Abbiamo chiesto a un vero punk cosa pensa del disco di Machine Gun Kelly | Rolling Stone Italia
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Abbiamo chiesto a un vero punk cosa pensa del disco di Machine Gun Kelly

L’influenza di Travis Barker, l’Auto-Tune, l’immaginario emo, 'Sid & Nancy': ecco 'Mainstream Sellout' visto da Glezös, un bel nome del punk italiano. «È punk da autogrill, ma non facciamone un bersaglio»

Abbiamo chiesto a un vero punk cosa pensa del disco di Machine Gun Kelly

Machine Gun Kelly

Foto: Jordi Koalitic

È uscito da qualche giorno Mainstream Sellout, il nuovo album di Machine Gun Kelly, rapper convertito alle chitarre elettriche sull’altare del guru Travis Barker (il batterista dei Blink-182) e definito ora “il principe del pop-punk”. Punk, appunto, è un termine ormai usato spesso per definire il sound di MGK e di altri artisti molto spesso con un background o un passato legato al rap o al pop, tanto che in qualche maniera si parla di ritorno del pop-punk. Ma proprio perché di punk si parla, abbiamo chiesto a Glezös – grande collezionista e appassionato del genere, punk della primissima ora (uno dei primi in Italia negli anni ’70), ma anche musicista, producer, scrittore e giornalista – di ascoltare con noi Mainstream Sellout. Gli abbiamo chiesto le sue impressioni.

Partiamo dal nocciolo della questione: questo è davvero (pop) punk?
Beh, per il significato che rivestono i termini pop e punk nel 2022 direi che è una definizione fin troppo ovvia. Anche perché non è più una questione di suono, contenuti o quant’altro abbia motivato il punk primigenio, quello del 1976/77, che con questo tipo di prodotto c’entra ovviamente come i cavoli a merenda. Del resto, quando la versione riedulcorata del punk alla Green Day/Blink-182 si trasforma in commodity e fa di te un milionario, in quale altro modo si potrebbe definire un album come questo?

Parliamo di suono e produzione: cosa ne pensi?
Penso che Travis Barker abbia fatto un lavoro di livello, e considera che non amo particolarmente il suo sound. Tutto fluisce come deve in questi casi, nonostante il suono un po’ medioso tutt’altro che carico di frequenze basse, non richieste in album come questo, lo so, e la cosa mi dà anche un po’ fastidio: vuoi dire che mi sto abituando allo spregevole rock radiofonico? Devo dire di non condividere molte delle critiche a volte eccessive che ho letto e sentito in merito a MGK e al suo Mainstream Sellout (tipo: finto da capo a fondo, indisponente, per amor di Dio non chiamatelo punk, eccetera). È molto semplice: a meno che non si creda davvero che questo album si rivolga a punk degni di questo nome di ieri, oggi e domani, non credo proprio sia il caso di sparare a zero sempre e comunque su Machine Gun Kelly. Viene dal rap, fa l’attore, sta con Megan Fox e ha fatto i milioni: non è punk, perfetto, quindi aggiungiamoci una “y” finale, chiamiamolo punky e non scherziamo. Vogliamo farne addirittura un bersaglio sottoculturale?

Dal punto di vista della produzione, però, un paio di cose a Travis Barker le direi: Non se ne può davvero più di tonnellate di Auto-Tune a cascata su ogni voce che passa nei paraggi, e questo album lo conferma. E poi: va bene l’immaginario pseudo emo/autolesionista nei testi, ma arrivare a includere un brano intitolato Sid & Nancy è un po’ troppo anche per noi di buon cuore e memoria lunga. Come ciliegina sulla torta (forse perché non amo i featuring/collaborazioni/ospitate o come le vogliamo chiamare), trovo che la partecipazione dei vari Lil Wayne, Horizon, Willow, Blackbear eccetera sia la prova che – come dicono a Roma – le sòle non arrivano mai sole. Machine Gun Kelly escluso, beninteso.

C’è qualche brano che ti ha colpito nel disco, in positivo o in negativo?
Più che i brani in quanto tali è Travis Barker a farmi drizzare le orecchie: ad esempio, la figurazione ritmica della batteria nel drive del brano d’apertura, Born with Horns, è notevolissima, così come le parti che si susseguono in Maybe e in altri pezzi. Sia come drummer che come produttore, il suo sagacissimo utilizzo delle pause unito a groove – che, nonostante il genere, rimandano persino a Budgie (Slits, Siouxsie & The Banshees) – sono un display di musicalità che giustifica il titolo di primo vero superstar punk drummer e di produttore più che sgamato. Dal punto di vista dei singoli brani, Born with Horns ed Emo Girl sono singoli ovvi, ma forse dalla gittata un po’ corta. Il resto è una mitragliata di melodie punky-pop mid tempo con la voce di MGK che lavora meglio sul registro medio-basso sempre in primissimo piano: se Sid & Nancy grida vendetta, quando Machine Gun Kelly occhieggia alle sue radici hip hop (Die In California, Ay!) mi lascia del tutto indifferente.

MGK è diventato il principe del pop-punk per i media statunitensi. Tu cosa ne pensi? È solo un fenomeno mediatico e di marketing o ha un fondamento?
Non è automatico che un fenomeno costruito su un robusto marketing non abbia un senso. Se parliamo di autenticità… beh, in questo caso siamo a zero sparato, ma non è questo il punto. Ovviamente, Machine Gun Kelly corrisponde all’identikit del punk da autogrill. Piuttosto, non voglio pensare cosa devono avere provato i Ramones davanti al grande successo e alla montagna di soldi che hanno coperto band caratterizzate dallo stesso approccio punk melodico che i quattro finti fratellini avevano inventato, senza raccogliere nemmeno lontanamente i frutti maturati sull’albero chiamato “sdoganamento”. Dobbiamo tenere presente che anche negli anni ’90 rendere vendibile il punk – anche nella sua innocua riverniciatura pop – rimaneva impresa ardua soprattutto negli Stati Uniti, dove a fine anni ’70 un album di una qualsiasi band in odore di new wave veniva spedito alle radio con la famosa indicazione “non chiamatelo punk” rivolta ai dj. Troppo e troppo presto, dicevano i New York Dolls: poi passano gli anni, si riprova con facce più carine, immaginario innocuo, melodie presentabili e un bel po’ di soldi… e guarda come va a finire.

MGK arriva dal rap e non è il primo di questa generazione di giovani rapper a fare il salto verso le chitarre elettriche e a diventare (almeno per la stampa mainstream) punk. Tu cosa ne pensi?
Penso che parte del problema sia il rap/hip hop come genere in sé. Qualcuno tra i suoi esponenti, col tempo, ha evidentemente iniziato ad annoiarsi, dando di fatto credito all’adagio che recita “il rap è il genere musicale che ha prodotto solo un brano”, frase molto meno paradossale di quanto sembri di primo acchito. Mettici la novità (per loro) del ritorno alle chitarre elettriche, a una musica suonata, alla melodia abbinata a un rock tagliato con l’accetta e non strettamente legato al blues – tutte cose che le band punk vere e proprie conoscevano e conoscono bene – ed ecco che, dopo più di quarant’anni arriva Machine Gun Kelly. Al momento le idee sembrano pochine e un po’ confuse: non so se questa tendenza a “saltare di là” continuerà, se avrà successo su larga scala o se si rivelerà significativa al di là dei bonifici.

Abbiamo nominato il rap. Passiamo un secondo alla trap: ma quella cosa che andava di moda dire un paio d’anni fa, cioè che la trap è il nuovo punk secondo te ha mai avuto/ha senso?
No. Non per la trap di per sé, ma per l’abitudine imperterrita nel dire che una cosa è la nuova versione di un’altra, con l’aggravante di un latente senso di inferiorità. Tutto quello che è venuto dopo è sempre stato paragonato al punk, che è stato e resta l’ultima frontiera. Hai mai sentito dire che la trap è il nuovo grunge?

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