Rolling Stone Italia

Adele non ha più paura, l’intervista completa

Un figlio e la tentazione di mollare tutto. Invece lei è tornata con un disco che supera le aspettative. Un’intervista lunga un giorno per raccontare quattro anni di assenza, pieni di vita
Adele è nata a Londra il 5 maggio 1988. Foto: Theo Wenner

Adele è nata a Londra il 5 maggio 1988. Foto: Theo Wenner

Adele guida la sua Mini Cooper per le strade di South London, con il seggiolino (vuoto) di suo figlio nel sedile posteriore e una centrifuga di cetriolo, cavolo e latte di mandorla in una mano. Fa una domanda, e sembra sincera: «Cosa è successo di recente nella scena musicale? Mi sento fuori dal giro». L’unica risposta possibile è anche la più facile: «C’è un album che tutta l’industria musicale sta aspettando con ansia…». «Oh, ‘fanculo», risponde, dandomi una leggera spinta e lasciando uscire la sua famosa, affascinante risata. «Mio Dio, mi piacerebbe! Mi sembra di essere in ritardo di un anno», dice, spalancando gli occhi verdi.

Come se il suo ultimo album del 2011, 21, non avesse venduto la miracolosa cifra di 31 milioni di copie in un’era in cui nessuno compra più dischi, non fosse stato adorato da cantanti come Beyoncé e Aretha Franklin e non avesse vinto ogni premio sulla faccia della Terra, tranne il Nobel per la Pace. «Sinceramente ho perso il contatto con la musica», dice. Non è del tutto vero. È una fan di FKA Twigs, ama gli Alabama Shakes e si è infilata di nascosto tra il pubblico a Glastonbury per vedere Kanye West. «Ma non so cosa stia succedendo nelle classifiche e nella cultura pop. Non sono al passo con i tempi», dice, scoppiando in un’altra risata.

Il cielo sopra di noi è grigio persino per gli standard di Londra. Sta per piovere, e questo rischia di sconvolgere il piano di portare allo zoo suo figlio Angelo, 3 anni compiuti a giugno. Nessuno nelle auto che ci passano accanto la riconosce. Non succede mai, non quando è con questa macchina: «Forse se andassi in giro tutta truccata e pettinata… Ma non sono abbastanza coraggiosa per farlo». Infatti è vestita come una studentessa che ha fatto appena in tempo ad arrivare in classe in orario. Indossa una felpa blu e nera fatta di qualche tessuto simile alla canapa (potrebbe anche venire dalla distopica collezione di moda di Kanye West), leggings neri e Converse basse bianche, ha i capelli biondi raccolti in uno chignon e due larghi orecchini tondi a ciascun orecchio. Ha un trucco leggerissimo e, anche se dice che le stanno venendo le rughe, ha un viso estremamente giovane, e una carnagione chiara che giustifica i contratti di sponsorizzazione con marche di cosmetici che ha rifiutato negli ultimi anni.

È appena uscita da una session di prove con la sua band, durante la quale, seduta su una sedia di fronte ai musicisti, ha cantato per la prima volta dal vivo Hello, il malinconico e incalzante singolo d’esordio estratto dal suo terzo album, 25. Adele ha compiuto 27 anni a maggio, ma ha scelto come titolo gli anni che aveva quando ha cominciato a registrarlo: «Me ne diranno di tutti i colori: perché l’hai intitolato 25 se non hai più 25 anni?». “Ciao, sono io”, canta nella prima strofa, come se ci fosse qualche dubbio. Con un figlio appena nato da crescere, Adele aveva deciso di affrontare il lavoro con calma. Per scrivere il ritornello di Hello ci ha messo sei mesi. «Avevamo solo metà canzone», racconta il produttore e coautore Greg Kurstin, che non sapeva quando sarebbe passata in studio per finirla. «Ho dovuto avere molta pazienza». Il testo sembra riferirsi a qualcuno che ha perso da molto tempo, ma lei dice che non parla di nessuno in particolare e, soprattutto, che ha dimenticato la persona che le ha spezzato il cuore e ha ispirato 21: «Sarebbe veramente terribile se scrivessi ancora di lui. È una canzone che parla di riprendere il contatto con me stessa». Non ha ancora deciso se farà un tour per promuovere 25, al momento sta provando solo le esibizioni televisive. Nella sua band ci sono un paio di musicisti in più, e lei è molto contenta di avere un percussionista, un’aggiunta ispirata a una delle sue band preferite da ragazzina: «Le Spice Girls avevano un percussionista pazzesco». È apparsa poco in pubblico e non ha cantato nulla negli ultimi due anni, dopo aver vinto insieme a Paul Epworth un Oscar per Skyfall, la prima canzone decente da sempre di un film di James Bond. «Quando non ho niente da dire, preferisco non parlare», dichiara. Ma bastano due minuti con lei per capire che il silenzio non è il suo stato naturale. «Sto aspettando il nuovo fottuto album di Frank Ocean, ci sta mettendo troppo tempo», fa una pausa e scoppia a ridere: «Sembra stupido detto da me, vero?».

Adele si rifiuta di lasciare che il successo le entri troppo dentro. Si vede ancora come «una ragazza qualunque di Londra», anche se quando gira in macchina ha una guardia del corpo che la segue a bordo di una Range Rover. Con il suo stile classico di scrittura e i suoi arrangiamenti, l’album 21 si è posizionato ai margini della cultura pop, riuscendo comunque a surclassare tutti nelle vendite. Adele sta cercando di fare una mossa simile con la sua carriera: «Cantare non è la mia vita, è il mio hobby». Vuole essere in grado di pubblicare un disco, stare sotto i riflettori per un po’ e poi tornare alla sua vita privata per qualche anno, in modo da avere qualche esperienza da raccontare nelle canzoni. «Credo che farà almeno 20 dischi», dice il suo manager Jonathan Dickins, «giochiamo sulla lunga distanza». «La gente pensa che io odi essere famosa, ma non è vero. Ho solo paura di essere famosa. È una cosa tossica ed è facile venire risucchiati». All’inizio della sua carriera veniva accostata spesso ad Amy Winehouse, che ha incontrato solo un paio di volte: «Vedere Amy deteriorarsi in quel modo è una delle ragioni per cui sono così spaventata. Ci divertiva tutti vederla così incasinata. Mi faceva molta tristezza, ma se qualcuno mi mostrava una foto di lei distrutta, io la guardavo. Se non lo avessimo fatto, avrebbero smesso di scattarle. Quel livello di attenzione fa veramente paura, specialmente se non vivi in mezzo allo showbiz».

Lei si sente ancora fuori luogo in mezzo alle celebrità. Quando ha incontrato Stevie Nicks, un mito per lei, non è riuscita a trattenersi ed è scoppiata in lacrime («Con il naso che colava e tutto il resto!», racconta). «Non credo che riuscirò mai a non sentirmi sopraffatta in una stanza piena di star», dice Adele, che ha passato i primi 10 anni della sua vita a Tottenham, un quartiere povero e con un alto tasso di criminalità a nord di Londra. «Ho sempre la sensazione che possano buttarmi fuori da un momento all’altro. Oppure che sia uno scherzo, una specie di candid camera e alla fine mi rispediscono a Tottenham». Ha un sogno ricorrente in cui cade da un palazzo. Da quando è nato Angelo, Adele ha fatto una vita molto riservata, ma ci tiene a dire che non è stata sempre chiusa in casa: «Sono stata in tutti i fottuti parchi, negozi, supermercati che si possono immaginare». Al momento è impegnata in una relazione «molto seria» con Simon Konecki, il padre di Angelo, un ex banchiere 41enne con la barba e un ampio sorriso, ora diventato filantropo. Si sono incontrati quando 21 era all’apice del successo. «Lui mi ha appoggiato, e questo vuol dire molto, perché io ho successo in quello che faccio. L’ultimo fidanzato che ho avuto non reggeva la situazione, non riusciva a gestire il mio successo e il fatto di dovermi dividere con tante altre persone» (parla del tizio di 21, anche se ha avuto un’altra relazione prima di Konecki). Ci sono voci contraddittorie che girano, secondo cui o si sono sposati o si stanno lasciando: «L’ho detto un milione di volte, non ci siamo sposati e stiamo ancora insieme. Non ci siamo mai lasciati, semplicemente non abbiamo sentito l’esigenza di sposarci. Abbiamo un figlio insieme, mi sembra un impegno abbastanza importante». Uno dei pezzi nuovi, Water Under the Bridge, parla di lui: «Una relazione che all’improvviso diventa molto molto seria e ti fa un po’ paura, fino a quando non dici a te stessa: “Va bene così, questa è la relazione che cercavo e voglio che duri il più a lungo possibile”». Non ha ancora fatto ascoltare l’album a Simon: «E se poi non gli piace?», si chiede. Ha smesso di fumare («Mi piaceva tantissimo, ma non è per niente figo quando stai morendo per qualche malattia legata al fumo e tuo figlio è disperato») e beve molto meno, circa un drink a settimana: «Prima ero capace di stendere chiunque sotto il tavolo e fare un ottimo concerto subito dopo, ma con un figlio è diverso. L’hangover del giorno dopo è una vera tortura. I bambini lo capiscono, lo sentono e non ti lasciano in pace». Fa anche molti esercizi di riscaldamento per proteggere la gola, dopo l’emorragia alle corde vocali che nel 2011 l’ha costretta a cancellare alcune date del tour e a sottoporsi a un’operazione prima del ritorno sul palco ai Grammy, l’anno successivo. Dopo l’operazione, la sua voce già potentissima è diventata più ampia e più pura, ed è salita di quattro note: «È stato come ritrovarsi con una voce nuova. All’inizio non mi piaceva, ero abituata a sentirla come se fosse sempre chiusa in un guscio che all’improvviso non c’era più». Si sta anche preparando per un eventuale tour, ha eliminato lo zucchero ma non i carboidrati («Non mi sottoporrò mai a una simile privazione») e va in palestra: «Per stare bene, non per arrivare a una taglia zero e cose del genere». E la dieta? «Per lo più mi lamento». Fa una risatina e spiega: «Non sono certo una che non vede l’ora di andare in palestra, non mi diverte per niente. Mi piace fare pesi, ma non mi piace guardarmi allo specchio. Mi vengono facilmente delle macchie rosse in faccia, quando faccio sforzi. Per il resto, quando non sono in tour potete trovarmi al ristorante cinese!».

Dunque, a 27 anni, Adele è finalmente felice e sistemata, senza vizi e con enormi responsabilità: crescere un figlio e portare avanti una carriera di dimensioni globali. Divertimento zero, quindi? Lei annuisce sorridendo: «Niente. Non sono per niente divertente al momento». È successo tutto in fretta: «A volte mi capita di avere, per una frazione di secondo, una specie di lampo di nostalgia verso me stessa, verso la persona che ero 10 anni fa, quando le mie uniche responsabilità erano scrivere canzoni che non interessavano a nessuno e arrivare a scuola in tempo. Sai una cosa? Quello che mi dà più fastidio è che non ti rendi conto di quanto sia fantastico essere ragazzi, finchè non lo sei più». Oltre alla famiglia, Adele frequenta lo stesso gruppo di amici di quando era una teenager, o anche prima. Uno scrive libri per bambini, l’altro è un produttore televisivo: «Man mano che 21 diventava sempre più grande, io sono tornata ai miei vecchi amici», mi dice, spiegandomi che vorrebbe anche portarseli dietro in tour, «avevo parecchio bisogno di loro». Quindi ha anche lei la sua cricca? «Ne ho sentito parlare, mi piacerebbe che anche la mia cricca fosse composta da supermodelle. Nella nostra testa anche noi siamo delle supermodelle. Sì, ho la mia cricca, anche se non è interessante come le altre che si trovano in giro», si illumina per un momento. «Forse Rihanna può entrare a far parte della mia cricca! Oh Dio. È fantastica, vero? La adoro». Ferma l’auto davanti a un edificio a tre piani molto poco gradevole, di fianco a una pompa di benzina Texaco. Al piano terra c’è un discount.

Adele sul palco degli NRJ Music Awards. Abito: Giorgio Armani Privè. Foto: Ghnassia/Sipa/Rex Shutterstock

Adele ha vissuto qui con sua madre Penny dai 14 anni in poi. Suo padre non si è più fatto vedere da quando lei era neonata. È l’argomento di cui le piace meno in assoluto parlare, e non vuole dare alcuna importanza alla sua assenza nella sua vita. «Le nostre finestre erano la quarta, la quinta e la sesta», mi dice, indicandole. Penny ha avuto Adele a 18 anni e il rapporto tra le due è da sempre molto divertente. Adele viveva ancora a casa con lei quando 21 è arrivato al successo, e sono rimaste molto unite: «Parliamo di tutto, non mi sono mai sentita in imbarazzo con lei. Motivo per cui non mi sono mai ribellata». Fino a oggi, per dire, non ha mai fatto niente di più che un tiro di spinello. È in questa casa che ha scritto le canzoni del suo primo album, 19, un disco quasi tutto acustico e con venature jazz, uscito nel 2008. Poco dopo, appena terminata una scuola d’arte in stile Fame, ha firmato un contratto discografico con la potente etichetta indie XL Recordings, grazie a una serie di demo postati su MySpace. Fin dall’inizio non ha fatto alcuna concessione allo stile molto alternativo della sua etichetta: «Dopo aver firmato con la XL, è andata a dire ai giornalisti che il suo gruppo preferito erano le Spice Girls!», ricorda Dickins, «non gli Einstürzende Neubauten o Nitzer Ebb». Dall’altro lato della strada c’è un African Choice Market, che una volta era un pub in cui riusciva a farsi servire da bere anche se non aveva l’età per farlo, e un salone di bellezza della catena Hollywood Nails, in cui andava a fare la manicure. Ci è tornata nel 2012, per prepararsi ai Brit Awards, per la gioia dei titolari. Mentre guarda la sua vecchia casa, la sua espressione si fa impenetrabile. La nostalgia verso se stessa pervade molte canzoni del nuovo album. La sua preferita è la ballad in stile Elton John, When We Were Young, scritta insieme a Tobias Jesso Jr., un pezzo che ha qualcosa in comune con The Way We Were, una canzone che l’ha fatta piangere quando l’ha sentita cantare da Barbra Streisand in persona, alla notte degli Oscar. All’ultimo ha deciso di cambiare il titolo di un altro pezzo notevole del disco, da We Ain’t Kids No More a Send My Love (To Your New Lover): «Altrimenti avrei potuto anche intitolare tutto il fottuto album Vecchia», mi spiega. La malinconia verso il tempo che passa è reale, anche se leggermente prematura: «Da quando ho compiuto 25 anni, ho un sacco di rimpianti, e la tristezza mi colpisce in un modo diverso da prima». Nella deliziosa Million Years Ago, che sembra un pezzo di Madonna degli anni ’90 mixato con The Girl from Ipanema, Adele canta: “A volte penso di essere solo io / Che non sono diventata quella che pensavano sarei potuta essere”. Ha realizzato che una parte della sua vita è andata, che alcune porte si sono già chiuse: «Ci sono un sacco di cose che so che non potrò mai fare, non perché sono famosa, ma perché non avrò più il tempo. Tipo essere una giornalista o un’insegnante». Fa un sospiro: «E poi non sarò mai più sola. Sono una madre e ho una relazione importante, quindi non mi ritroverò più a stare sola con me stessa. Non mi lamento, non è una di quelle cose che rimpiango. Ma penso che non sono stata abbastanza tempo da sola. Prima ero una figlia, e ora sono una madre», scoppia a ridere. «Ho avuto solo una finestra di cinque anni per essere me stessa». Quando è rimasta incinta, Adele stava cominciando a sentirsi soffocare dal successo. La allarmava in particolare il fatto che 21 continuasse a vendere a un ritmo impressionante, nonostante lei fosse a letto dopo un’operazione alle corde vocali e non facesse niente per promuoverlo. «Più grande diventa la tua carriera, più piccola diventa la tua vita. La mia era diventata un armadio, il mio piccolo spazio nel mondo. Era sufficiente appena per me, ma andava benissimo. L’idea di doverci rinunciare mi spaventava a morte».

Aveva appena superato i problemi alla gola, vinto i suoi Grammy, e stava pensando di trasferirsi a New York, quando ha scoperto di essere incinta: «Ha sconvolto tutti i miei piani. Mi sono detta: “Vediamo se riesco a gestire tutto questo e avere anche un figlio”. Alla fine, però, è stato un tempismo perfetto, anche se poteva sembrare il momento più assurdo e ridicolo per rimanere incinta. Stavo cominciando ad avere paura di tutto». Angelo ha spazzato via tutte le paure: «Ha messo le cose a posto, ho ripreso ad avere fiducia, perché il mondo mi aveva regalato questo miracolo. Sono diventata una specie di hippie». Addirittura, dice quasi distrattamente: «Non credo che sarei tornata, se non avessi avuto mio figlio». Per quanto riguarda le influenze di 25, Adele dice che l’ispirazione è arrivata da Ray of Light di Madonna: «Sai perché lo trovo fantastico? È il disco che Madonna ha fatto dopo aver avuto il suo primo figlio e per me è il migliore della sua carriera. Io mi sentivo completamente sconvolta dopo aver partorito, avevo gli ormoni a palla e stronzate del genere». Si sentiva ormai lontana dal suo lato artistico: «Stavo scivolando via, e non trovavo molti esempi che mi facessero dire: “Questo è il fottuto disco di un artista che ha ritrovato se stesso”. Poi qualcuno mi ha suggerito: “Ma sì, Ray of Light”». Adele lo ha ascoltato a ripetizione, ed è stata catturata in particolare da Frozen: «Grazie a quella canzone ho ritrovato la fiducia e la voglia di essere ancora me stessa». A casa, intanto, è l’ora del sonnellino di Angelo. Adele accosta l’auto per vederlo un attimo su FaceTime prima che si addormenti (nella vita reale, al contrario del video di Hello, non ha un telefonino preistorico). È comprensibilmente molto protettiva nei confronti del suo bambino, e ha persino denunciato dei paparazzi che gli hanno scattato delle foto senza permesso (vincendo anche la causa). Per questo mi chiede di non descriverlo (per la cronaca, comunque, è un bambino molto carino). Ha anche cercato di tenere segreto il suo nome, ma poi se lo è tatuato sulla mano. Sull’altra mano, nello stesso punto, ha tatuato “Paradise”: «Perché Angelo è il mio paradiso», dice con una certa timidezza (ha anche tatuate tre colombe sulla schiena). Ha scoperto dopo che anche Lana Del Rey si è tatuata la parola “Paradise”, una coincidenza che trova molto divertente: «Penserà che sono una sua fan impazzita», dice lanciandosi in una versione esagerata del ritornello di Born to Die, «Voglio dire, sono una sua fan, ma non di quelle fuori di testa».

«Ti sei divertito in biblioteca?», chiede al suo piccolo. «Cosa hai letto?» Parlano di elefanti, di Elmo dei Muppets, di cioccolato e maccheroni al formaggio, poi Adele dice con affetto che è arrivato il momento di fare il riposino: «Puoi schiacciare il bottone rosso? Patatino? Schiaccia il bottone rosso…». «È un angioletto», mi dice, «riesce a tirarmi fuori tutte le cose che mi piacciono di me, ed è l’unica persona che è in grado di dirmi di no. Mi comanda completamente, è il mio boss. Visto da fuori fa molto ridere, perché sul lavoro sono io il boss di tutti». Non può fare a meno di sentirsi in colpa quando il lavoro la tiene lontana da lui: «Ogni tanto mi sento molto male». Quando le capita, pensa al ritorno di Kate Bush sulle scene: «Mi ha fatto venire fretta di finire il disco. Alla fine non vedevo l’ora di tornare». Ha letto da qualche parte che è stato il figlio adolescente a convincere Kate Bush a riprendere a fare concerti, e che lei «ha costruito i suoi show intorno a lui. Allora ho pensato: “Non voglio aspettare che mio figlio abbia 16 anni per fargli vedere chi sono davvero”. Perché sono molto fiera di quello che ho realizzato, e prima che arrivasse Angelo non lo ero. Non riuscivo a capire fin dove ero stata capace di arrivare. Tutti vogliono fare qualcosa nella vita, e spesso non hanno l’opportunità di farlo, perché tante cose si mettono in mezzo. Quindi io sento di aver avuto fortuna: le stelle si sono allineate per me e mi hanno permesso di fare il giro sulla giostra più divertente del mondo».

Adele ha festeggiato uno dei suoi ultimi compleanni da Kurobuta, un bar-ristorante giapponese con una studiata atmosfera rock&roll, che il Guardian ha recensito come “Follemente buono” e “Pazzescamente caro”. Ci torniamo insieme, lo staff ci ha riservato una saletta privata sul retro illuminata dalle candele. Abbiamo un tavolo in legno tutto per noi, tanto enorme da essere ridicolo. A volte non è male essere una ragazza qualunque di Londra. Studiamo il menu, pieno di piatti fritti, e Adele è molto divertita quando le racconto che sto cercando di mangiare pochi carboidrati. «Fai un’eccezione», mi dice in tono persuasivo. Appesi alla parete dietro di lei ci sono dei vecchi poster rock, tra cui quello della copertina di Axis: Bold as Love di Jimi Hendrix. «Trasgrediamo tutti e due! Facciamo una follia!». Mi indica un angolo vuoto: «L’ultima volta che sono stata qui c’era un televisore che trasmetteva cartoni animati porno, devono averlo tolto. Era piuttosto imbarazzante mangiare sushi guardando un porno!». Ordina un Amaretto Sour, poi cambia per un bicchiere di Sauvignon Blanc: «Forse è meglio che non sia così aggressiva, mi sono appena ricordata che stiamo facendo un’intervista». Adele è consapevole del fatto che alcuni critici hanno usato la sua immagine e la sua musica, molto elegante e di classe, come uno strumento per attaccare tutte le Miley Cyrus del mondo. Una cosa che non le piace: «Non voglio essere io la persona con cui vengono messe a confronto le ragazze che decidono di mostrare il proprio corpo. Questo è mettere le donne una contro l’altra, e io non ho nessun valore morale in più di nessuno. Mi ha fatto arrabbiare. Questo però non vuol dire che tirerò fuori anch’io le tette». Continua a pensare a voce alta: «Se fossi più magra mostrerei il mio corpo? Probabilmente no, perché il mio corpo è mio. A volte mi chiedo se avrei avuto lo stesso successo se non fossi stata così. Forse servo a ricordare alle persone chi sono, anche quelle che non hanno la mia stessa taglia. Il punto è che non sono perfetta. C’è tanta gente in giro che viene rappresentata come perfetta, irraggiungibile e intoccabile». Considera sessiste molte delle domande che le sono state fatte su questo argomento: «Mi hanno chiesto un sacco di volte: “Poseresti nuda per Playboy?”. È ridicolo! Me lo domandano perché sono una donna, o perché sono grassa?». È stata così occupata negli ultimi anni da non essersi quasi accorta che nella cultura pop attuale si sta facendo avanti un nuovo tipo di femminismo: «Se esiste un movimento è fantastico. Chi lo sta portando avanti? Vuoi sapere se sono femminista? Non mi sembra che agli uomini venga mai chiesto se sono femministi, nelle interviste». Io non glielo chiedo, ma lei risponde comunque: «Sono femminista», dice, sorseggiando il suo vino, «credo che tutti debbano essere trattati allo stesso modo, a prescindere dalla razza e dalla sessualità». Ricorda di essersi trovata in mezzo a riunioni di affari con soli uomini e di non essere stata presa sul serio: «Una cosa del tipo: “Che ne sai tu?”. E io: “Beh, io sono la fottuta artista!”». Si siede più composta sulla sedia: «Si dà il caso che lo sappia, cazzo! Non provare a dirmi di stare zitta!».

Si è divertita a collaborare con Sia nel suo nuovo album, anche se le canzoni non sono state inserite nella tracklist finale (una invece, Alive, è diventata un singolo di Sia), anche perché si è resa conto che non aveva mai lavorato con un’altra donna prima: «Mi è piaciuta la dinamica tra noi due, comandavamo tutti quei fottuti producer maschi che se la facevano sotto perché non sapevano cosa fare con noi». Adele mi fa una domanda: «Credi che qualcuno rimarrà deluso dal fatto che sono felice?». Sono passati due giorni dalla nostra cena, e lei è vestita in modo simile, leggings e felpa, ma con l’aggiunta di un paio di scintillanti stivali di Margiela. Siamo nell’ufficio del suo manager in una tranquilla via di Notting Hill, in una stanza decorata con qualche memorabilia di sport e alcuni dei premi vinti da Adele. Mi fa vedere il suo Ivor Novello Award, ma evita di menzionare il Diamond Award per le oltre 10 milioni di copie vendute in America. Adele sa che le sue canzoni sono state un conforto per molti fan: «La soddisfazione più grande è quando la tua musica riesce a curare le ferite delle persone. Non penso che questo nuovo disco sia del tipo: “Woooo! Sono totalmente felice!”, però è vero che sono in una situazione molto più serena, dal punto di vista sentimentale. I miei fan saranno delusi dal fatto che non posso curare i loro cuori spezzati con una canzone scritta quando avevo anche io il cuore spezzato? Non voglio deluderli. Allo stesso tempo non posso scrivere un disco triste per gli altri. Non sarebbe un disco vero, se non fossi triste anche io».

Ride, quando le ricordo che la sua ultima intervista per Rolling Stone si è conclusa con lei che immaginava cosa sarebbe successo il giorno in cui avesse avuto una relazione stabile: «Niente più musica!», aveva scherzato allora, «i miei fan mi direbbero: “Per favore, divorzia!”». Adesso non la vede più allo stesso modo. «Sarebbe tragico fare un altro disco triste. Neanche tragico: sarebbe un clichè. Cosa avrei scritto se avessi avuto davvero il cuore spezzato? Non credo di esserne più capace, quindi cambiamo posizione». Una cosa che non riesce a comprendere è la tendenza degli artisti a creare il caos nella loro vita personale: «Sarei stata totalmente d’accordo se non avessi avuto un figlio. Non credo che mi sarei placata, ho sempre amato il dramma. Ho sempre voluto essere innamorata e ho sempre voluto un po’ di dramma, fin da quando ero piccola». La questione del tour rimane in sospeso, Adele si è data tempo fino a dicembre per decidere: «Quando mi sono seduta a riflettere mi sono detta: “Cosa posso dare di veramente nuovo?”. La risposta è stata ovviamente: “Un tour”. Perché non l’ho fatto ancora nel modo giusto». Per come la vede lei, questo disco potrebbe essere l’ultima occasione. Quando Angelo andrà a scuola, lei non ha nessuna intenzione di portarlo in giro per il mondo. Ha sempre sofferto di ansia da palcoscenico, in particolare ha paura di aprire la bocca e non sentire uscire la sua voce. Il che è strano, perché ha già perso e ritrovato la voce: «Sì, ma non è successo durante un concerto». Ogni tanto ha anche la visione di lei che esce sul palco e si trova davanti solo cinque persone. Teme di avere ancora problemi alla gola: «In quel caso non sarò più in grado di fare un tour, forse posso rimetterla a posto e lavorare in studio. Ma ho veramente voglia di fare una cosa, fallire e spaventarmi tanto da non riprovarci mai più?». In ogni caso promette che farà anche i vecchi pezzi: «Sarò sempre una ragazza di 21 anni. Essere definiti da un disco è il sogno di ogni artista. Quando vado a vedere alcune band, non dico quali perché non importa, e non fanno nessuna delle loro hit, mi infastidisco parecchio. Stronzi». Poi spiega: «Al pubblico non interessa tutto il tuo repertorio, vogliono sentire quella canzone che gli ricorda qualche momento della loro vita. Ti portano nel cuore e questa è la cosa più bella di tutte». Sorride, con gli occhi che si accendono per tutta la musica che rimane da fare: «E tu devi cantare quella canzone».

Questo articolo è pubblicato su Rolling Stone di dicembre.
Potete leggere l’edizione digitale della rivista,
basta cliccare sulle icone che trovate qui sotto.
Iscriviti