborare, lui era in pratica uno dei miei migliori amici. E questo mi fa pensare che dobbiamo cercare di prendere tutto il meglio dalla vita perché la vita – è un dato di fatto, l’amara verità – è corta. E io ho deciso che non voglio sprecarla: se c’è qualcosa che voglio dire o fare, non aspetto un minuto in più.

D’altra parte, il titolo del disco è il riflesso di tutto ciò che di strano, storto e sbagliato sta succedendo nella società, un incoraggiamento a non ignorare ciò che spaventa e fa male, ma ad affrontarlo e combatterlo. Nel mondo accadono talmente tante cose terribili: l’uccisione delle figlie femmine in certi Paesi, il disastro ambientale globale, le ingiustizie e discriminazioni di ogni tipo, razza, genere, reddito… non possiamo più ignorare tutto ciò, dobbiamo darci da fare se vogliamo che ci sia qualche tipo di miglioramento.

Mi è parso un album dal sapore piuttosto positivo, non pesante e gotico come mood e messaggio…
Sì e ne sono felice. I testi sono scaturiti in maniera molto naturale. Scriverli è per me una specie di terapia. Non so mai esattamente dove andrò a parare quando comincio a scrivere un testo, mi guardo dentro e lascio fluire le parole. Penso sia vero quello che hai notato: i testi di questo album sono molto positivi, empowering, e spero che tante persone colgano il messaggio. È frutto di momenti molto importanti che mi hanno fatta crescere e sentire più forte… mi trovavo a vivere un periodo di grande prostrazione, mi sentivo spezzata dentro, svuotata, ma affrontando il dolore sono arrivata a scegliere di rialzarmi e combattere per non lasciare che la vita mi mettesse ko. E spero che altri trovino la motivazione per fare qualcosa di simile, sentendo l’album: la musica è una cosa potente, incredibilmente comunicativa.

La copertina è divertente e mi ha evocato un retrogusto anni ’90. È intenzionale?
Sì, è divertente! Ha un certo sapore anni ’90 anche se non era nelle intenzioni, ma a posteriori lo riconosco. E probabilmente anche nella musica dell’album si sente un po’ dell’atmosfera anni ’90. Dopo Synthesis abbiamo deciso di andare nuovamente verso lidi più rock e – personalmente – i miei gusti a livello di rock sono ben radicati nella musica alternativa dei ’90, canzoni grandiose, epiche, alla Soundgarden, Smashing Pumpkins, Nirvana, tutti i grandi gruppi che mi hanno ispirato fin da ragazzina. Per la copertina devo dire che non avevo un’idea precisa, quando è arrivato il momento di realizzarla; ma ho pensato al titolo, al tema della dura realtà, e mi è venuta in mente l’immagine di una pillola da prendere se si sceglie di affrontare la realtà. Così ho detto a mio marito di prendere la macchina fotografica. Ho disegnato con un pennarello su una caramella alla menta ed ecco che è uscita la copertina.

Come avete registrato, viste le limitazioni per l’emergenza Covid?
Il percorso del disco è iniziato prima della pandemia. Avevamo più o meno quattro pezzi pronti e quando la pandemia è esplosa li stavamo mixando. Non avevamo nient’altro – nessun altro brano scritto, solo un po’ di idee e frammenti su cui lavorare. Con l’emergenza Covid ci siamo dovuti separare – viviamo tutti in posti differenti degli Stati Uniti e Jen, la nostra chitarrista, sta addirittura in Germania. Nei primi mesi è stato strano, dovevamo lavorare a distanza scambiandoci file, ma è stato anche un momento speciale, perché abbiamo scelto di impegnarci al 100% nel progetto nonostante tutto: abbiamo voluto andare avanti perché desideravamo ardentemente fare un album. Quando finalmente abbiamo definito i brani, fra la fine di luglio e l’inizio di agosto, tutti – tranne Jen – sono venuti da me in Tennessee con dei tour bus appositi che li hanno prelevati, dopo aver fatto i tamponi. Ci siamo isolati, abbiamo creato la nostra bolla Covid free per registrare, stando insieme per un paio di mesi. Abbiamo anche scritto un paio di brani nuovi. Jen invece ha fatto tutto dalla Germania, mandandoci le sue parti di chitarra e voce – è stato molto duro per lei non partecipare in persona alle session. La consapevolezza di volere cogliere l’attimo, di non rimandare quello che vuoi fare è, in parte, anche il motivo per cui abbiamo deciso di andare avanti, finire il disco, impegnarci al 100% nella sua realizzazione e pubblicarlo a dispetto delle difficoltà enormi che la pandemia ha portato. Ed è stata un’ottima cosa avere un obiettivo così preciso e ambizioso su cui concentrarci.

Legato all’uscita dell’album c’è anche il lancio di una collana di graphic novel – intitolata Echoes from the Void – ispirate ai vostri brani. Me ne parli?
Certo, il progetto è ancora in fase di produzione e ne sono molto felice. Sostanzialmente Heavy Metal Publishing, lo scorso anno, mi ha contattata per sottopormi di realizzare una serie di fumetti in cui diversi illustratori e sceneggiatori avrebbero ascoltato la nostra musica e avrebbero creato storie di 20-30 pagine ispirate ai singoli pezzi. Mi è piaciuta l’idea, così sono state selezionate canzoni dai dischi più vecchi e alcune del nuovo album. Mia sorella è una bravissima autrice e ha scritto la sceneggiatura di una storia – è bellissima, mi ha fatto piangere quando l’ho letta. Al momento stanno ancora lavorando, ma i primi due volumi, di cinque, usciranno a giugno.

Tu, come persona, come vivi questa sorta di nuova normalità fatta di limitazioni, legata alla pandemia?
Questo ultimo anno è stato difficile, soprattutto per il fatto di dover fare i conti con eventi contro cui si è dovuto ammettere di non avere potere per contrastarli. E specialmente per noi, negli Stati Uniti, non si è trattato solo del grandissimo problema della pandemia, ma anche del fatto di trovarci con l’intero Paese governato da un pazzo che teneva il timone, senza che si potesse fare qualcosa. Quando finalmente siamo arrivati vicino alle elezioni, abbiamo sentito il bisogno di agire: in agosto abbiamo pubblicato il singolo Use My Voice per far passare il messaggio che votare è importante e che ogni singolo voto pesa, per il cambiamento, ognuno può contribuire. Non è vero che un voto non cambia nulla e l’atteggiamento tipo «ma cosa te ne frega, intanto non serve, non ne vale la pena» nei confronti del voto è sbagliato ed è frutto di una strategia per tenere il popolo buono e in disparte. Allora abbiamo deciso di fare qualcosa, non dicendo per chi votare o meno, ma esortando chi ci segue a esprimere il proprio voto. Perché è importante che ognuno faccia sentire la propria voce e sia rappresentato.

Foto: P. R. Brown

Sei una cantante e una musicista talentuosa, ma anche una donna in un mondo tradizionalmente maschile. Come ti confronti col sessismo e le discriminazioni di genere nel rock?
Vedi, ormai sono diventata una vera boss: ho licenziato chiunque si comportasse così (ride)! No, seriamente, devo dire che fin dal principio mi ha dato fastidio che ci fossero persone che vedevano come un ostacolo o una difficoltà il fatto di trovarsi di fronte a una donna in questo mondo, nel music biz e nel rock. E sento che la sisterhood fra di noi è davvero una cosa reale, perché nel rock ci sono diverse donne uniche, forti, speciali che si supportano a vicenda. Ed è bellissimo e grande fonte d’ispirazione vedere altre donne che emergono e fanno la propria musica. In fondo è semplice: io credo nell’unicità e nell’essere speciali, che è una cosa che va oltre le differenze di genere. Per fortuna devo dire che ho visto un certo mutamento in positivo, un progresso – anche negli ultimi 10 anni – a riguardo di come vengono percepite le donne nel rock. E ne sono molto felice.

Tuo figlio ha poco più di 6 anni: cosa pensa del tuo lavoro?
Gli piace abbastanza la nostra musica. Certo, non gradisce se sparo i nostri pezzi in auto a tutto volume, per lui è un po’ troppo, anche perché non facciamo esattamente il suo genere preferito. È un vero appassionato di scienza e adora i robot, per cui la sua musica preferita è certa elettronica, quella che lui chiama robot music. Il suo gruppo favorito sono i Daft Punk e per me è una figata. Però gli ho anche detto: «Ok, vuoi sentire la robot music? Allora partiamo dall’inizio» e gli ho fatto ascoltare i Kraftwerk (ride). Credo che stia ricevendo una buona educazione musicale. Ad ogni modo ha un’idea piuttosto precisa di quello che faccio, ha idea di cosa sia il rock, ma soprattutto si diverte tantissimo quando lo porto in tour: è un’avventura continua per lui. Sta sempre sul palco, di lato, vede la folla, le luci, ma il suo momento preferito è alla fine dello show, quando corre sul palco, tutti lo applaudono e lui si prende il merito di tutto lo spettacolo (ride).

Cosa ascolta Amy Lee nel tempo libero?
Mi piace tantissimo Billie Eilish: sento tanto il suo album e la ammiro come artista. Poi mi piace molto un’artista che si chiama Aurora, è norvegese ed è molto interessante. Ma Björk è la mia preferita di tutti i tempi. Anche col passare degli anni, mi trovo spesso ad ascoltare la sua musica perché è in grado di reinventarsi di continuo: è una cosa che mi ispira moltissimo e mi piace non sapere mai cosa aspettarmi da lei a ogni uscita. L’unica certezza è che ogni disco sarà originale e nuovo.

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