I 20 migliori album italiani del 2021 (fino a oggi) | Rolling Stone Italia
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I 20 migliori album italiani del 2021 (fino a oggi)

Nei primi sei mesi dell'anno siamo rimasti a casa più di quanto avremmo voluto, ma la colonna sonora non è stata affatto male: da Venerus a Iosonouncane, ecco i dischi italiani che hanno lasciato un segno

I 20 migliori album italiani del 2021 (fino a oggi)

Nel secondo anno pandemico il pop italiano è passato per Sanremo. Dal festival più indie della storia sono uscite alcune delle storie migliori di questi primi mesi del 2021: Madame, i Måneskin, i Coma_Cose, la coppia Colapesce-Dimartino, ma anche La Rappresentante di Lista, Ghemon, Willie Peyote. Intanto, in classifica entravano dischi belli e strani com quelli di Mace e Venerus, che un tempo non sarebbero andati altrettanto bene, prodotti con in testa un’idea assieme locale e globale del suono. Se è vero che il rap è da tempo diventato il nuovo pop, le cose migliori sono venute da dischi “di strada” come quello di Massimo Pericolo. Mahmood ha portato a un nuovo livello di sofisticatezza le sue canzoni e Cosmo ci ha fatto intravedere il futuro. Siamo rimasti a casa più di quanto avremmo voluto, ma la colonna sonora non è stata affatto male.

“Unica” Ornella Vanoni (29 gennaio)

Cosa c’è di più rock che fregarsene di tutto e di tutti? Grande Ornella: ha fatto un disco essenziale e fuori dal tempo, in cui la voce mostra spudoratamente gli 86 anni dell’interprete, un po’ come ha fatto Johnny Cash negli Stati Uniti. È il disco di una donna Unica e libera. «Se uno a questa età non è libero cos’ha fatto, cos’ha pensato, come si è evoluto?», ci ha detto. È proprio vero: Ornella si nasce.

“OBE” Mace (5 febbraio)

Col successo di questo disco c’entra il boom di La canzone nostra con Blanco e Salmo, uno dei pezzi dell’anno, ma OBE è un disco importante a prescindere da quel pezzo. Uno dei produttori chiave del 2021 (vedi anche il disco di Venerus), Mace pensa alla musica in termini di esplorazione e rinnovamento e porta suoni fighi in classifica. È la piccola rivoluzione che l’Italia della musica aspettava. E poi, OBE è pieno di feat come usa di questi tempi, ma il vero spettacolo è Mace. L’intervista.

“Magica musica” Venerus (19 febbraio)

Il re dei freak ha fatto un gran disco, un viaggio cosmico oltre i confini del pop dove stanno assieme canzone d’autore, soul, psichedelia. Magica musica è ambizioso e ricco, ma anche piacevolmente diretto, come dev’essere il pop. È musica che c’immaginiamo esca da un laboratorio creativo, con un’idea “magica” della natura e una gran voglia di espandere la coscienza (e difatti Lucy è un omaggio ai Beatles e all’LSD). Qui l’intervista.

“Teatro d’ira – Vol. 1” Måneskin (19 marzo)

Il gruppo più divisivo dell’anno ha fatto un disco da cui non si può prescindere per capire il pop italiano del 2021. Il punto è che i Måneskin usano il rock fatto con chitarre-basso-batteria (le fonti d’ispirazione sono evidenti) per cantare di diversità, fragilità, fobie, sesso, voglia di rivalsa. E traducono il tutto in un’immagine “fluida” che ha sì una tradizione nel rock anglosassone e non solo, ma che negli ultimi anni è stata portata avanti dal pop.

“Madame” Madame (19 marzo)

Una delle rivelazioni del 2021 (già nella nostra lista degli artisti da tenere d’occhio nel 2020) grazie a Voce e a Sanremo, dov’è diventata simbolo del rinnovamento e di fluidità e d’inclusione, finendo sulla copertina del cartaceo di Rolling. Come abbiamo scritto, Madame è il disco di una spudorata di talento, è tutto istintivo e viscere, è avanti nei suoni e coraggioso nei testi. È in classifica da quattro mesi ed è uno dei cinque dischi più venduti/ascoltati dei primi sei mesi dell’anno.

“Solo tutto” Massimo Pericolo (19 marzo)

Sembra la colonna sonora di un film di Claudio Caligari: droga, sesso, palazzine, rabbia. E pensieri cupi, perché Massimo Pericolo è un rapper spietato, sì, ma soprattutto con se stesso. Una delle frasi chiave: “Quanto è difficile scrivere il secondo disco, soprattutto se col primo diventi ricco”. Gli abbiamo dedicato una digital cover.

“Fastlife 4” Guè Pequeno & DJ Harsh (9 aprile)

Il mixtape della coppia inizia con un Disclaimer per “opinionisti del web, influencer, Instagram model, polemici da social network, paladini del politicamente corretto, YouTuber e TikToker diventati rapper”. Contiene tanto cinema di strada e un bel po’ di zarroganza. Finisce con un freestyle sulla “vita veloce”. Ed è ancora Pequeno from the block.

“Nostralgia” Coma_Cose (16 aprile)

«Ogni elemento presente in questo disco è un pezzo di musica che abbiamo vissuto veramente, magari ascoltandolo e consumandolo per anni», hanno detto i Coma_Cose di Nostralgia. Più che “il disco di Sanremo”, è un resoconto del loro passato musicale, una serie tv antologica sulle loro influenze. Ci sono rap old school, grunge, cantautorato e tante altre cose. Ecco il track by track.

“Multisala” Franco126 (23 aprile)

Dopo l’esordio solista Stanza singola, Franco126 torna con un disco che è come un kolossal, un film che allarga il suo repertorio dai pezzi tristi – i “saddoni”, come ci ha detto nell’intervista della sua cover story – a un suono più vivido e funk. L’obiettivo era scrivere musica contemporanea e senza tempo, dove Califano sta bene coi Daft Punk e anche col rap.

“Semplice” Motta (30 aprile)

Il titolo riflette la ricerca dell’essenziale a cui si è dedicato Motta. È un disco da cantautore d’altri tempi: 40 minuti per 10 canzoni, come coi vinili, arrangiamenti orchestrali, una voce fragile e vibrante in bell’evidenza al centro di tutto. Forse è anche il disco meno tormentato di Motta, che si confronta con contraddizioni e paure come ci ha raccontato.

“Taxi Driver” Rkomi (30 aprile)

Di fronte a un bivio, Rkomi ha sempre scelto la strada più difficile, tortuosa e inaspettata. Taxi Driver ne è la dimostrazione: un disco diverso da tutto quello che ha fatto finora, scritto per uscire dalla sua comfort zone e sperimentare con l’indie, il pop, la canzone d’autore (c’è persino una citazione dei Pearl Jam). Insieme a lui un grande cast di ospiti: Tommaso Paradiso, Ariete, Gazzelle, Dardust, Gaia. Ce l’ha raccontato qui.

“Psychodonna” Rachele Bastreghi (30 aprile)

Rachele Bastreghi l’ha definito «un dramma in discoteca», Morricone che balla con Michael Jackson. «Contiene i miei opposti che si attraggono, perché unisce l’elettronica con il pop e la sperimentazione creando un mondo variegato che mi rappresenta». È anche un concept liberatorio che mette al centro la donna, anzi una Psychodonna fatta di contrasti, assieme fragile e combattiva. C’è anche Fatelo con me, pezzo del 1978 di Anna Oxa scritto da Ivano Fossati.

“Paesaggio dopo la battaglia” Vasco Brondi (7 maggio)

Per parafrasare il disco dal vivo uscito l’anno scorso: queste canzoni sono talismani per tempi incerti. Messo da parte il nome Le Luci della Centrale Elettrica, Brondi esordisce con un «disco di racconti per voce e cori, per orchestra e sintetizzatori. In ogni canzone c’è qualcuno che ricerca fiduciosamente anche in tempi difficili tra le leggi della città e quelle dell’universo. Dopo la battaglia c’è una pace incerta, piena di ferite e piena di sollievo. C’è qualcuno che chiama un nome tra le macerie, qualcuno che risponde».

“Exuvia” Caparezza (7 maggio)

«La hit non è un problema mio o del disco: la hit è un problema di Spotify. E io non sono Spotify. Io sono Caparezza», ci ha detto. E difatti Exuvia è un disco complesso, pieno di idee e immagini e parole, per certi versi dark. Se Prisoner 709 rappresentava la prigionia, «Exuvia è la fuga attraverso il bosco, l’oscurità e la complessità».

“Ira” Iosonouncane (14 maggio)

Un album colossale scritto in una «lingua momentanea», come dice Jacopo Incani, un lavoro corale che mette assieme elettronica, jazz, musica del Maghreb e molto altro. Sono quasi due ore di musica radicalmente diverse da Die. «È un disco complesso, quindi politico».

“Bingo” Margherita Vicario (14 maggio)

Margherita Vicario s’è ritagliata un posticino nel pop italiano che nel 2021 è stato anche politico, spesso più nelle dichiarazioni sui social che nei dischi. Vicario lo fa anche nei pezzi dove canta di femminismo, inclusione, sesso e religione con energia quasi fanciullesca. È pop teatralizzato e un po’ pazzo per bambine ribelli e festaiole. C’è anche Pincio, dedica supertenera alla cugina, ma potrebbe essere un’amica, una sorella, una di quelle canzoni che ti fanno dire: però, che brava.

“Verso” VV (14 maggio)

Un’artista nativa pandemica uscita allo scoperto come VV quando si stava chiusi in casa (più o meno) e di concerti non se ne parlava, ma con alle spalle vari tentativi di farsi notare. Verso raccoglie quanto pubblicato nell’ultimo anno ed è la storia di una ricerca d’identità fuori dai trend del pop italiano. In un mondo di popstar instagrammabili, lei canta la vita che ti prende a schiaffi. Scrive pezzi funk-pop (auto) ironici e sdrammatizzanti, ma anche ballate struggenti vecchia scuola da autrice sensibile e interprete espressiva. La sua definizione: «Sono una drama girl che scrive per ridimensionare le cose».

“La terza estate dell’amore” Cosmo (21 maggio)

La terza estate dell’amore è un disco che parla di liberazione: dalla condizione in cui ci siano sentiti nell’ultimo anno, dai confini dettati dai generi musicali, dalle richieste dell’industria discografica. È un sabba elettronico che parla alla testa e al corpo. Cosmo ce l’ha raccontato qui.

“Originali” Sottotono (4 giugno)

Vent’anni fa l’hip hop italiano sembrava finito e i Sottotono avevano detto tutto quel che dovevano dire. Oggi i ragazzi che andavano a vederli in concerto sono diventati star del rap game e così Tormento e Fish sono tornati con Originali, un disco che contiene alcune versioni aggiornate dei loro successi e brani inediti. In compagnia di Tiziano Ferro, Marracash, Guè Pequeno, Fabri Fibra, Elodie, Mahmood, Coez, Luchè, CoCo, Emis Killa, Jake La Furia, Stash. E c’è pure strofa postuma di Primo che farà scendere un po’ di lacrime d’amore a chi ama il rap. La cover story.

“Ghettolimpo” Mahmood (11 giugno)

Mahmood è diventato grande e lo racconta nel secondo disco, Ghettolimpo. Una specie di autoanalisi post successo. È un album coraggioso, a tratti rischioso, che forse poco si sposa con chi sceglie i pezzi solo come colonna sonora di TikTok, ma che denota un’evoluzione artistica che passa dalle produzioni, ai testi e all’estetica. Dentro ci sono alcune chicche: su tutte T’amo, canzone dedicata alla madre che è praticamente la sua versione di No Potho Reposare. Mahmood è qui per restare.