30 anni fa usciva 'The Stone Roses', il debutto più ambizioso del britpop | Rolling Stone Italia
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30 anni fa usciva ‘The Stone Roses’, il debutto più ambizioso del britpop

Nel giorno del compleanno del primo album del quartetto di Manchester, rileggiamo l'intervista con cui RS presentava “la migliore band britannica dai tempi degli Smiths”

30 anni fa usciva ‘The Stone Roses’, il debutto più ambizioso del britpop

The Stone Roses

Foto: Mike Prior/Redferns

L’articolo che state per leggere è stato pubblicato su Rolling Stone il 31 maggio 1990.

«Quello della scena di Manchester è un mito utile a vendere prodotti, non importa se dischi o giornali», dice John Squire. A poche centinaia di miglia a sud di Manchester, il chitarrista degli Stone Roses siede in una steakhouse londinese con gli altri musicisti della band, cerca di scrollarsi di dosso l’aria della città natale. «Hanno creato una scena farlocca, qualcuno l’ha fatto», aggiunge il bassista Mani. «Non ci siamo mai sentiti parte di una cosa del genere».

Al di là delle loro reticenze, gli Stone Roses sono la band più famosa uscita dalla scena di Manchester dai tempi degli Smiths. Hanno vinto in tutte le categorie principali dell’ultimo sondaggio di New Musical Express e hanno un ottimo profilo negli Stati Uniti, dove i gruppi della loro città natale diventano star mondiali. La band ha anche i suoi critici, ma tutti sono d’accordo su almeno una cosa: gli Stone Roses scrivono belle canzoni, e hanno un potenziale commerciale che manca a tutti i loro vicini.

A Londra per il mix di un nuovo singolo (e per comparire in tribunale dopo aver vandalizzato gli uffici della loro etichetta, colpevole di aver pubblicato un videoclip senza la loro autorizzazione), i Roses cenano e discutono – spesso sussurrando con tono monocorde – di quanto siano davvero grandiosi. «Siamo convinti di essere, almeno dai tempi dei Sex Pistols, l’unico gruppo britannico degno di essere esportato», dice il cantante Ian Brown.

Fin dall’inizio, l’atteggiamento degli Stone Roses era questo. «Non ho mai voluto fare il cantante pop», dice Brown, «ma ho sempre guardato trasmissioni pop e sapevo che avrei potuto fare meglio di chi era sullo schermo. Amo ancora guardarli, osservare come si rendono ridicoli quegli idioti del cazzo. Mi piace che un gruppo possa diventare di successo, e che con il tuo modo di essere puoi smascherare le stronzate degli altri. È questo che voglio fare».

Neil Fitzpatrick, della band di Manchester Distant Cousins, ricorda di aver condiviso la sala prove con i Roses a metà degli anni ’80. «C’erano buchi nei muri», dice, «e strambi graffiti che dicevano “the Stone Roses are a fucking Great shit house motherfucking King rock band”. Noi rispondevamo: “Oh, sul serio?”».

Poi, quando la band ha sistemato il suo materiale e cambiato il suo suono dal classico hard rock a un pop influenzato dagli anni ’60, altri graffiti, purtroppo meno coloriti, popolarono le mura degli edifici di Manchester. Gli Stone Roses sono diventati famosi suonando in rave nascosti nei magazzini di Manchester, e quando il loro album è finalmente uscito, lo scorso anno, i brani più melodici come Elephant Stone e She Banks the Drums li hanno immediatamente catapultati in classifica e in radio, conquistando i fan degli Smith con le loro melodie, i rocker con il loro atteggiamento scontroso, e le giovani ragazze inglesi con il loro goffo bell’aspetto. (Hanno catturato anche l’immaginazione dei tabloid britannici, che notarono come Elizabeth My Dear alludesse all’omicidio della Regina). Il singolo successivo, il funk appoggiato di Fool’s Gold, ha aperto la strada del pubblico delle discoteche.

«Crediamo che chiunque possa fare qualsiasi cosa, e che tutti possano diventare delle star», dice Brown. «È evidente guardando i nostri concerti. Sembra che tutti siano rinchiusi in una stanza per celebrare qualcosa – forse il semplice fatto di essere vivi».

Ora la band sta pianificando un tour americano, il secondo album – e, ovviamente, di diventare ancora più famosi. «Non vogliamo restare un fenomeno inglese», dice Squire. «Ci sono un sacco di band britanniche che vanno bene in America», aggiunge Brown, «ma noi siamo meglio, quindi vogliamo che gli americani ci vedano e ci sentano, certo. Essere famosi a New York è importante quanto lo è a Manchester».

Se gli chiedi cosa vogliono diventare, Brown dice: «Credo che nessuno sia diventato famoso quanto vogliamo diventarlo noi». La sua voce non tradisce le ambizioni delle sue parole. «Voglio visitare più posti che posso. Incontrare il maggior numero possibile di persone. Cambiare il mondo. Tutto».