Yello, elettro-esorcismo a Berlino | Rolling Stone Italia
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Il primo concerto degli Yello, elettro-esorcismo a Berlino | Leggi l'intervista

135 anni in due e una carriera quarantennale, ma per la prima volta su un palco. Siamo stati al Kraftwerk, nel cuore del triangolo della techno tedesca

Il primo concerto degli Yello, elettro-esorcismo a Berlino

Solenne, imponente, un salto di trenta metri dal soffitto. Nicchie fumose e cavità oscure a custodire carcasse industriali svenute nel buio, dietro alle grate di ferro sfiorate dai neon. Al piano superiore due navate spalancate sul vuoto, un transetto di cemento che si apre sull’altare-palco in un trionfo cyberpunk di pietra e metallo. Il Kraftwerk, ex centrale elettrica nel cuore del triangolo della techno tedesca, non è un club come gli altri. A Berlino lo chiamano “la cattedrale di cemento”, e si capisce che qui, più che organizzare concerti, si celebrano riti. E se gli Yello hanno scelto proprio questo luogo, per suonare dal vivo per la prima volta nella loro carriera, c’è una ragione. Che ha lasciato interdetto qualcuno:”Sono deluso. Sono un dj e suono la loro musica da trent’anni – ci racconta un ragazzo, a metà concerto – guarda che posto, potevano usarlo molto meglio, così non balla nessuno”. La prima data degli Yello, il 26 ottobre, non è stata esattamente un successo di critica.
Colpa dell’allestimento, ha scritto la stampa tedesca, colpa della decisione di far accomodare il pubblico sulle sedie anziché lasciarlo libero di ballare. Colpa dell’età dei musicisti, 71 Dieter Meier e 64 Boris Blank, colpa della loro musica che non sarebbe più in grado di coinvolgere un pubblico under 40. Eppure ieri, alla seconda data berlinese, il Kraftwerk e la sua liturgia laica sono stati semplicemente perfetti per mettere in scena quel che gli Yello stavano preparando da anni: non un concerto per stupire il pubblico con effetti speciali e performance fuori tempo massimo (“Adoro questa cosa dell’esibirsi a 90 anni, ma penso sia più sensato farlo quando si hanno ancora le forze”, aveva detto Blank proprio a Rolling Stone Italia), ma un rito. Più in dettaglio: un dissacrante, sfrontato, ironico esorcismo. Contro il tempo, l’età, la morte, l”effetto nostalgia.

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Un intento evidente fin dal principio, quando Meier, arrivando sul palco dopo l”intro di Blank, lancia la prima canzone del concerto, Do it. Dieter ancheggia e canta, accompagnato da cinque fiati, mentre dietro di lui su maxi schermo il Dieter del 1994, quello del video, ripete ipnoticamente le sue mosse. “Keep on do it”, dice spavaldo al microfono indicando la sua copia più giovane, prima di annunciare il secondo pezzo, “una canzone che spiega esattamente quello che stiamo facendo qui adesso”. E la canzone è The evening’s young, direttamente dal primo album di 35 anni fa: “I know I could at any time get up up the chair and leave this place”, canta, lanciando la sua personale sfida alla notte appena iniziata. Il concerto durerà due intensissime ore, essenziale e senza colpi di scena pirotecnici, allineando successi come Bostich (“La nostra prima hit negli USA”) a Limbo (“Una canzone che racconta quella sensazione che gli italiani definiscono “mandare la gambe all’aria”), e regalando qualche aneddoto tra una canzone e l’altra: “All’inizio della mia carriera suonai in un club ad Amburgo. Una punk mi si avvicinò e mi disse che la mia musica le faceva schifo, ma le piaceva molto il mio nome d’arte. Non credeva che mi chiamassi davvero così, Meier in Germania è il cognome più diffuso”.

A quaranta minuti dall’inizio, Blank rimane solo sul palco, sprofondato nella console avorio e trincerato dietro a un paio di occhiali a specchio, per lanciare Space Tunnel, cinque minuti di trip visivo e sonoro sparato sul grande schermo. La gente, è vero, balla poco. Le sedie, tanto criticate e sparite per la seconda data, avevano forse un senso. I fan degli Yello sono un pubblico di quarantenni che ieri ascoltavano Claro Que Si nelle cuffiette del walkman e che oggi alzano lo smartphone per catturare la faccia di Meier mentre canta Oh Yeah. Fan affezionati (“Ci siamo messi in fila alle quattro per conquistare la prima fila”, ci dice un ragazzo. E fuori, i bagarini, promettono biglietti a novanta euro per aggirare il tutto esaurito) che nel mega mandala meccanico di Space Tunnel si perdono volentieri, per ritrovare magari brandelli della giovinezza scapigliata. Ma che oggi hanno lavoro e famiglia, e domani dovranno alzarsi presto. L’esorcismo degli Yello insomma è collettivo, non riguarda solo i due performer sul palco: “Facciamo ancora un ultimo pezzo e sapete già qual è”, dice Meier a cinque minuti dalla fine. È The Race, sulle cui note le prime file ballano, finalmente, col liberatorio entusiasmo di chi si sente ancora, nonostante tutto, un “giovane della notte”. Nessun bis, basta così. “Grazie a tutti, ora vado a farmi una birra”, è il laconico, unico, commento di Blank.
Lunga vita agli Yello. E a noi.

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