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Il Virus che ha infettato Milano negli anni ’80

Un libro ripercorre la storia del collettivo punk anarchico Virus tramite volantini, manifesti, fanzine d’epoca. «Per stimolare la ricerca accademica su luoghi che hanno segnato la cultura italiana»

Dal libro 'Virus - Il punk è rumore 1982-1989'

Milano, fine anni ’70. In quella che diventerà la città “da bere” überedonista e craxiana, alcuni giovani non allineati – coinvolti dalla forza propulsiva dei fermenti punk di qualche tempo prima – sono in cerca di spazi da gestire in autonomia. Alternative alla pappa omogeneizzata propinata da televisione, istituzioni e sistema. Luoghi che offrano qualcosa di differente rispetto alla discoteca, alla logica commerciale del profitto, alla cultura da bar, allo struscio del sabato pomeriggio e alla triade produci/consuma/crepa. Posti in cui, oltre a fare musica, arte, intrattenimento e aggregazione si parli di temi caldi come antimilitarismo, nucleare, lotta contro l’eroina, gli orrori della vivisezione, il diritto alla casa, la ribellione alle brutture del sistema carcerario, l’opposizione a un sistema scolastico rigido e ottuso.

È da queste esigenze tanto prepotenti, quanto inascoltate, che nel 1982 nasce l’esperienza Virus, un nome destinato ben presto a divenire quasi sinonimo di punk, legato all’idea di un luogo davvero alternativo. La storia del collettivo del Virus – che muove i primi passi intorno al 1980 senza avere ancora un nome definito, preferendo inizialmente adottare la definizione di “punks anarchici” o “gruppo punx anarchici” – è oggetto di un volume fresco di stampa. Il titolo è Virus – Il punk è rumore 1982-1989 è curato da Giacomo Spazio (artista, grafico, discografico) e Marco Teatro (artista, pittore, scenografo, pioniere della street art milanese), pubblicato da Goodfellas Edizioni nella collana Spittle.

Il nucleo che darà vita al Virus nasce dopo alcuni tentativi di aggregazione andati male in luoghi pubblici, per strada. I giovani punx meneghini trovano poi nella ex fabbrica occupata che ospita il Vidicon, un locale alternativo di area new wave, il terreno più adatto e l’apertura mentale necessaria per creare una sede fisica a cui finalmente fare riferimento. È in quell’edificio di Via Correggio 18 che inizia a vivere il Virus, che nei sette anni seguenti sarà costretto, per via di due sgomberi, a cambiare sede, trasferendosi prima in Viale Piave 9 e poi in Piazza Bonomelli.

Dal libro ‘Virus – Il punk è rumore 1982-1989’

Virus – Il punk è rumore 1982-1989 fotografa l’epopea del Virus utilizzando solo documenti dell’epoca (quindi volantini, manifesti, fanzine, flyer): nessun saggio, nessun testo critico o esplicativo (se si escludono due brevi introduzioni, in lingua italiana e inglese, per contestualizzare il tutto). Il motivo lo spiega Giacomo Spazio durante una chiacchierata telefonica: «Il nostro vero lavoro è consistito nella ricerca dei materiali, che è durata praticamente due anni. Ad animarci è stata l’idea di documentare l’esperienza del Virus evitando ciò che è successo in alcune occasioni antecedenti, in cui persone estranee alla nostra cultura – che potremmo definire, generalizzando, punk – hanno manipolato l’argomento. E pretenziosamente – uso questo termine di proposito – desideriamo che questo testo divenga la base perché s’inizi a studiare seriamente e in modo accademico un fenomeno che ha permeato la cultura italiana in vari modi, generando artisti, musicisti, scrittori, giornalisti… quindi indagare sulla questione ampissima di quale magma sia in grado di sviluppare un centro sociale. E non solo il Virus, ma anche gli altri importanti che sono nati in Italia, come ad esempio El Paso a Torino o realtà come il Granducato Hardcore in Toscana».

Continua Spazio: «Il Virus ha sviluppato tutta una serie di tematiche tramite molte attività, ma anche comunicandole attraverso i suoi volantini e documenti. Temi come la comunità, il potere, l’immobilismo, la crisi energetica, la necessità degli spazi, l’espressione artistica e quella musicale, il do it yourself e l’autoproduzione ribollivano nel calderone di un centro sociale come il Virus, che se osserviamo bene troviamo ancora ben presenti e vive ancora oggi. E dall’interesse che sta generando il libro a Marco e a me piacerebbe che nascesse un impulso a studiare anche tutte le altre realtà di centri sociali e spazi occupati, nell’ottica di cancellare il pensiero che siano solo luoghi da abbattere, capendo invece che all’interno di queste situazioni cova un nugolo di idee anche contrastanti, ma che comunque forniscono le basi per persone che in futuro potranno dialogare nella società… non contro la società, ma dentro essa. Come accennavo prima, da questo ambito sono usciti anche dottori, psicologi. E sarebbe ora che i nostri sociologi e ricercatori universitari si dessero da fare in massa per studiare a fondo questi fenomeni».

Dal libro ‘Virus – Il punk è rumore 1982-1989’

A questo proposito, nel 1983 il documentarista e sociologo Damiano Tavoliere tenta di descrivere le realtà antagoniste in generale, fra cui anche quella del Virus. Il risultato del suo lavoro è il documentario Bande giovanili – Nuovi sentieri nella giungla metropolitana, che però manca l’obiettivo; o almeno lo manca, senza dubbio, secondo il punto di vista dei punx del Virus che rispondono con una critica assai dura. Mi spiega Spazio: «La cosa finì invischiata con un calderone di finanziatori e sfociò in un convegno sulle bande giovanili, quindi nuovamente all’interno di questo gioco terribile, che tuttora i media a volte fanno, per cui si mischia tutto quanto indiscriminatamente e tutto diventa fenomeno da baraccone. Mentre in quel caso, per le persone che facevano parte del collettivo, in gioco c’era la loro vita stessa, la loro autodeterminazione. Questo documentario diede impulso anche a una sorta di ricerca sociologica e, durante il convegno di presentazione dei risultati di questo sondaggio, ci fu una dura contestazione». Allo stesso modo dai documenti emergono forti polemiche con la stampa musicale specializzata, colpevole di ridurre una realtà come il Virus a semplice luogo di fruizione di concerti – cosa vera, ma solo in parte, come già accennato.

Dal libro ‘Virus – Il punk è rumore 1982-1989’

L’aspetto legato a sale prove, spazi per far suonare live le band e diffusione di materiale audio autoprodotto/indipendente è comunque uno dei più vivi e ricchi di fermento nella realtà del Virus – anche per la capacità di coinvolgere facendo leva su una passione come la musica. E infatti nelle varie sedi del collettivo si susseguono iniziative con live di gruppi principalmente di area punk e hardcore punk, ma anche metal: i manifesti e i volantini d’epoca testimoniano il passaggio, su quei palchi, di nomi anche storici, sia made in Italy (Kina, Wretched, CCCP, Negazione, Upset Noise, Indigesti, Impact, CCM, Crash Box, Bloody Riot, Rappresaglia, Peggio Punx) che stranieri (MDC, Amebix, Disorder, Bastards). Il tutto sempre a prezzi popolari, in aperta opposizione alla logica del profitto che regola i concerti nei locali istituzionali e che, approfondisce Spazio, «trasforma tutto in merce e ti accarezza così tanto da farti credere che, comunque, tu possa essere sempre te stesso anche all’interno di un sistema e di una via stabilita».

Proprio l’aspetto musicale è quello che segnerà, in un certo senso, l’intera parabola del Virus. Parabola che, dopo avere raggiunto il suo apice intorno alla metà degli anni ’80, va lentamente e declinare fino ad incontrare una sorta di fine naturale nel 1989. «L’impulso andò scemando e il luogo (l’ultima sede, quella in Piazza Bonomelli, nda) fu lasciato» spiega Spazio. «Se noti, gli ultimi volantini legati al Virus mostrano che era cambiato qualcosa. Anche nella società c’erano stati mutamenti: era proprio cambiato il periodo, il tempo. E infatti il Virus verso la fine era divenuto più un posto d’intrattenimento che altro, anche se si trattava di un intrattenimento alternativo a quello offerto dai luoghi standard, dove venivano praticati prezzi alti».

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