Il senso di Laila Al Habash per il tempo | Rolling Stone Italia
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Il senso di Laila Al Habash per il tempo

La cantautrice italo-palestinese pubblica il nuovo EP 'Long Story Shot'. Ci siamo fatti raccontare le tracce una ad una

Il senso di Laila Al Habash per il tempo

Laila Al Habash

Foto press

Se dovesse spiegarci il significato del titolo del suo nuovo EP, Long Story Short, Laila Al Habash direbbe che l’ha scelto perché «ci sono poche canzoni, dura poco, ma dentro ci sono un sacco di storie».

La venticinquenne cantautrice italo-palestinese torna a tre anni da Mystic Motel e dopo un anno in cui le sono successe delle cose decisamente incredibili. Vi diciamo solo che è stata scelta da Chris Martin per aprire i concerti dei Coldplay a Napoli, ed ha avuto lo stesso onore anche con Lana Del Rey, a Lido di Camaiore (La Prima Estate). Nel mentre nasceva l’esigenza di pubblicare nuova musica. Ed ecco qui quindi Long Story Short, un disco a cui Laila tiene tantissimo perché «c’è tanto studio dietro. Sono stata molto attenta alla composizione di questo Tetris», ci dice sorridendo mentre siamo seduti al tavolo di un bar in zona stazione Centrale, a Milano. «Non posso prescindere dal significato delle canzoni, e cerco di metterci la stessa cura per tutti gli aspetti».

Sulla copertina di Long Story Short c’è una clessidra, appunto. Il tempo è diventato una componente molto, troppo presente nella vita degli artisti? Pare non ce ne sia mai. Bisogna pubblicare roba, essere nelle playlist, sui social. «Credo che sia molto difficile fare questo lavoro in questo senso. Non vuole essere una frase piangina però sì, il tempo ha un valore sempre più importante in questo lavoro. Ce n’è poco, devi sempre essere presente. È un tema che mi ha veramente attanagliato negli ultimi anni» ci dice Laila. «Mi sono ritrovata a scriverne molto in generale o a rifletterci, anche cercando di fare un lavoro su me stessa. Ho cercato di rassicurare, di rassicurarmi. Prendersi del tempo è un esercizio, bisogna resistere a chi dice che non ce n’è. Il senso di Long Story Short è questo». Il nuovo EP si chiude con una traccia che ha una frase in arabo che dice: «Stai tranquillo, tutto si risolve».

Squadra che vince non si cambia: anche qui c’è lo zampino di Niccolò Contessa, con cui Laila ha già lavorato diverse volte: «Ha co-prodotto tutto il ultimo disco e anche parte dell’EP. Poi ho lavorato con Matteo Parisi e con i B-Croma». Ci siamo fatti raccontare le tracce una ad una:

Giura

«È l’unico pezzo appunto che abbiamo fatto io e Niccolò in questo EP. Ero andata a Roma, stavo con lui in studio avevo qualche idea ma soprattutto questo ritmo sincopato che mi piaceva molto e che mi rimaneva in testa. All’inizio non funzionava, lui mi ha suggerito di inventarmi una storia. Provare per una volta a parlare di qualcosa che non esiste, di divertirmi. Quando me l’ha detto è stato automatico immaginarmi il racconto di un sogno estremamente potente che avevo fatto. Mi sono immaginata di risvegliarmi e vedere il mio ragazzo che mi tradiva, che stava nel letto con un’altra persona. Volevo concentrare tutta la canzone in quei 10 secondi in cui ti svegli e non capisci se è vero o no. Poi parte questo special molto più lungo di uno special tradizionale, quasi lungo come una strofa. Lo abbiamo lasciato così. In questo pezzo ce ne siamo un po’ fregati delle regole della canzone perfetta».

Sottobraccio

«È una canzone che è nata con i B-Croma in un momento in cui ero molto innamorata. È veramente una delle poche canzoni d’amore che ho scritto dove non sono mai cattiva (ride), e secondo me si sente molto. Mi sono concentrata nel far capire questo sentimento dell’abbandonarsi un po’ all’innamoramento, senza pensare a niente di negativo. Una sorta di incoraggiamento al lasciarsi andare».

Non ti voglio più

«È un’altra canzone che ho realizzato con i B-Croma. Per me è una canzone molto forte, ci ho tenuto tantissimo a metterla anche se sapevo che non era “il singolone per le radio”. Diciamo che era un colore che volevo inserire anche. Parla di distacco, di capire che c’è bisogno di dire basta alle persone che vogliono sempre qualcosa, a quelli a cui non basta mai. È la canzone sfogo, l’ho scritta proprio per mettere nero su bianco cose che dovevano essere prima di tutto chiare a me stessa».

Cartagine

«È la prima canzone che ho realizzato con Matteo Parisi. Mi aveva mandato appunto questo provino dicendomi “secondo me ci saresti molto bene su questo beat”. Era una cosa che aveva realizzato apposta per me, io sono impazzita perché mi è piaciuto subito. Ci sono pezzi come Sottobraccio o Giura che sono un po’ più pop, diciamo più sorridenti. Mi piaceva l’idea di dare spazio anche a una produzione più rarefatta. Ho sperimentato un po’ perché anche nella scrittura è diverso dalle cose che avevo fatto in passato. Il ritornello è quasi mononota. Mi sono divertita».

In breve (outro)

«Questa l’ho prodotta da sola. Il mio esordio nel mondo della produzione. Non mi ero mai dedicata prima a produrre un pezzo da sola, è stata una sfida, e l’ho fatto nel pezzo più sperimentale del disco. Mi son detta: “inizio e vediamo che succede”, senza pensare troppo. All’inizio c’è questo suono, la Zaghrouta, un acuto, quasi un ululato molto caratteristico della cultura araba. Si sente le nei momenti di festa, tipo ai matrimoni prima di lanciare un messaggio. Nei matrimoni arabi la musica è importantissima, si fanno canzoni personalizzate per gli sposi e per tutta la famiglia. È proprio un mestiere fare questa cosa. Dopo quel suono c’è la frase “il tempo è l’unica cosa che abbiamo tutti ma che non ha mai nessuno”, una frase che ho sognato. Ma ci sono altri elementi del tempo e altri elementi urbani che ascoltavo durante la registrazione. Dal netturbino sotto casa alle macchine, fino al sottofondo della televisione».

Ora non vi resta che ascoltarlo:

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