A casa di Weyes Blood, per capire cosa c’è dietro uno dei dischi dell’anno | Rolling Stone Italia
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A casa di Weyes Blood, per capire cosa c’è dietro uno dei dischi dell’anno

È uscito 'And in the Darkness, Hearts Aglow' e, vedrete, finirà nelle liste dei migliori del 2022. Siamo stati ad Altadena, nella Contea di Los Angeles, per farci raccontare da Natalie Mering lo spirito di questo suo «romanzo romantico» in musica

Foto: Neelam Khan Vela

Natalie Mering, in arte Weyes Blood (si pronuncia Wise Blood, come il romanzo di Flannery O’Connor), ha una passione per il giardino botanico della Huntington Library, a Pasadena. Voleva fosse quello il luogo del nostro incontro e aveva già acquistato i biglietti per l’occasione, ma oggi è uno dei tre giorni all’anno in cui l’acqua cade a secchiate dal cielo californiano.

Esaurite le imprecazioni di turno, eseguo il piano B: andrò a trovarla nella sua casa in Altadena, a un universo e mezzo di distanza da Los Angeles. Non solo in termini di chilometri, mi riferisco soprattutto all’atmosfera che si respira da quelle parti: appena a nord di Pasadena, Altadena è una cittadina indipendente con pochi abitanti e una forte identità. È circondata da riserve naturali, dalle montagne e i laghi di San Gabriel, e per chi ci vive, non è raro trovarsi faccia a faccia con dei pavoni nel giardino della propria abitazione.

Mering, nata a Santa Monica, cresciuta in Pennsylvania e vissuta in diverse città americane da Portland a New York, ha una casa piuttosto grande ma io visiterò solo una stanza, l’unica che mi interessa. «Qui è dove faccio le mie jam», dice accogliendomi nell’amplia camera insieme a Luigi, un piccolo rescue dog che supervisionerà la nostra intervista. Perché Luigi? «Perché io sono Mario e lui è il mio compare», fa lei, ridacchiando.

Quando mi guardo attorno, è come se la stanza rivelasse i segreti del suo songwriting, in cui atmosfere del passato si fondono con intuizioni futuristiche, disegnando paessaggi sonori eterei, dolci, ma anche barocchi e traboccanti. L’ambiente è dominato da un pianoforte a coda in legno antico in cui sopra la musicista ha adagiato una drum machine; nell’angolo ci sono una chitarra vintage e uno string synth, ovvero il sintetizzatore che si usa per creare arrangiamenti con gli archi. E sarà per via del sentimentalismo mosso della pioggia scrosciante fuori dalla finestra o per la saggezza che la 34enne infonde con il suo portamento deciso, ma sento di avvertire la magia da lei creata dentro queste quattro mura: «Suono per ore e ore, giorno dopo giorno; poi riascolto tutto e mi rendo conto se ho una canzone tra le mani».

Così nasce il nuovo, quinto album And in the Darkness, Hearts Aglow, seguito dell’acclamato Titanic Rising e come quest’ultimo, co-prodotto dalla stessa Weyes Blood insieme a Jonathan Rado. Se Mering compone musica da circa 20 anni, ha lentamente costruito un seguito di fan adoranti, incluso John Cale che l’ha voluta ospite nel suo nuovo singolo Story of Blood. È solo con il nuovo album che Mering ha accesso a uno studio di registrazione leggendario: l’EastWest di Sunset Boulevard, dove, tra gli altri, i Beach Boys hanno registrato Pet Sounds. A proposito di mura che parlano: «Le stanze d’ascolto dello studio sembrano musei, ti accorgi di essere in un posto sacro e speciale. Ma qualche session l’abbiamo fatta anche allo studio casareccio di Jonathan Rado, dove potevamo dare sfogo al nostro lato più primitivo e meno professionale».

Ammette che questo è il suo album più personale di sempre ma non approfondisce il perché (lo scopro dal lungo articolo sul New Yorker: si riferisce alla fine di una storia con un musicista di cui era «follemente innamorata» durante la pandemia). Non sono canzoni immediate, come non lo è un songwriting complesso che in pochi attimi tocca una moltitudine di note su e giù per il pentagramma, ma dopo qualche ascolto, sono brani che restano incollati addosso, anche grazie a una voce dalla qualità magnetica.

«Nessuno è in grado di ascoltare davvero la propria voce, e quando sento la mia: yikes! Mi viene da storcere la bocca», confessa la musicista. Com’è invece percepita dalle orecchie degli altri, si potrebbe riassumere con il commento geniale di un fan online: «Ascoltare Weyes Blood è un po’ come leggere un classico di letteratura mentre gran parte della musica odierna suona come un tascabile da due lire».

Come nasce il nuovo album?
Ero ancora alle prese con il tour per Titanic Rising quando è iniziata la pandemia, dunque ho iniziato a scrivere i nuovi brani nella sorta di vuoto creato dal lockdown. Quando abbiamo cominciato a registrarlo nel 2021, indossavamo ancora le mascherine ed eravamo tutti mentalmente esausti. Poi le cose sono andate migliorando, si sono tolte le maschere e si è preso il via. Così abbiamo registrato abbastanza musica per due album, è stato fantastico, come un’esplosione.

In che modo sei stata influenzata dal lockdown?
È un disco focalizzato sull’interiorità perché non c’era nessun altro posto dove andare se non dentro se stessi: accedere a quel fiume sotterraneo di vulnerabilità e intimità. È stato come piangere le lacrime di tutto il mondo: potevo sentire che ciascuno era rotto dentro e che ci sarebbe stato un cambiamento irrevocabile dopo cui nessuno sarebbe più stato lo stesso. Ho toccato temi come l’iper-isolamento, la disintegrazione della struttura sociale e la sua conseguenza sulle relazioni. È il romanzo romantico di una sorta di trilogia iniziata con Titanic Rising e che finirà con un album più futuristico e di speranza.

Foto: Neelam Khan Vela

Il sound che ne esce è meraviglioso. Qual è stato il tuo lavoro di produttrice?
Penso alle melodie come fossero emozioni e in fase di produzione è come si creasse un piano quadrimensionale, come il cubo di Rubik, quando tutto cade nel posto giusto: arrangiamento, melodia, testo, tutto conferisce una stessa emozione. Se dal processo esce un suono grandemente orchestrato, mi piace degradarne la fedeltà, magari copiando tutto su un nastro o simili. Manipolo il suono in modo che l’effetto sia un viaggio nel tempo.

Nel brano The Worst Is Done ti sentiamo cantare: “Dicono che il peggio sia passato ma io credo sia solo iniziato”. Hai un’inclinazione pessimista?
Non penso. Il pessimista crede che tutto sia terribile e moriremo presto mentre l’ottimista ha fede cieca che tutto magicamente si risolverà, dunque sono poli opposti che appartengono allo stesso genere d’ignoranza. Io mi sento nella via di mezzo. Ma credo sia onesto ammettere che stiamo ancora soffrendo le conseguenze della pandemia. Questo non è che l’inizio di dolori destinati a crescere poiché ci stiamo immergendo in territori del tutto incerti con il climate change e con la tecnologia. Non credo che la gente capisca appieno gli effetti di quest’ultima sulla propria psiche, e sta avanzando così in fretta che non riusciamo a stargli dietro. Dunque voglio parlare di questi argomenti prima che ne saremo del tutto sommersi. Perché prima o poi ne dovremo parlare, non si sfugge.

Al supermercato vedo già la possibilità di pagare la spesa con il palmo della mano…
Il marchio della bestia!

Queste tematiche sono da sempre presenti nelle tue canzoni, ma è vero che la situazione sta precipitando…
E siamo tutti complici, nessuno boicotta nulla, è molto difficile prendere le informazioni astratte che abbiamo a disposizione e trasformarle in un’azione che porti cambiamento. È tutto così decentralizzato che non si sa neppure cosa fare, dipendiamo dai nostri smartphone, dai combustibili fossili e tutto il resto. Bisognerebbe distaccarsi completamente dalla società per provare il proprio punto. Viviamo un’era interessante in cui dobbiamo capire cosa fare a livello individuale, perché ci è stata tolta così tanta autonomia e potere.

Infatti ti vediamo come una moderna Frank Sinatra in Due marinai e una ragazza, danzare a fianco di uno smartphone animato in It’s Not Just Me, It’s Everybody. Dirigi ancora tutti i tuoi video?
Gli ultimi li ho co-diretti con altri registi perché non ho avuto il tempo materiale di fare tutto da sola. Ma è ancora una mia grande passione quella di dirigere e un giorno vorrei fare sia un corto che un film tutto mio.

A proposito, ho letto che hai curato da poco un festival di cinema a New York
Si trattava di programmare un weekend di film in un teatro molto carino, il Roxy. È stato fantastico il Q&A con il pubblico perché prima non mi era mai capitato di confrontare i fan in quel modo e insieme parlare di temi simbolici e archetipi, che in fin dei conti, è ciò di cui tratto nelle mie canzoni. Mi sono divertita a far vedere ai miei fan cose come Possession, un film piuttosto inquietante.

Quali sono i tuoi preferiti italiani?
È scontato, ma dico La strada. Mi piace Dario Argento e tutti i classici. Mi è piaciuto anche Dellamorte Dellamore, è uno strambo film horror che alla fine diventa piuttosto filosofico e profondo. Mi piace la dissonanza dei due toni, mi piacciono le cose che appaiono in un modo e finiscono in un altro, fondendo due mondi apparentemente poco compatibili.

Come quando nelle tue canzoni affronti con humour tematiche dark…
Credo sia importante per un artista essere come un alchimista che trasforma il piombo in oro. Prendere due cose incompatibili e fonderle insieme perché alla fine la realtà è fatta di questo: è la frizione che sentiamo con la nostra coscienza, essere così consapevoli da andare, in un certo senso, contro il fine stesso della sopravvivenza.

Foto: Neelam Khan Vela

Sei cresciuta in una famiglia molto religiosa, ma da teenager sei finita a cantare in una band chiamata Satanized…
Il pendolo oscilla… quando si cresce repressi, tra dogmi religiosi, poi si può finire dalla parte opposta.

Dalla musica noise dei Satanized a quella eterea che produci oggi: il tuo è stato un viaggio sonico piuttosto radicale…
In realtà ho sempre scritto canzoni in linea a quelle odierne ma c’è stato un momento in cui ho creduto che la noise fosse innovativa e rappresentasse la nuova frontiera della musica moderna. Ero teenager, ossessionata dalla musica e il mio cuore era stato rapito da quel genere, pensavo fosse il suono del futuro. Non sono stata io a scegliere i Satanized, ma loro a scegliere me, perché ero hyper ed entusiasta, ma non ho mai flirtato con il goth, la magia nera o altri culti oscuri. I concerti noise avevano un’energia palpabile nell’aria e per me è durata una stagione, ma ho sempre dato il meglio con le canzoni fatte di belle melodie.

Dove ti porta oggi il tuo cammino spirituale?
È come una cosmologia patchwork di tutte le religioni. Dopo avere denunciato il cristianesimo, mi sono addentrata nel buddismo e nelle filosofie orientali ed è stato interessante ma non volevo essere un’imperialista culturale. Dunque ho studiato sia la mitologia che pensatori come Carl Jung e Joseph Campbell, osservando ogni cosa attraverso gli archetipi che emergono dalle svariate culture del mondo, come i temi buddisti presenti nel Nuovo Testamento della Bibbia. Per me sono segnali che, a volte, andiamo nella giusta direzione.

Vedo un libretto di Max Ernst appoggiato sul leggio del pianoforte e penso che la tua musica è molto visiva…
Quel libretto l’ho comprato quest’estate in vacanza in Liguria (si alza e me lo passa, nda). È sempre tutto sul piano visuale per me, penso alla musica come fosse una colonna sonora del film della vita. Alla fine tutto si riconduce ai sogni che sono come film manipolati dall’inconscio e io ne faccio di intensi e bizzarri. Specialmente da teenager quando nei sogni vivevo universi ricorrenti, con una propria geografia e personaggi che esistevano solo in quella dimensione onirica. Quando mi svegliavo mi sentivo tradita dalla realtà. Negli ultimi anni i miei sogni sono diventati più dark del solito e sempre molto strambi.

Vieni spesso paragonata a Joni Mitchell, che tra l’altro so essere stata una vecchia fiamma di tuo padre prima che conoscesse tua madre.
Già, mia mamma ne era lusingata quando l’ha scoperto… Sono lusingata anch’io del paragone, ma all’inizio per me Joni Mitchell era la musica amata dai miei genitori, erano loro che la suonavano dentro casa e per questo alle elementari ero finita a cantare la sua California in un talent show. È stato solo più tardi, verso i 20 anni che mi ci sono addentrata nella sua musica da sola e sono diventata una vera fan.

Parlami invece della tua vacanza in Liguria.
Dopo il Primavera Festival sono andata a Levanto con un’amica che è fidanzata con un italiano e lui ci ha fatto da guida, dunque ci ha saputo mostrare i posti giusti. Mi sono sentita in piena sintonia con il vibe italiano: c’è una sinergia perfetta tra apprezzamento della bellezza e stile di vita. Ne sono uscita ispirata.

Un messaggio ai tuoi fan italiani?
Congratulazioni, avete un bellissimo lifestyle! Ora so perché vi lamentate del governo, ma non volete mai andarvene. Non sono bene informata sulla vostra situazione politica ma… vi auguro il meglio.

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