Alanis Morissette: «Il successo mi ha fatto sentire sola» | Rolling Stone Italia
Interviste Musica

Alanis Morissette: «Il successo mi ha fatto sentire sola»

La cantautrice racconta ‘Such Pretty Forks in the Road’, il suo primo disco dopo otto anni, l’eredità di ‘Jagged Little Pill’, il peso della fama, l'insonnia e il rapporto con le dipendenze

Alanis Morissette: «Il successo mi ha fatto sentire sola»

Alanis Morissette

Foto: Shelby Duncan

Come tutti, anche Alanis Morissette ha dovuto cambiare i piani per il 2020. All’inizio dell’anno il musical di Jagged Little Pill dominava Broadway e la cantautrice era pronta a pubblicare in maggio il primo album dopo otto anni, Such Pretty Forks in the Road, per poi partire in tour e festeggiare il 25esimo compleanno del suo best seller. Il nuovo album uscirà il 31 luglio, ma il resto è evaporato. «Sto attraversando le classiche fasi del lutto», dice. Per quanto riguarda la lunga attesa per il nuovo album, invece, la spiegazione è semplice: «Ho fatto tre figli», dice ridendo.

L’atmosfera introspettiva del nuovo album è perfetta per i tempi che viviamo. Cosa hai pensato quando l’hai rimandato? 

Ho pensato che non fosse giusto pubblicare un disco sulla crisi di una donna mentre il mondo era nel bel mezzo di una pandemia. Le reazioni erano opposte a seconda della persona a cui l’ho anticipato. Qualcuno ha detto che era il momento di aspettare, qualcun altro invece preferiva perdersi nella mia storia.

Quando avevi 20 anni cantavi di non aver ancora deciso che strada prendere. Mi sembra che il nuovo album dica anche che non c’è niente di male a continuare a sentirsi così… 

Sì, e l’ironia è che non lo capirò mai se continuo a pensarci nei termini sbagliati. Se cerco di capire qual è la mia strada pensando alle cose, alle persone che incontro o a quella con cui mi sposerò, allora dentro di me resterà sempre un dolore, una fame. È un fatto spirituale. C’è una canzone che ho scritto, si intitola Would Not Come e tratta lo stesso tema, di chi pensa di non riuscire a cambiare il proprio comportamento, trovare una rivelazione o un’epifania. Cercavo le risposte dove non le avrei mai trovate. Per questo ho iniziato a dedicarmi alla spiritualità. È stato difficile iniziare a fare meditazione: chi vuole restare solo con i suoi pensieri?



Reasons I Drink è una canzone molto onesta che parla di dipendenze. Cosa pensavi quando l’hai scritta?
C’è una netta tendenza a giudicare chi cade in una delle miliardi di dipendenze che ci sono. Ma al centro di tutto questo ci sono delle persone – inclusa me stessa – che cercano sollievo da qualcosa. E nel caso di chi diventa davvero dipendente, all’inizio dà effettivamente sollievo, ma finisce per ucciderti. Provo empatia per chi dipende da lavoro, sesso, alcol, droghe, è gente che fatica a trovare pace e in più deve gestire i giudizi degli altri.

In Losing the Plot canti di insonnia. È un problema serio per te?
Sono molto sensibile. Voglio dire, se qualcuno anche solo pensa finisco per svegliarmi. Soprattutto adesso che vivo con un bambino di otto mesi. Me ne prendo cura per tutta la notte. Sono sempre impegnata in quelle che definisco generiche attività post parto. Le prime due volte che ho partorito avevo i sintomi della depressione. Questa volta, invece, la depressione è all’1%, il resto è ansia. Ma sì, dormo poco. Dormo quando posso: non è molto, ma basta per andare avanti.

Non riesco a dormire se prima non ho dedicato del tempo a me stessa. Qualunque rumore mi sveglia, è come se fosse un segnale che mi dice che devo mettermi a scrivere. Se c’è un’importante faccenda da concludere non riesco a prendere sonno. È il momento più creativo della giornata, tutti dormono e posso togliere la divisa da mamma. Posso seguire la mia musa, entrare in uno stato in cui sono ricettiva su qualsiasi cosa: un testo, un’idea, un’opera d’arte…

Il musical di Jagged Little Pill è pieno di battute sul testo di Ironic. È un sollievo pensare di aver dato una risposta definitiva a chi obiettava che le cose citate nel pezzo non sono ironiche.
Sì, almeno fino a quando la prossima generazione non vorrà farmi il culo. Diablo Cody (l’autrice del musical, nda) ha lavorato alla perfezione. Sai, io non volevo che quel pezzo finisse nel disco, ma tutti mi pregavano di mettercelo. È una delle prime canzoni che ho scritto con Glen Ballard, era quasi una demo. La melodia piaceva a tutti, a me non importava granché. Più avanti ho capito che forse avrei dovuto preoccuparmene di più (ride). Ops!

Un’altra cosa che succede nel musical è che il personaggio di Lauren Patten ricontestualizza You Oughta Know come un inno queer. Cosa ne pensi? 

La cosa che mi piaceva di più del pezzo era che utilizzava solo parte della mia storia personale. Amo le fantasie di vendetta, ma non è quel che cerco. Ho scritto quel pezzo per liberarmene, mi avrebbe fatto implodere. Muoversi, sia attraverso l’esercizio fisico che scrivendo canzoni, è un modo per restare sani. E quando un disco è finito e posso condividerlo con gli altri, non mi appartiene più. Ho ascoltato tante storie su questo pezzo. Qualcuno l’ha usato per superare un divorzio, qualcun altro mi ha detto: “Alanis, anche io odio gli uomini!”. Io rispondo: mmm, okay. (Ride). Mi piace sentire queste storie.

In più, per essere al centro del musical e giustificare l’interpretazione di Lauren, era necessario aggiungere altri livelli di lettura. Ora puoi vedere la relazione che causa tutto il dolore del personaggio, mentre della mia non ho mai detto granché. Ascoltare quella versione mi ha fatto sentire parte del pubblico, ho capito quant’è devastante la canzone. Molta gente pensa solo alla rabbia. Sai, io vivo per la rabbia. Non mi riferiscono agli atti distruttivi che ne conseguono. La rabbia muove il mondo. Mi aiuta a stabilire dei confini e cambiare le cose. Ma sì, quando ho visto You Oughta Know ho pensato: “Wow, le hanno dato vita su tanti livelli diversi”. Mi ha scaldato il cuore.

Fare il musical è stato anche un modo per collaborare con la te stessa di 19 anni. C’è qualcosa che vorresti dirle? 

Le consiglierei di circondarsi di qualche persona in più. Ero piuttosto sola. In quel periodo suonavo nei festival, c’erano 72 band e poi Alanis Morissette (ride). A un certo punto non sapevano che fare con me. “Non possiamo fare sesso con lei, non possiamo uscirci, che si fa?”. Io rispondevo: niente! Parlate con me! Prendiamoci un felafel. Ho cercato di fare nuove amicizie e non ha funzionato, perché le circostanze erano davvero insolite. Il successo crea confusione nella testa della gente. All’inizio lascio che le persone si sentano in imbarazzo. Se non riescono a superarlo, non ci sarà amicizia. Ci sono tante cose da tenere a mente se sei un personaggio pubblico e la popolarità ti ha isolata. Quante storie sulla fama mi avevano rifilato: vedrai, risolverà tutti i tuoi problemi, non sarai più sola… Non è così.

Alanis Morissette in concerto nel 1995. Foto: Al Seib/Los Angeles Times/Getty Images

In Nemesis parli di droghe psichedeliche? 

Sì. Ho sperimentato molto per trovare dio. Alcuni di questi portali sono temporanei, ma aprono una finestra. Sono una tipa curiosa, mi piace sperimentare. Ho un sacco di amici convinti che quell’esperienza che oblitera l’ego sia davvero potente. Io sono più ansiosa. Ho la testa sempre piena di cose e il mio ego viene obliterato anche senza sostanze. Non ho bisogno di una sostanza per raggiungere certi stati.

Dovevi passare l’estate in tour con Liz Phair, una musicista che forse desiderava una carriera simile alla tua. E tu, l’hai mai invidiata per la sua? 

Non ci ho mai pensato, perché farlo richiederebbe che io non sia me stessa. Forse in un universo parallelo ho ottenuto una quantità di successo sopportabile. Ma avevo 22 anni ed era troppo tardi. Dopo un po’, per fortuna, mi sono rilassata. Ero ignorante, non sapevo nulla del successo, e ho pensato: oh mio dio, sarà così per sempre? Voglio andarmene. Ovviamente cambia tutto, il che è fantastico. Sono tornata a respirare.

Ascoltare il nuovo album mi ha ricordato il potere e l’unicità della tua voce. Parlo della parte alta del registro, quando sembra che il tuo timbro abbia degli armonici in più. Da dove viene? È sempre stato così? 

È sempre stato così, ce l’ha anche mio figlio. Canta con me, armonizza e ha lo stesso timbro. In più ha l’estensione di Mariah. Credo sia sempre stato così. L’unica cosa che non volevo fare era un’esibizione gratuita degli svolazzi vocali che impressionano il pubblico. La mia priorità numero uno è sempre stata raccontare una storia. Se è necessario farlo in una certa ottava, e non c’è la possibilità di cantare note molto alte, va bene così. È quello che vuole la canzone. Insomma, prima viene la narrativa, poi la tecnica. Tocco ferro mentre lo dico, ma ho sempre pensato che invecchiando la mia estensione sarebbe diminuita. In realtà è successo l’opposto, è cresciuta. Cantare nel registro basso mi diverte tanto quanto in quello acuto. È come se le mie corde vocali fossero un pennello. A volte è morbido, altre è duro e vulnerabile.

La musica dance-pop canadese che hai registrato prima di Jagged Little Pill è facilmente accessibile in rete. Se oggi dovessi ascoltare il tuo singolo del 1991 Too Hot, cosa penseresti?
Sono sempre stata attirata da generi diversi. Abbiamo appena finito il video del nuovo singolo Smiling, e si balla molto. Da quando avevo 6 anni, mi sono sempre considerata autrice e ballerina, sai? (Ride) All’epoca volevo un loop e una chitarra elettrica, il rock e il ballo. E collaboravo con persone che invece vedevano le due cose nettamente separate, che mi dicevano che avrei dovuto scegliere. È una cosa che ho sentito spesso in vita mia. Ma quando avevo 16 o 17 anni, lavoravo con persone che scrivevano grande musica. E onestamente, non ero neanche lontanamente pronta a cantare pezzi autobiografici. Avevo troppa paura!

Stai scrivendo un libro. Come sta andando? So che hai tante storie da raccontare, ma farai i nomi?
Beh, ho scritto 1300 pagine e per ora ho usato tutti i nomi. Ma non credo che lo farò anche nella versione finale. Insomma, forse qualcuno mi darà il permesso, ma come con You Oughta Know, non scrivo per vendetta. L’ironia della cosa è che a me non frega granché della mia storia. Ho assunto persone che mi aiutano a far sì che mi importi. È per questo che mi entusiasma sentire le storie degli altri. Non ho alcuna intenzione di rovinare le vite di 25 persone in un minuto.

Altre notizie su:  Alanis Morissette