Il meglio, il peggio e il bizzarro di ‘The Metallica Blacklist’ | Rolling Stone Italia
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Il meglio, il peggio e il bizzarro di ‘The Metallica Blacklist’

Dall’electro pop di St. Vincent a 'Nothing Else Matters' in spagnolo, dall'one man show di Moses Sumney a mescugli weirdo, ecco le cover del 'Black Album' che non dimenticherete, nel bene e nel male

Il meglio, il peggio e il bizzarro di ‘The Metallica Blacklist’

I Metallica ai tempi del Black Album

Foto: Midori Tsukagoshi/Shinko Music/Getty Images

Nell’agosto 1991 la galassia del metal viene scossa da un disco destinato a creare scompiglio, come una sorta di nuovo Big Bang: Metallica, il quinto omonimo album della band che si intitola proprio così, nonostante sia universalmente conosciuto come Black Album per via della copertina.

È un capovolgimento prospettico inaspettato e straniante, ma geniale visti i risultati (parliamo di oltre 30 milioni di copie vendute al mondo). I Metallica non sono più solamente una grandissima metal band con un passato da thrasher della prima ora, ma diventano un gruppo rock con un bacino di utenza infinitamente più ampio, grazie a un ammorbidimento delle sonorità e a una produzione tanto ruffiana quanto potente curata da Bob Rock, che collaborerà col gruppo fino a St. Anger incluso.

Il Black Album è senza dubbio uno di quei dischi transgenerazionali e trasversali, capaci di lasciare un’impronta influenzando schiere di artisti dei generi più disparati. Questo grazie a una forza di penetrazione prima impensabile, per un gruppo come i Metallica, nell’universo mainstream.

A testimoniarlo ulteriormente in maniera tangibile è il recente tributo-monster The Metallica Blacklist, un album in cui 53 artisti di estrazione variegatissima rileggono i 12 pezzi del Black Album secondo la propria indole e stile: dentro ci troviamo anche nomi come St. Vincent, Mac DeMarco, Weezer, Ghost, Corey Taylor, Miley Cyrus, Elton John, Dave Gahan, Imelda May, Kamasi Washington…

È un’operazione dalle apprezzabili finalità benefiche – tutti i profitti vanno alla All Within My Hands Foundation e a una serie di diverse organizzazioni con fini caritatevoli e assistenziali (elencate nel sito dei Metallica) – ma francamente non è possibile classificarla se non nell’ambito del naïf e dello “strano ma vero”. In primis perché una tale mole di musica (si superano le 15 ore di ascolto), con i medesimi pezzi riproposti in versioni multiple è davvero troppo anche per i fan più accaniti. Inoltre sembra mancare un vero filo conduttore o una direzione – che si riduce al semplice “gente che fa cover di pezzi del Black Album” – ma forse questo è anche il lato divertente della faccenda: il fatto di trovarsi in balia totale dell’imprevisto. Altro che montagne russe.

È in quest’ottica che abbiamo scandagliato la tracklist in cerca delle versioni più intriganti e di quelle più bizzarre, per cui anche le più deraglianti, poco comprensibili o fuori bolla; il risultato è un distillato di una decina (più coda bonus) di pezzi che, nel bene o nel male, vale la pena segnalare: buon ascolto.

“Enter Sandman” Ghost

Uno dei pezzi-simbolo di Metallica (e dei Metallica) è rifatto dai colleghi Ghost, che con una mossa a sorpresa aggiungono una intro piano-voce, poi spingono sull’acceleratore del metallo, ma con la peculiare sensibilità per le melodie e gli arrangiamenti che li contraddistingue. Bella prova, senza uscire dall’ambito di genere.

“Sad But True” St. Vincent

La talentuosa Annie Clark ribalta Sad But True in chiave electro pop, con un retrogusto electro clash, ma senza dimenticare di essere una dea della chitarra, per cui spara un paio solo hendrixiani che salvati… Promossa a pieni voti per la fantasia.

“Sad But True” Mexican Institute of Sound feat. La Perla & Gera MX

Benvenuti al freak show, con il remix firmato dal progetto di Camilo Lara (con due featuring): è una versione hip hop durissima con inserti in salsa super latina e condimento di cumbia grazie al trio colombiano La Perla. Fuori di testa di sicuro e, come un bel frullatone in cui si mischia tutto, a forte rischio d’attacco di mal di pancia. Da assumere dopo avere consultato il medico curante.

“Holier Than Thou” Off!

Una graditissima randellata dagli Off! del leggendario Keith Morris (Circle Jerks) che rileggono il brano in chiave hardcore punk, con inserto di sax free jazz alla Stooges dell’era Fun House (chissà se è un omaggio al compianto Steve Mackay?). Imperdibile il video – di oltre 6 minuti – con l’istrionico David Yow, ovvero il frontman di Jesus Lizard e Scratch Acid, nei panni di un predicatore.

“The Unforgiven” Flatbush Zombies feat. DJ Scratch

Altro trip nella giungla dell’hip hop old school, con tanto di scratch e beat mid tempo martellone. Indubbiamente i tre newyorchesi insieme al blasonato DJ Scratch danno a The Unforgiven una veste molto urban, stradaiola e cattiva, ma la sensazione “benvenuti nel 1987” (vi ricordate Anthrax & Public Enemy?) è in agguato. Un bell’esercizio, impeccabile e “bastardo”, ma fuori tempo massimo.

“The Unforgiven” Moses Sumney

Hats off, come dicono gli anglofoni: il trentenne statunitense con origini ghanesi, infatti, si lancia in un esperimento che sulla carta pare folle e destinato a un disastro annunciato, roba per gente che vuol farsi del male insomma… invece ne esce trionfante. The Unforgiven nelle sue mani diviene una composizione dal fortissimo sapore e orientamento jazz: uno one man show per voce e basso, dalle tonalità lounge, soffici e ammalianti. Una fantastica bizzarria, insomma, che ci piace molto.

“Don’t Tread on Me” Portugal. The Man feat. Aaron Beam

Dicono che il confine fra genio e follia sia molto sfumato, a volte impalpabile. Credo che questa band originaria dell’Alaska, nella sua versione di Don’t Tread on Me, quel confine lo varchi più volte, fino a perdere traccia di dove si trovi. In una cella imbottita o al Konserthuset di Stoccolma, in odore di premio Nobel? Forse in un Konserthuset con le pareti imbottite. A ogni modo questa cover schizoide è da provare: un simile cocktail instabile di metallo, psichedelia, pop deviante, indie e art rock non si sperimenta di frequente.

“Nothing Else Matters” Dave Gahan

Non si è sforzato molto il frontman dei Depeche Mode, ma alla fine carisma e mestiere gli fanno portare a casa il risultato. Quello che ne esce è un classico esempio di cover lenta che immediatamente porta alla mente un potenziale utilizzo come tema/sigla di testa di una serie TV, magari un po’ dark con risvolti thriller. Diciamo che, se fossimo a scuola (è pur sempre settembre e si torna sui banchi), il prof scriverebbe sul diario di Dave: lavoro sufficiente, anche se potevi impegnarti di più. Ma il fascino di Gahan, in zona Cesarini, sopperisce al resto.

“Nothing Else Matters” Miley Cyrus feat. WATT, Elton John, Yo-Yo Ma, Robert Trujillo, Chad Smith

Spesso i risultati di questi mucchi selvaggi sono deludenti. In questo caso non c’è delusione (c’era forse aspettativa?), ma ci troviamo nel reame della muzak: tutti bravi, però niente rimane in testa, come in un rapido scivolar via da sottofondo superarrangiato. Vi ricordate la stucchevole versione orchestrale dei Metallica di questo brano? Ecco, quasi così, però con la voce di Miley Cyrus. Ascolto a forte rischio di overdose d’archi.

“The Struggle Within” Rodrigo y Gabriela

Erano un fenomeno da circo del web, con le loro cover mariachi/Mexican/Speedy Gonzales di pezzi hard rock e metal; poi sono passati a incidere dischi e a collaborare con nomi di prestigio. Ma onestamente hanno fatto il loro tempo e ormai – o in questo frangente – comunicano solo un pizzico (anche qualcosa in più) di malinconoia. File under: the show must go on, ma anche no. Nota di merito: hanno fatto l’unica cover di The Struggle Within dell’intero progetto.

Bonus-malus

Merita una menzione – e un ascolto – la Nothing Else Matters firmata dalla cantante cilena Mon Laferte che ci riporta all’antica tradizione della geolocalizzazione e traduzione dei testi in altra lingua: la sua versione è in spagnolo. Coppa cringe quasi assicurata. Intrigante, invece, il lavoro firmato PG Roxette (ovvero il progetto di Per Gessle, 50% dei mitici Roxette), sempre su Nothing Else Matters, che acquisisce un feeling pop-rock anni ’80, alla Roxette, appunto: provate a immaginare cosa ne avrebbero pensato i fan e i Metallica stessi ai tempi di The Look. Curiosa la My Friend of Misery della cantautrice/attrice francese Izïa, che le dà un twist alternative rock di classe, lavorando sulle atmosfere e qualche suggestione pop/elettronica, ma sicuramente non all’altezza del ribaltone operato sul brano da Kamasi Washington, che lo trasfigura con noncuranza (troppa forse?) in un pezzo da big band. Infine il premio “weirdo ma basta” è appannaggio dell’indiano Vishal Dadlani con DIVINE e Shor Police che grattugiano The Unforgiven mescolando un po’ a casaccio indie rock, rap e suoni esotici.