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Il reggaeton sta diventando dark e queer

La carnalità sfrontata del perreo incontra il post punk e la comunità LGBTQ+. Estate latina e super etero addio: ora sulla pista da ballo ci si immerge nell’oscurità e si crea uno spazio protetto. «La generazione del neoperreo ha Plutone in Scorpione: siamo depressi, ma ci piace divertirci»

Foto: Scott Dudelson/Getty Images for Coachella

Se nell’ultimo anno avete frequentato certi anfratti di Internet, è probabile che sia entrata nei vostri radar una cover in versione post punk di Bichota, la hit di Karol G. L’hanno incisa i cileni Friolento, che hanno reso la hit del 2020 più cupa ed elettrizzante inserendo una chitarra elettrica e sostituendo il ritmo leggero di dembow con una batteria rock. Il popolo di TikTok ha preso nota (qualcuno ci ha scherzato su, ma persino alcuni punk l’hanno apprezzata) e la canzone è stata utilizzata in video che hanno totalizzato circa 200 milioni di visualizzazioni.

I Friolento hanno continuato a fare cover di hit reggaeton, da Bad Bunny a Plan B. Le loro versioni sorprendentemente fedeli agli originali suonano come se i Joy Division o i Bauhaus avessero provato a fare musica da ballo. Le versioni dei Friolento sono diventate virali, creando un’ondata di cover in salsa “perreo post punk”.

Ha anche dato origine a un termine specifico: reggaeton darks. Quello che all’inizio era il riferimento a un meme è diventato un sottogenere musicale fiorente che fonde al dembow elementi di rave music e di reggaeton decostruito, con cover in chiave post punk di classici del reggaeton. È musica che non manca mai nei raduni dei ragazzi Latinx che hanno voglia di perreo, ma sfoggiano occhi pesantemente truccati e indossano maglie di rete abbinati a giubbotti di pelle.

«Adoriamo il contrasto», spiega il batterista dei Friolento, Zebart Arias, citando come influenza l’artista post punk messicano Saúl De Los Santos (uno dei primi a fare questo tipo di cover). «Se unisci un pezzo reggaeton con uno post punk, il tutto rimane ballabile, ma ti viene da fare headbanging invece che muovere il corpo. È perreo, ma dark e ossessivo».

Una delle caratteristiche chiave che hanno in comune post punk, reggaeton, dembow e perreo è che sono tutti generi sono nati nell’underground (nella scena punk inglese di fine anni ’70, nei locali da ballo giamaicani, a Panama dove ci si scambiavano mixtape sugli autobus o nei marquesina party dei primi anni 2000 a Porto Rico e nella Repubblica Dominicana). E tutti sono stati ignorati (il reggaeton, un genere politicizzato, è stato addirittura criminalizzato) prima di diventare popolari. Ma queste cover sono più che semplici esperimenti bizzarri con il reggaeton: gruppi come i Friolento e i Depresión Post-Mortem (che hanno trasformato la hit del 2004 di Zion y Lennox Yo Voy in un perreo dark) stanno mettendo in luce altre ragioni per cui la gente va a ballare. Molti di noi lo fanno solo per divertirsi, ma spesso c’è un elemento di oscurità da cui fuggiamo o verso cui siamo attratti.

Non si tratta di un fenomeno esclusivamente underground. Alcuni degli artisti reggaeton più grandi al mondo stanno esplorando i lidi dell’alternative rock. Bad Bunny ha ingaggiato sul palco duelli rap con chitarristi e nel suo El Último Tour Del Mundo ha adottato sonorità rock; i pezzi migliori del suo album più recente, Un Verano Sin Ti, sono collaborazioni con band alternative Latinx come Buscabulla, Marías e Bomba Estéreo. Lo stesso ha fatto il collega portoricano autore di molti successi, Rauw Alejandro, che in pezzi come Gracias Por Nada ha utilizzato chitarra elettrica e batteria. Questi echi, giunti fino ai livelli più alti delle classifiche, hanno origine nel sottobosco del genere, con la sua comunità queer e di sperimentatori gothic: artisti che hanno molte più cose in comune con la formazione post punk bielorussa dei Molchat Doma e con la diva dell’elettronica d’avanguardia Arca che non con Daddy Yankee.

Studiosi come Richard Rodríguez, della UC Riverside, vedono un legame chiaro fra queste sonorità proprie di scene apparentemente disgiunte. «Le cover post punk dei classici del reggaeton sembreranno anche inusuali, ma dato il rinnovato interesse nei confronti del post punk e dei generi correlati in tutto il mondo è inevitabile che avvengano delle ibridazioni», spiega nel suo nuovo libro A Kiss Across the Ocean, in cui indaga sui rapporti dei gruppi post punk inglesi con il pubblico Latinx statunitense. Evidenzia l’influenza di band come Cure e Smiths su gruppi messicani come Caifanes e Café Tacvba, ma anche altri legami che hanno radici ancora da più lontane nel tempo. «Non dobbiamo dimenticare che alcune punk band fondamentali come Blondie e Clash sono state ispirate da e hanno usato l’hip hop, mostrando come le influenze sulla musica siano multidirezionali».

Probabilmente l’espressione più radicale di questa corrente dark del reggaeton è il neoperreo, nato online ai margini del movimento. È definibile come una sorta di reggaeton decostruito, più affine all’universo della rave music che ai ritmi del dembow. Questa nuova generazione musicale punta a evocare la carnalità sfrontata della marquesina con un taglio dark elettronico.

«Tutto ciò che accade nel mainstream ha origine nell’underground», dice Tomasa del Real, sacerdotessa indiscussa del genere che lo ha reso popolare insieme all’argentina Ms Nina, sua collaboratrice, collega e luminare del neoperreo. «Il reggaeton è stato sempre underground ed era un genere malvisto perché veniva dalla strada. Ora che è diventato mainstream, quelli che sono al top guardano all’underground per modernizzarsi. Prima del rock’n’roll c’è stato il rockabilly. E questa è la stessa cosa».

Del Real è di Iquique, una cittadina marittima del Cile settentrionale. Prima di iniziare a fare musica, nel 2016, lei e i suoi amici cercavano un posto dove ballare. Non avevano molte opzioni e spesso si trattava di luoghi poco accoglienti e spiccatamente etero. C’era bisogno di qualcosa di nuovo. Del Real, ex tatuatrice che ha iniziato a far musica per divertimento col MacBook, ha battezzato quel tipo di reggaeton goth e queer “neoperreo”, anche per scoraggiare paragoni con i progenitori del genere come Daddy Yankee, Tego, Calderón e Ivy Queen, cioè i padri di quello che del Real chiama vero reggaeton. Non che il neoperreo sia finto, ma da sempre è un elemento a sé stante.

«Sentivo che essere definito reggaeton avrebbe sminuito la forza del movimento», spiega del Real. «Tutto era incentrato sulla reinvenzione di un sound, sul creare qualcosa di nuovo che non fosse troppo simile al reggaeton classico. Non credo che quello che facciamo sia al 100% reggaeton, ma è di sicuro perreo. È perreo che ti fa ballare, ma non è perreo per gente regolare. È moderno ed è un miscuglio di tutto ciò che ti può venire in mente».

Dice anche che il neoperreo non è solo un sound, ma ha un forte legame con la realtà: «Noi avevamo bisogno del neoperreo per crearci degli spazi protetti. Ci serviva un posto dove queer, metallari e persone fuori dal comune potessero riunirsi. È una spinta che ormai è scomparsa nel reggaeton moderno». Il forte desiderio di occupare uno spazio fisico, probabilmente, non deriva solo dal ritmo della musica, ma anche dal fatto che il neoperreo e i suoi ascoltatori sono cresciuti online. «Era tutto legato a Internet», dice Ms Nina. «Stavo su Instagram e ho conosciuto un sacco di persone online, ero su Soundcloud… era tutto molto DIY. Ed è eccitante vedere come si evolvono le cose. I generi possono e devono evolversi. Adesso senti gente come Rosalía fare reggaeton».

La natura intrinseca delle sottoculture gothic, diffuse in tutto il mondo, rende assai variegato il quadro degli artisti che partecipano al movimento, soprattutto considerando una prevalenza di realtà europee come Bad Gyal, Bea Pelea e Virgen María o il fenomeno ispano-americano La Favi. E anche artisti che non necessariamente si inquadrano nel perreo come Rosalía (nome decisamente mainstream) si avventurano in territori di questo genere.

Questo sound non è certo immune da critiche di appropriazione culturale, per via dei ritmi caraibici che ne costituiscono le basi, ma l’estetica digital gothic che domina il neoperreo lo rende uno spazio di fusione crossculturale e di esplorazione del lato oscuro del sentire. È un luogo incasinato e bellissimo che non avrebbe potuto nascere senza Internet.

Ora più che mai, grazie anche ai confini in continua espansione del neoparreo, artisti provenienti da qualunque luogo la diaspora Latinx li abbia portati (dall’Europa agli Stati Uniti, dall’America del sud o centrale fino ai Caraibi) possono trovare collocazione sotto il grande ombrello del genere. Nomi come Tomasa del Real e Ms Nina hanno spalancato le porte a nuove generazioni di reggaetoners queer e donne come La Goony Chonga (colonna portante cubano-americana del genere: ha collaborato con Del Real e il produttore di neoperreo Chico Sonido in Muerde La Manzana), il trio messicano Meth Math o emergenti come la venezualana Yajaira La Bellaca e il produttore e musicista colombiano Manchado.

Anche in area alternative rock alcune band indie hanno iniziato a interessarsi ai ritmi dembow, come gli affermati Divino Niño nel loro ultimo album (The Last Spa on Earth). L’illuminazione è giunta al cantante Camilo Medina durante il lockdown, quando si è imbattuto nella principessa del perreo pop honduregno Isabella Lovestory. Qualche tempo dopo, durante un trip da funghi allucinogeni con colonna sonora di Ms Nina e Bea Pelea, ha iniziato a delineare nella propria mente l’idea di una nuova direzione musicale.

«Vedevo il reggaeton come merda mainstream che non mi piaceva», spiega Medina. «A me piace l’underground ed esiste moltissimo reggaeton underground che è davvero pazzesco. Questa roba ci ha aperto il cervello come un fiore che sboccia: perché cercare di essere i My Bloody Valentine quando possiamo essere Ms Nina?».

Lovestory, che mescola riff di chitarra con ritmi dembow in pezzi come il recente singolo Sexo Amor y Dinero, sottolinea la natura sperimentale propria tanto del rock indie/alternativo quanto delle nuove generazioni del reggaeton: «Il reggaeton dark è figlio di Internet, è più libero e arriva dalla scoperta di tante cose nell’arco di pochissimo tempo. In molti siamo immigrati e abbiamo influenze derivanti dal nostro Paese d’origine che vogliamo tenere vive, ma crescendo siamo stati esposti a tantissime cose grazie a Internet. Amo i Cure e gli Smiths, ma anche Plan B. Spazio ovunque e molti di noi fanno lo stesso. La generazione del neoperreo ha Plutone in Scorpione: siamo depressi, ma ci piace divertirci».

Questo mix di generi, approssimativamente radunati sotto all’ombrello reggaeton darks, potrebbe far pensare a un’eccessiva semplificazione (come quella per cui tanta musica del mondo ispanofono spesso viene ricondotto genericamente all’ambito della musica latina). Ma rispondere alla domanda su cosa abbiano esattamente in comune tutti quei generi che si mescolano, in effetti, è solo in apparenza facile.

«Si tratta del ballo», dice Saul De Los Santos, il musicista che ha ispirato la hit virale dei Friolento e che poi ha collaborato con loro per una cover di La Santa (una versione post punk del caposaldo del genere di Bad Bunny e Daddy Yankee). «Ho sentito che molte volte, alle feste, le mie cover piacciono anche se nessuno sa che si ratta di pezzi reggaeton, in origine. Al contrario, c’è gente che va per sentire del reggaeton, non ha il minimo interesse nel post punk, ma poi è felice di ascoltare versioni differenti dei pezzi che già conosceva. Penso che ci stiamo avvicinando al momento in cui potremo goderci, senza curarci delle etichette, ciò che a tutti noi piace: la musica».

Anche Del Real è ottimista. «Questo fenomeno resta molto forte perché, ultimamente, siamo molto connessi a livello virtuale, ma non nella vita reale», spiega. «E il neoperreo è una sorta di lubrificante sociale: andando a una festa reggaeton, ti aspetti il contatto fisico. Il perreo è fatto per toccarsi, sudare e ballare insieme. Prima lo si faceva solo fra uomini e donne, ma ora chiunque può e deve ballare con chi vuole, sempre rispettosamente».

Tradotto da Rolling Stone US.

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