Il suono della DDR: come funzionava la musica dietro il Muro di Berlino | Rolling Stone Italia
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Il suono della DDR: come funzionava la musica dietro il Muro di Berlino

Dalle norme che regolavano il passaggio in radio delle canzoni internazionali fino all'arrivo del punk o delle prime crew hip hop: ecco come è nata una delle scene più interessanti della storia recente, oltre la cortina di ferro e il rumore dei picconi

Il suono della DDR: come funzionava la musica dietro il Muro di Berlino

Foto di Sean Gallup/Getty Images

Il toc-toc delle picconate al Muro nei pressi della porta di Brandeburgo continua a risuonare, ogni anno in particolar modo intorno al 9 novembre. Quest’anno, poi, il celebre ticchettio si è tramutato nel frastuono di fuochi d’artificio e fanfare, visibili allargando l’inquadratura a contemplare le celebrazioni per il trentennale. Amplificato dall’eco mediatico globale, il gran concerto delle celebrazioni di quel momento specifico e cruciale ha evidenziato, per contrasto, un silenzio discreto che si estende da un lato e dall’altro dell’evento stesso. Proprio quel silenzio, se ascoltato bene, ci propone un paesaggio che silente non è: si ritrova quindi la musica, le parole, le idee. Quel mondo che spesso abbiamo letto e definito per contrasto a quello che accadeva “al di qua” della cortina di ferro, aveva, sotto l’aspetto musicale, identità, cultura ed un’industria propri. Anche la cortina stessa, che Churchill volle “di ferro” (e che con tutta evidenza per certi aspetti era assolutamente ferrea), sotto alcuni aspetti aveva invece caratteristiche un po’ diverse, e permetteva a qualcosa di attraversare la barriera.

Ma iniziamo con ordine. Per poter ascoltare dischi, bisogna prima farli. E questo era compito, nella DDR, della VEB Deutsche Schallplatten, l’etichetta discografica di Stato. Fondata nel 1947, rinominata nel 1953, questa aveva 6 sotto-etichette, specializzate per genere (la più sostanziosa e conosciuta era l’AMIGA, che si occupava del repertorio pop), che produssero e commercializzarono tutta la musica disponibile nella DDR fino al 1989. La VEB Deutsche Schallplatten sarà poi, con la riunificazione nel 1991, smembrata e i cataloghi acquistati da altre etichette ed editori (BMG acquisirà gran parte del catalogo AMIGA), ma questa è un’altra storia, al di là del nostro spartiacque.

Nella DDR vigeva una regola nota come del 60/40, tesa a proteggere la produzione musicale autoctona, che limitava al 40% gli spazi dedicati a musica proveniente dall’estero nelle trasmissioni radio (specialmente il programma DT64) e nel numero di dischi stampati. Questo significa che, già negli anni ’60, oltre-cortina si ascoltavano Beatles e Rolling Stones, e spesso ci si imbatteva in versioni in lingua tedesca di hit occidentali (pratica molto diffusa anche in Italia), ed allo stesso tempo musicisti ed autori nazionali erano “protetti”. Questo permise lo sviluppo di un ricco panorama musicale, con gruppi molto popolari come i Die Puhdys (che vendettero 15 milioni di copie), i Karat i City e i Silly, formazioni art-rock come gli Stern-Combo-Meißen, formazioni in bilico tra blues-rock e new wave come i Pankow, più volte censurati ma che comunque furono in grado pubblicare una discografia importante e ricca. Sempre su AMIGA è uscito il primo successo di Nina Hagen, all’epoca appena diciassettenne (qualche anno dopo sarà incoronata madrina del punk a Londra): Du hast den Farbfilm vergessen (Hai dimenticato di prendere il rullino a colori). La sottocultura punk (e post) stimolò la nascita e la ricerca musicale di band come i Sandow, la cui Born in GDR divenne molto popolare, interpretata a tratti come un inno pro-DDR, a tratti come parodia critica. La band, per evitare fraintendimenti rifiuterà per molto tempo di eseguirla dal vivo, pubblicandola solo dopo la caduta del muro, con un testo leggermente modificato per evidenziare la natura parodistica dello stesso.

Negli anni ’70 in avanti l’uso di parolieri per scrivere i testi delle canzoni si diffuse molto, diventando prassi. I musicisti nella DDR erano muniti di un certificato che permetteva loro di esibirsi e registrare (Berufsausweis), un po’ come per i professionisti in Italia, che portava con se diritti e doveri. I parolieri non erano musicisti certificati, ed alcuni non lo erano neanche a livello amatoriale, quindi non erano soggetti alle regolazioni della categoria dei musicisti. I parolieri erano molto richiesti, ed oltre a scrivere i testi per gli artisti si occupavano di farli approvare al Lektorat (l’organo di controllo e censura governativo). L’essersi specializzati in scrittura e processi di approvazione con i membri del Lektorat permetteva loro di poter “giocare” su doppi sensi e significati stratificati (un esempio ne è Bataillon d’Amour dei Silly, scritto da Werner Karma e pubblicato nel 1986, utilizzato anche in una scena del film Il silenzio dopo lo sparo, di Volker Schlondorff, 2000). Sapevano fin dove potevano spingersi, e quali parole e concetti dovevano evitare o perifrasare per evitare l’intervento della censura.

In modo analogo al mondo occidentale, nella DDR esisteva una società di raccolta del diritto d’autore, chiamata AWA (il corrispettivo dell’italiana SIAE, della tedesca occidentale GEMA, della francese SACEM, della britannica PRS-MCPS e così via). Questa raccoglieva pagamenti per la riproduzione e la vendita dei dischi, e li redistribuiva sotto forma di royalties ad autori, etichetta e artisti, un terzo per parte.

Tra parolieri e musicisti a volte nascevano contenziosi, come il noto caso tra Kurt Demmler (considerato uno dei parolieri più famosi e prolifici della DDR, con 10.000 brani all’attivo) e la band Stern-Combo-Meißen, nel quale l’autore accusò la band di plagio per aver cambiato i testi per l’album Weisses Gold: scritti in prima battuta da Demmler ed approvati dal Lektorat, vennero riscritti dal cantante del gruppo, insoddisfatto dal lavoro di Demmler, e suonati dal vivo. Demmler fece causa alla band, accusandone il cantante di aver plagiato i testi, e chiese una percentuale delle royalties, che infine ottenne.

Electric Beat Crew - Here we come

C’è però una scena che colpisce più di altre. Sviluppatasi durante gli anni ’80, la scena hip hop tedesco-orientale è stata florida e diffusa, ha avuto un’espansione classica da sotto-cultura, spinta da materiale culturale che arrivava dagli Stati Uniti. Apparvero così crew di graffitari, DJ, rapper, e breakdancer che organizzavano feste, costruivano comunità, utilizzavano spazi pubblici aggregati attorno alla cultura hip hop. Se il regime della DDR era piuttosto sospettoso nei confronti prodotti culturali occidentali, nel caso dell’hip hop questo dimostrò un livello di tolleranza maggiore, permettendo alle giovani crew di svilupparsi, a patto che accettassero di essere monitorate e controllate, al di fuori delle istituzioni giovanili di massa della DDR (la FDJ). L’hip hop era visto dalle autorità socialiste come un’espressione della “cultura internazionalista proletaria dell’Altra America”, e fu il ministro della cultura stesso ad importare nel 1985 Beat Streets pellicola di Stan Lathan del 1984, prodotto da Harry Belafonte, sullo sviluppo dell’hip hop nel South Bronx.

La West TV aveva già trasmesso Wild Style di Charlie Ahean nel 1983. Questo doppio aspetto, di accettazione da parte delle autorità ed allo stesso tempo di sviluppo al di fuori della vita molto regolata nelle organizzazioni giovanili di massa pose l’hip hop in una posizione privilegiata nella produzione culturale pop di quegli anni. La Electric Beat Crew, fondata nel 1987 da Olaf Kretschmann (alias Master K) e Marco Birkner (alias MAC), sarà la prima ed unica band a realizzare e pubblicare musica hip hop in lingua inglese nella DDR. Here We Come, singolo tratto dall’ep Electric Beat Crew, uscito a inizio 1989, divenne subito una hit. Le influenze di Grandmaster Flash dell’Afrika Bambaataa di Planet Rock sono evidenti, e sarà uno dei brani più suonati in radio e in discoteca quell’anno, anche in virtù della regola del 60/40, applicato dalla AWA (che prevedeva che il 60% della musica riprodotta dai DJ fosse nazionale).

Nel 2006 Here We Come sarà anche il titolo di un documentario di Nico Raschick sulla breakdance nella DDR. Giusto per contestualizzare, il primo disco hip hop italiano, Let’s Get Dizzy dei Radical Stuff (anche questo in lingua inglese) sarà commercializzato anch’esso nel 1989. Se negli Stati Uniti l’hip hop si è sviluppato su un terreno fratturato e conflittuale quale quello del South Bronx negli anni ’70, creando un tessuto culturale flessibile e coesivo, che ha permesso a delle comunità di creare un mezzo proprio di costruzione dell’alternativa, forse in modo analogo la diffusione dell’hip hop nella DDR degli anni ’80 ha prodotto un risultato simile, creando un tessuto culturale attivo e ricettivo, in grado di elaborare un linguaggio comune per articolare alternative (sostanzialmente all’organizzazione giovanile di massa, la FDJ) non necessariamente antagoniste all’establishment, ma se mai complementari. Questo è in parte quel rumore di sottofondo di cui parlavamo all’inizio, un rumore di intensità enormemente inferiore rispetto al gran concerto del Muro in sé, ma di complessità e articolazione fenomenali.