‘Il sorprendente album d’esordio de I Cani’ spiegato a chi non c’era | Rolling Stone Italia
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‘Il sorprendente album d’esordio de I Cani’ spiegato a chi non c’era

Il debutto del gruppo di Niccolò Contessa usciva esattamente 10 anni fa. Synth pop da cameretta, melodie appiccicose, quotidiano geolocalizzato a Roma: è stato il primo, vero disco it-pop

‘Il sorprendente album d’esordio de I Cani’ spiegato a chi non c’era

C’era parecchia attesa, il 3 giugno 2011, intorno all’uscita de Il sorprendente album d’esordio de I Cani, tant’è che già dal titolo la one man band di Niccolò Contessa cercò di esorcizzare il tutto. E già questo era un segnale, eh. Chiaro, niente di troppo ricercato e soprattutto niente a che vedere con ciò che oggi avvolge ogni singolo di Calcutta e soci anche solo per numeri (banalmente, l’album fu presentato al Circolo degli Artisti, una storica venue della notte romana che a stento avrebbe potuto ospitare l’aftershow di un concerto it-pop da 800 paganti al Palazzo dello sport). Però si parlava già di hype e all’epoca per la musica indipendente italiana tanti riflettori in quel modo erano lo stesso una novità.

Anche la busta in testa con cui Contessa – allora uno sconosciuto 25enne di Roma – si presentava sul palco in quei giorni, per la prima volta davanti al pubblico nascondendo un’identità ancora ignota, dopo che i singoli I pariolini di 18 anni e Wes Anderson avevano fatto il panico su Soundcloud nel 2010, era più una trovata “filosofica” che una paraculata: la toglieva dopo qualche canzone, e la sensazione davanti a quel viso ordinario e a un gesto tanto naturale era che la faccia non fosse necessaria, e nient’altro.

Tutto questo, comunque, per dire che 10 anni fa non è che fossimo davanti a una rivoluzione eclatante, eppure la sensazione che qualcosa stesse cambiando per sempre – lentamente, un po’ alla volta – era intuibile. Certo, Tommaso Paradiso, Calcutta e Gazzelle hanno personalità e percorsi alle spalle profondi da non dirsi discendenti di un album così; ma è chiaro che, senza un passaggio del genere, la breccia non si sarebbe aperta e loro non avrebbero avuto lo stesso successo, perlomeno non subito. Per non parlare delle campagne di comunicazione: l’attenzione per l’aspetto pruriginoso, per il mistero e l’hype derivano da qui, per quanto per I Cani fosse tutto più spontaneo e naïf di quanto sembri.

I Cani - Wes Anderson

La breccia, però, appunto. Nel 2010 l’Italia viveva l’ultima grande “indipendenza”: gli ascolti erano ancora pochini, ma c’era una scena vera e per niente mainstream che gli Afterhours avevano raccolto ne Il paese è reale (2009); si tornava a cantare nella nostra lingua (il primo di Vasco Brondi, Canzoni da spiaggia deturpata, è del 2008 e con un raro riscontro di vendite aveva rimesso la chiesa al centro del villaggio) con risultati anche eccezionali (A sangue freddo de Il Teatro degli Orrori), e in più c’era una leva di cantautori che passava per Dente e Brunori Sas che rileggeva la musica d’autore in chiave indie-pop, fra Gaetano, Dalla e Battisti e l’onestà intellettuale a sopperire alla voglia di essere alternativi. Ecco, riallacciandosi al loro mood, I Cani – che come dicevamo appaiono in forma anonima nel 2010 su Soundcloud – rappresentarono un primo, vero punto di rottura come pure Turisti della democrazia de Lo Stato Sociale, che sarebbe uscito l’anno dopo ma per cui erano già in corso le prove generali. Nell’immediato, il suo impatto sarebbe stato maggiore, ma alla lunga è l’eredità di Contessa che ci è rimasta.

Per quanto ortodosso, infatti, Il sorprendente album d’esordio de I Cani è il primo disco it-pop di sempre. Per i suoni, che ruotano su un synth pop solitario e da cameretta (non a caso enfatizzato da una delle strumentali dell’album, Themes from the Cameretta) un po’ lo-fi, un po’ casuale, comunque affascinante e spigoloso nonché giusto per i live; per le melodie sfacciatamente catchy, appiccicose, cantabili; perché evitava i luoghi comuni della nostra musica indipendente; e soprattutto per i testi. Che ovviamente furono accolti con scetticismo, ma avevano dentro una dose di novità per cui il loro successo – anche solo come guilty pleasure, per quanto gli endorsement furono tanti ed arrivarono persino da Roberto Saviano – era roba di (poco) tempo.

Prima di Carl Brave e Franco126, prima di Gazzelle, Contessa fece scuola scattando delle fotografie (si usava già il termine Polaroid, che andava anche di moda) del mondo in cui era immerso, con una scrittura da prosa, asettica e distaccata, che è tutto un evocare situazioni, simboli e riferimenti di quegli anni, da un quotidiano geolocalizzato a Roma. Ci sono gli hipster – ma ve li ricordate? – che leggono David Foster Wallace al parco per posa (Hipsteria), i “fuorisede che ci provano con le bariste” (Door Selection), l’impero di contatti su Facebook, le coppie a cena al Pigneto (nella cinica Le coppie), l’underground capitolino e i suoi bizzarri personaggi realmente esistiti (Post punk), i locali, i primi social, i programmi di Santoro, i pariolini che “fanno le aperte coi motorini, odiano tutte le guardie infami”, una canzone con citazioni di Wes Anderson i cui film erano uno status quo. E poi il listone dello special di Velleità, riassuntone di un’epoca fra “falsi nerd con gli occhiali da nerd” e “nichilisti col cocktail in mano che sognano di essere famosi come Vasco Brondi” – e chi sennò, nel 2010?

I Cani - Velleità

Era la prima volta che qualcuno raccontava ciò in musica, ma era soprattutto la prima volta che qualcuno lo raccontava in quel modo lì. Tant’è che all’inizio si pensò che Il sorprendente album d’esordio de I Cani fosse un lavoro per una nicchia un po’ fighetta che ne cogliesse il background, ergo a malapena capace di uscire dal Raccordo; in realtà, un po’ per le melodie e un po’ per la freschezza della scrittura, arrivò in tutta Italia. Pure perché la Roma di Contessa era un microcosmo simile a Milano come alla provincia, sfondo di dinamiche solite del passaggio dai 20 ai 30 che sono le vere protagoniste del discorso, come l’incertezza, il rapporto di coppia, la frustrazione, le velleità artistiche, o come l’Infinite Jest sul comodino, la fila ai locali, gli amori dell’università. Neanche fosse La grande bellezza degli hipster, dei più o meno creativi della capitale di dieci anni fa, ma con un pass per il Paese. Ed è per questo che i brani risultano invecchiati un po’ nella produzione e tanto nei riferimenti (le categorie sociali di allora si sono estinte, il Circolo ha chiuso, Facebook è colonizzato dei boomer, la Gen Z ignora Flickr e affini, che pure qui hanno una centralità notevole), ma ancora godibilissimi, pieni di sfumature, in grado di parlarci.

La copertina di ‘Il sorprendente album d’esordio de I Cani’

Anche perché ovviamente non tutto l’it-pop seguente ha lo stesso afflato esistenziale di questo lavoro, pur ereditandone il mood, lo stile, il rapporto con l’estetica. Non a caso, se c’è una scena romana è merito di Contessa, che l’ha inventata dandole le coordinate quando l’indie-pop, nella capitale, era un tabù. Ma, neanche a dirlo, all’inizio fu difficile prendere le misure a un disco così: alcuni ne biasimarono l’oggettiva modestia musicale, altri lo paragonarono a un reboot degli 883 in maniera spregiativa; in tanti, soprattutto, tacciarono Contessa di eresia sulla scena indipendente, di essere puro fenomeno mediatico con zero sostanza, uno che sarebbe durato il tempo di qualche mese live.

Sappiamo com’è finita: Mainstream di Calcutta (a cui tra Niccolò stesso ha collaborato), Fuoricampo dei Thegiornalisti e Superbattito di Gazzelle hanno seguito quella rotta cambiando il pop italiano. E Contessa? Ha scritto altri due album anche migliori del primo (Glamour e Aurora, fra il 2013 e il 2016), è rimasto coerente dimostrando che non era il paraculo che si diceva, si è astratto dalla poetica del “qui e ora” e si è defilato anche dal successo dei palasport dei colleghi. Ora è in silenzio da tempo a parte una apparizione da Lundini, produce colonne sonore e dischi altrui (Tuttifenomeni, Coez), sui social è scomparso. E chi gli dava dell’eretico, con un po’ di nostalgia ne aspetta il ritorno, come fosse quello del messia.

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