I Godspeed You! Black Emperor vogliono distruggere questo mondo, per ricostruirlo | Rolling Stone Italia
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I Godspeed You! Black Emperor vogliono distruggere questo mondo, per ricostruirlo

Nel nuovo album 'G_d's Pee AT STATE'S END!’ la band invoca il crollo di governi e multinazionali. Lo fa senza bisogno di parole: basta la musica, devastante e poetica, con dentro piccoli segnali di speranza

I Godspeed You! Black Emperor vogliono distruggere questo mondo, per ricostruirlo

Godspeed You! Black Emperor

Foto press

Il 18 novembre 2019 sul palco dei Magazzini Generali di Milano, i Godspeed You! Black Emperor presentano un paio di inediti che più tardi saprò chiamarsi Cliff e Glacier. Fuori la pioggia incessante, dentro la calura, i corpi ammassati, l’alcol, il suono devastante, la sensazione di essere immersi in una specie di bolla oscura che galleggia nel cosmo, uniti in un rito che non ha eguali. Da lì a qualche mese tutto questo sarebbe stato solo un lontano ricordo, tutto sarebbe stato assorbito dalla paura, dalle strade vuote, dalle sirene incessanti, dai numeri sempre più preoccupanti, dalle saracinesche abbassate, dai club musicali sbarrati, forse per sempre.

Lo scorso 2 aprile è uscito il nuovo album dei GY!BE, a quattro anni di distanza dal trionfale Luciferian Towers. Trionfale perché mai il gruppo era stato così imponente e in qualche modo gioioso nel celebrare una delle loro speranze: quella del crollo dei governi, delle multinazionali, della globalizzazione che ha fagocitato tutto e tutti. In realtà nulla è vero, nulla è crollato, ma loro ci credono, ci hanno sempre creduto e ogni volta portano al mondo il loro messaggio utopico-apocalittico per celebrare quello che desiderano fermamente possa e debba avvenire in futuro. Peccato che il futuro a un certo punto si sia imprevedibilmente trasformato in quello che nessuno avrebbe mai osato pensare.

In tale scenario i GY!BE si sono chiusi nel loro Hotel 2 Tango a Montréal, da sempre quartier generale della band. Immensi saloni, vetrate che danno su una zona industriale, un senso di sgretolamento. In questo clima concepiscono nuovo materiale, rivedono i brani presentati in anteprima ai concerti, sognano ancora il loro sogno più audace:

“Questo disco parla di tutti noi che aspettiamo la fine.
Tutte le attuali forme di governance sono fallite.
Questo disco parla di tutti noi che aspettiamo l’inizio,
ed è informato dalle seguenti richieste =
Svuotare le prigioni
Prendere il potere dalla polizia e darlo ai quartieri che questa terrorizza.
Porre fine alle guerre eterne e tutte le altre forme di imperialismo
Tassare i ricchi finché non sono impoveriti”.

Roba forte, ardita, illusoria. La dichiarazione riportata nella cartella stampa del disco (il resto è silenzio, la band non rilascia interviste) è anarchia allo stato puro, un urlo vigoroso che i nostri si augurano riesca realmente a contribuire a mutare le cose. Un’ambizione forse impossibile, ma che conferma gli otto GY!BE come massa pulsante che ancora crede fermamente in un cambiamento radicale. Oltre stati e governi, oltre qualsiasi pandemia. Una forza che parta dal basso e sollevi gli animi per condurli a un nuovo avvenire.

G_d’s Pee AT STATE’S END! (“Piscio di Dio alla fine degli Stati”) è l’eloquente titolo dell’album, due lunghe suite e altrettanti spezzoni più brevi, nell’elegante vinile le prime sono su un 12”, i secondi su un 10”. Il lavoro è decisamente meno monolitico che in passato, più arzigogolato nel senso migliore del termine. Gli elementi chiave del loro suono ci sono tutti: droni in sospensione, crescendo, ampie melodie morriconiane, sfuriate chitarristiche alla Glenn Branca, il tutto incastrato in un tessuto sempre più sinfonico, punk nello spirito, classicheggiante nella resa. Una resa che propone diverse sorprese in brani sfaccettati e più progressivi che mai (con tanto di tempi dispari e cambi di ritmo) laddove in precedenza il modello base era quello di far salire sempre più la tensione e farla poi esplodere.

First of the Last Glaciers

«Lo abbiamo scritto principalmente per strada», dichiarano nel comunicato, «quando quello era ancora un posto dove andare». Il loro posto, sottolineo, chilometri su chilometri macinati ammazzando il tempo con chiacchiere, spesso a sfondo politico, che finiscono nei dischi. Poi la pandemia: «È stato registrato con le mascherine, distanziati, all’inizio della seconda ondata». L’apocalisse da sempre accarezzata nella loro musica adesso diventa reale anche grazie al grido dei «pastori dell’apocalisse che urlavano “adesso è la fine del mondo”, mentre una volta gridavano “presto ci sarà la fine del mondo”».

Le quattro composizioni di G_d’s Pee AT STATE’S END! sono l’esatta trasposizione sonora di ciò che stiamo vivendo. In Fire at Static Valley risuonano le ambulanze, il castello atmosferico messo in piedi non ha bisogno di parole, di testi, le composizioni strumentali da sempre proposte dall’ensemble canadese bastano per raffigurare il mondo com’è adesso, nudo e crudo. Con i brani che sono vere odissee infernali con piccoli sprazzi di luce paradisiaca che a volte vince sul buio, vedi alcuni momenti inaspettatamente melodici dell’iniziale A Military Alphabet (five eyes all blind) (4521.0kHz 6730.0kHz 4109.09kHz) / Job’s Lament / First of the Last Glaciers / where we break how we shine (ROCKETS FOR MARY), forse la suite più intensa e articolata mai registrata dai GY!BE.

“GOVERNMENT CAME” (9980.0kHz 3617.1kHz 4521.0 kHz)

G_d’s Pee AT STATE’S END! è stato presentato in streaming  in un cinema vuoto, con solo una serie di immagini girate in 16mm, in bianco e nero, di tralicci, treni, fabbriche, tumulti e incendi. La trasmissione è stata inaugurata dalla parola “speranza”. Oltre il cielo plumbeo, oltre la pioggia che non cessa di bersagliare le anime smarrite di questi tempi. Oltre il mondo nel quale ci sta capitando di vivere. Oltre la paura che quando tocca il punto più estremo per miracolo riesce a trasformarsi in speranza. Un piccolo bagliore che appare lontano al suono di una musica che speriamo possa celebrare la rinascita.

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