I dischi da ascoltare a febbraio | Rolling Stone Italia
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I dischi da ascoltare a febbraio

Un grande album di Mace, la stranezza di Venerus, i suoni in libertà di Studio Murena e Black Country New Road, e poi Foo Fighters, Tash Sultana, Gazzelle. Ecco cosa ascolteremo nelle prossime settimane

I dischi da ascoltare a febbraio

Venerus

Foto press

“Medicine at Midnight” Foo Fighters (5 febbraio)

Riff anni ’70, cori solari, break gospel, cori da cantare in un’arena. Medicine at Midnight non è solo il Let’s Dance dei Foo Fighters, è il disco più ottimista mai inciso dalla band. È un omaggio orgogliosamente pop alla radio FM con cui Dave Grohl è cresciuto, perfetto per quando torneranno i grandi concerti. La recensione.

“OBE” Mace (5 febbraio)

«Mi definisco prima di tutto un viaggiatore. Ho girato più di 50 Paesi nel mondo, esplorato l’inconscio con incursioni psichedeliche e meditative. E qualche volta ho viaggiato fuori di me. OBE è una nuova prospettiva, un disco concepito viaggiando», dice MACE, dj e produttore, del suo nuovo album. Il titolo sta per Out of Body Experience e si annuncia come uno degli album italiani dell’anno. In scaletta una tonnellata di featuring con grandi nomi: Guè Pequeno, Salmo, Gemitaiz, Madame, Jake La Furia e tanti altri.

“For the First Time” Black Country, New Road (5 febbraio)

Sono inglesi, sanno suonare (alè!), fanno una specie di post punk influenzato dal jazz che per i timbri scuri può ricordare vagamente i Morphine. Nel primo album hanno messo 6 pezzi, durata media 7 minuti, fregandosene delle regole del pop, del rock, di tutto. Da ascoltare.

“Good Woman” The Staves (5 febbraio)

the staves

Le sorelle inglesi Staveley-Taylor sono partite dal folk (Dead & Born & Grown), si sono avvicinate a una forma di canzone meno tradizionale (If I Was), hanno fatto un disco pazzesco fuori da ogni canone, mischiando folk e musica contemporanea (The Way Is Read, con l’ensemble yMusic). Ora, stufe d’essere percepite come folkettare delicate, se non fragili, si fanno produrre da John Congleton, quello di St. Vincent.

“Tyron” Slowthai (5 febbraio)

slowthai-tyron

Un concept introspettivo dal rapper più inclassificabile del Regno Unito. «Attraverso gli schermi del telefono e del computer» ha detto Slowthai «la gente vede solo una parte di te. Ma c’è anche un’altra parte, quella che viene fuori quando siamo a casa. Il disco è un modo per disvelare a tutti questo lato, per aprire il sipario, diciamo».

“Ignorance” The Weather Station (5 febbraio)

ignorance

Ci si aspetta tanto dal nuovo disco di Tamara Lindeman che s’annuncia più sofisticato e prodotto dei precedenti. Più ritmato, più pop. «Volevo fare un grande album complesso, hi-fi, pieno di ritmo, appassionato e traboccante dolore. Volevo rubare un po’ dai classici temi della musica pop per esprimere emozioni primarie».

“Legacy+” Femi Kuti & Made Kuti (5 febbraio)

Di padre in figlio in nipote. L’eredità afrobeat di Fela Kuti rielaborata dalle due generazioni successive. Non un doppio canonico, ma due diversi dischi d’agit funk, uno di Femi (Stop the Hate) e uno di Made, il debutto titolato For(e)ward suonato interamente da lui.

“Studio Murena” Studio Murena (5 febbraio)

Studio Murena è un gruppo di giovani musicisti italiani che esplora le nuove vie del jazz: si ispira alla scena britannica, sperimenta contaminazioni con l’hip hop, studia i suoni degli innovatori americani come Robert Glasper e Makaya McCraven. Il nuovo album, omonimo, esce per Costello’s Records, e la band lo descrive così: «Osservando il passato da un lato, anticipando il futuro dall’altro, si cade nel presente. Le macchine soffrono!».

“OK” Gazzelle (12 febbraio)

Dopo Superbattito e Punk, Gazzelle torna con OK, il suo disco più introspettivo e nostalgico. È stato anticipato da diversi singoli: una lettera di scuse (Scusa), il racconto di una storia finita (Destri), un brano dalle atmosfere scure e arpeggiate (Belva). In scaletta anche una collaborazione, la prima per Gazzelle, con tha Supreme.

“New Fragility” Clap Your Hands Say Yeah (12 febbraio)

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«Queste canzoni» racconta Alec Ounsworth «sono politicamente motivate, che non è insolito per me. Il nuovo brano Hesitating Nation trasmette il mio disappunto con la mentalità di andare sempre avanti a tutti i costi, senza pensare a chi rimane indietro. Invece Thousand Oaks parla della sparatoria del 2018 in California in cui morirono 13 persone e dell’impotenza del governo americano di fronte a certe tragedie».

“Glowing in the Dark” Django Django (12 febbraio)

Fughe di sintetizzatori, fughe dei bassi, fughe su ritmi disco, comunque fughe dalla realtà. È electro rock che ha la freschezza di un disco anni ’60, i suoni di uno anni ’80 e la furbizia di uno anni ’00. E in Waking Up c’è Charlotte Gainsbourg.

“Crestone (Original Score)” Animal Collective (19 febbraio)

Geologist e Deakin musicano il film Marnie Ellen Hertzler ambientato nel deserto di Crestone, Colorado. Si racconta di un gruppo di SoundCloud rapper che vivono isolati, coltivando erba e diffondendo musica su internet. Il lockdown senza bisogno del lockdown.

“Magica musica” Venerus (19 febbraio)

Venerus non fa canzoni tradizionali, inventa mondi. Dentro al suo album ci sono melodie pop ed elettronica, c’è una concezione contemporanea di soul e r&b italiano. C’è un modo suadente e assieme “sporco” di far musica, e non lo intendiamo in senso negativo. I pezzi pubblicati finora sono fortissimi: Ogni pensiero vola e Canzone per un amico.

“Terra Firma” Tash Sultana (19 febbraio)

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Per scrivere Terra Firma, Tash Sultana ha fermato tutto. Il secondo disco della songwriter e polistrumentista australiana è nato dopo un lungo periodo di riflessione: «Non sapevo di aver bisogno di creare uno spazio, una casa in cui sentirmi ancora una persona», ha detto. «Mi sono guardata dentro e ho trovato un luogo quieto, così ho scritto un album». Terra Firma è un album meditativo, che combina soul, funk, R&B, folk e hip hop. «È un po’ Aretha Franklin, un po’ Bon Iver, un po’ John Mayer e chissà cos’altro».

“As the Love Continues” Mogwai (19 febbraio)

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All’incirca un quarto di secolo dopo il debutto, la band di Glasgow pubblica il decimo album, registrato con Dave Fridmann, con ospiti Atticus Ross (il braccio destro di Trent Reznor nelle colonne sonore) e il sassofonista Colin Stetson. Musica da ascoltare per essere trasportati altrove. «A meno che tu non sia in un posto bellissimo e allora perché stai ascoltando della musica così strana?».

“Little Oblivions” Julien Baker (26 febbraio)

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Tornare al college e uscire con un grande disco. Little Oblivions miscela autobiografia e storytelling. La strumentazione solitamente scarna della cantautrice si arricchisce come mai prima. «Mi sembra che in Turn Out the Lights ci fossero due parti che si affrontavano, la parte ostile e quella buona e idealista. Scrivendo il nuovo album ho capito che in realtà sono la stessa persona, e invece di cercare di sopraffare e distruggere la parte negativa dovevo assimilarla e usarla per capire meglio me stessa».

“Mephisto Ballad” Aiazzi/Maroccolo (26 febbraio)

Un disco tardo dark (definizione loro) in cui i due ex Litfiba viaggiano indietro nel tempo fino alla fondazione del gruppo, quarant’anni fa, ma ne tirano fuori pezzi cupi e meditativi. E. F. S. 44 Ethnological Forgery Series dei Litfiba diventa così «una infernal ballad, una sonata in continuo equilibrio tra passato e presente, tra le oscurità e le penombre di allora e il nero abissale odierno».

“Detroit Stories” Alice Cooper (26 febbraio)

«Detroit era il centro della scena heavy rock», ha detto Alice Cooper dei primi anni ’70. «Non potevi fare soft rock altrimenti ti avrebbero preso a calci. Detroit era l’unico luogo che riconobbe il tipico sound hard rock e i nostri spettacoli folli. Detroit era un porto sicuro per gli emarginat, ci sentivamo a casa». E questo disco, prodotto da Bob Ezrin, si annuncia effettivamente un ritorno a casa. «È stato fatto a Detroit, per Detroit, dagli abitanti di Detroit», dice il produttore.

“The Shadow I Remember” Cloud Nothings (26 febbraio)

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«Mi sentivo intrappolato in un personaggio. Interpretavo un ruolo e non me stesso», dice Dylan Baldi, il frontman dei Cloud Nothings, della scrittura delle canzoni di The Shadow I Remember. Il nuovo disco della band, che arriva dopo il progetto della quarantena The Black Hole Understands, è un tentativo di cercare una strada diversa, un’alternativa alla formula rock del passato. Per riuscirci, Baldi ha scritto 30 demo, che poi ha ridotto a 11 brani, con l’obiettivo di «scavare nel mio talento melodico». Alla produzione c’è Steve Albini, architetto del disco del 2012 Attack on Memory.

“Single Album” NOFX (26 febbraio)

L’etichetta Fat Wreck lo annuncia così: «Il quattordicesimo album con tanto di pezzo d’apertura post hardcore di 6 minuti, una meta-parodia del pezzo più famoso della band e persino una ballata al pianoforte. Fatti da parte, Punk in Drublic». Qualche settimana fa è uscita Linewleum.