I 10 migliori dischi di gruppi prog italiani usciti negli ultimi 20 anni | Rolling Stone Italia
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I 10 migliori dischi di gruppi prog italiani usciti negli ultimi 20 anni

Concept surreali, citazioni zappiane, new wave in romanesco, jazz e hip hop. Se prog vuol dire allargare i confini del rock, allora questi dischi lo sono. Sicuri che non ci siano alternative al suono degli anni ’70?

I 10 migliori dischi di gruppi prog italiani usciti negli ultimi 20 anni

I Winstons

Sono certo che qualcuno mi maledirà per questo articolo. Mi malediranno in primis coloro per i quali il prog rock è sinonimo di anni ’70. Per loro il prog è la musica che facevano i Genesis, gli Yes, gli ELP, ecc. Hanno cristallizzato un suono in continua evoluzione in qualcosa di inamovibile: un connubio tra rock e classica. E basta.

Ma il nome stesso del genere-non genere dovrebbe far pensare che è impossibile imprigionare una filosofia. Ai loro tempi Genesis & co. non facevano altro che aderire alla rivoluzione iniziata nei tardi anni ’60 con il Stg. Pepper’s beatlesiano e da lì portata avanti da moltissimi altri. Con i brani che sempre più si allungavano, non temendo i confini dei tre minuti, i suoni che si tingevano dell’elettronica dei sintetizzatori, i generi che si intersecavano. E il mix con la musica classica era solo uno dei tanti, altri univano cenni folk, jazz, atonali, avanguardisti, minimalisti, rinascimentali… C’era di tutto.

Quindi perché per moltissimi il prog è diventato unicamente la musica dei Genesis e altri sinfonici similari? Non è dato saperlo. Forse dipende dal successo raggiunto da queste formazioni in Italia nel primo scorcio dei ’70. Ventenni dell’epoca che hanno fatto loro quel momento e oggi rifiutano di capire che il prog è per sua forma una musica in costante evoluzione. Nel 1972 potevano essere interessanti certe fusioni, nel 2020 sono interessanti altre, ma la filosofia resta la stessa.

Si smetta quindi di chiamare prog rock unicamente quel suono ’70, prog rock è un’infinità di cose, mi azzardo a dire che ogni volta che la musica si contamina e cerca di uscire dagli angusti canoni della commercialità diventa prog. Il prog è la musica anti-capitalista per eccellenza. E ha uno spettro troppo vasto per essere rinchiusa e definita come volti vorrebbero. Il prog è avventura, ieri come oggi.

Poi ci sono altri che mi malediranno: e sono i componenti dei gruppi che cito nella lista dei 10 album più rappresentativi del prog italiano dal 2000 al 2020. Sì, perché per molti di loro la parola prog è una bestemmia. Le loro radici affondano nel punk, nella new wave, nel cosiddetto post rock (il nome che il prog ha preso negli ultimi 20 anni, fa certamente più fico). Dire prog è un errore e un orrore, vista la brutta nomea che dal 1977 si porta appresso.

Ma queste formazioni sono prog al 100%, che vogliano sentirselo dire o meno: l’avventura, il connubio tra i generi, le atmosfere, i suoni… tutto segue lo stesso iter. Solo che oggi sappiamo quanto sia da sfigati dire che si fa prog e allora non lo si dice. Bene, cominciamo a dirlo e cominciamo a dare al prog sembianze adatte ai nostri tempi, leviamogli di dosso la coperta della sfiga che gli è stata buttata addosso nel 1977.

Iniziamo a capire inoltre che chi nel 2020 fa prog rifacendo gli anni ’70 non fa prog, omaggia (spesso magistralmente) un certo suono e una certa combinazione di moda allora (quella tra rock e classica), ma non “progredisce” in un bel nulla. Cinquant’anni fa andava bene un certo tipo di mix, negli anni Duemila la contaminazione deve procedere inglobando il pop, l’elettronica, il metal, il rap, la trap, la word music, l’indie, il punk, lo space rock, il dream pop, il blues, la psichedelia, il jazz e tutto quello che vi viene in mente.

Diamo quindi un’occhiata ai 10 dischi che hanno ricostruito il prog in Italia, che hanno preso quel modus operandi iniziato nel 1967 e lo hanno traslato ai nostri giorni, con la voglia di creare nuove mescolanze, nuovi stimoli per chi ascolta, abbattere ancora una volta le barriere e creare una musica realmente senza confini. Così come era stata concepita.

10. “Tarlo Terzo” Bachi da Pietra (2008)

Hai voglia a dire agli estimatori dei Genesis: signori, questo è un disco prog. Già sono pronto a proteggermi dagli sputi. Ma ascoltate bene l’opera terza del duo composto da Bruno Dorella e Giovanni Succi. Brani sotto morfina, batterie, bassi e chitarre che emanano clangori dissonanti su voci di Paolo Conte in overdose a braccetto con i Talk Talk più brumosi. Un suono di legno, pietra e sabbia sporca. Da genovese poi rivedo e sento gli odori della notte, dei coltelli, dell’eroina, dei vicoli marci degli anni ’80. Questo è un disco così anti-tutto da essere visceralmente e autenticamente prog.

9. “Bancarotta morale” Bologna Violenta (2020)

A Nicola Manzan-Bologna Violenta verrà un colpo a trovarsi in una lista di dischi prog. Lui stesso, virtuoso del violino, ha chiamato uno dei suoi pezzi Un mio amico odia il prog (dove forse l’amico è lui stesso), che è un delirio post metal orchestrale che spara in faccia mille direzioni in 1:07. Il concept Bancarotta Morale è ancora meglio, sempre pallottole da pochi minuti (a volte secondi) classicheggianti e metal (in tutte le sue divagazioni) con derive Rock In Opposition (Univers Zero, ecc). Sul finale arriva addirittura una suite: Fuga, Consapevolezza, Redenzione, fiaba nera in 19 minuti tra archi, sintetizzatore, harmonium e campionamenti.

8. “Momentum” Calibro 35 (2020)

I Calibro li conosciamo e li amiamo soprattutto per il clamoroso ripescaggio del miglior materiale poliziottesco anni ’70: funky e psichedelico come tanto piace a chi va a vederli per ballare. Ma da qualche tempo i C35 sono anche qualcosa di più, stanno ampliando di brutto la tavolozza spaziando dall’astrattismo morriconiano del Gruppo di Imporvvisazione Nuova Conosonanza al rap (qui ospiti Illa J e Mercy Welbeck, in arte MEI), non perdendo mai quel gusto ’70 di colonne sonore ipercool con strumentazione vintage che qui si sposa all’elettronica più calda e si fa anche trip-hop e poi space rock e poi jazz e classica e avantgarde e un sacco di altre sciccherie. Stanno diventando completi di una completezza devastante.

7. “Roma Est” Bobby Joe Long’s Friendship Party (2016)

C’è qualcosa di più prog di un gruppo new wave che canta in romanesco? E i BJLFP non fanno semplice new wave, sono oscuri e tesi come i migliori Joy Division, eleganti come Bryan Ferry, avventurosi come David Bowie, allucinogeni come i Chrome. E ciò che raccontano nel loro idioma lo raccontano alla grande, col fiato delle strade nella loro Roma est che ti alita sul collo in storie di ordinario disagio synthpop che paiono estrapolate da un film di Claudio Caligari.

6. “Studentessi” Elio e le Storie Tese (2008)

Con Elio si va sul sicuro, si cita Frank Zappa ed ecco che come per magia un mondo si squaderna. Con la particolarità che, se possibile, le Storie Tese mettono in mezzo un calderone ancora più ampio di quello del genio di Baltimora. I cinque sono grandi amanti dei Genesis, e ciò si sente alla grande, più e più volte, specie nella mini-suite Il congresso delle parti molli e nella superba Plafone, con un intervento di Moog da urlo e una Antonella Ruggiero a far salti mortali con la voce. Ma non è tutto, dal metal alla samba i nostri suonano come un juke box che tritura ogni genere e lo restituisce rinnovato. Una capacità pressoché unica nella musica italiana.

5. “A sangue freddo” Il Teatro degli Orrori (2009)

Carmelo Bene e i Nirvana, Pasolini e i King Crimson, due sospensioni narcolettiche e psichedeliche tra Nick Cave e i Pink Floyd come Io ti aspetto e Die zeit (inizio e fine del disco), grunge, punk, avanguardia contemporanea, rock che sembra prenderti a pugni in faccia a ogni nota. Alt, catarsi cinematografica con Capovilla Full Metal Jacket. Majakovskij, abisso spoken word tra Penderecki e Glenn Branca. Due, elettronica caparbia, quasi dei Subsonica veramente incazzati. La title track, sapori etnici e la dedica al poeta-attivista nigeriano Ken Saro-Wiwa. C’è questo e molto altro in A sangue freddo. Alt rock, dicono tutti, art rock dico io.

4. “Invocation and Ritual Dance of My Demon Twin” Julie’s Haircut (2017)

I Julie’s Haircut a ogni disco diventano più spaziali, fino ad arrivare a questo Invocation and Ritual Dance of My Demon Twin, titolo tra Zappa (Invocation and Ritual Dance of the Young Pumpkin) e Ken Anger (Invocation of My Demon Brother). Lo spazio della band è drogato e sbilenco, tra gli Hawkwind, i Can ed Ed Wood. I brani sono una suite di cavalcate nella quale acustica ed elettronica si fondono in un tutt’uno e la consistenza si perde tra echi e riverberi. Ai bei tempi i Loop non avrebbero saputo far di meglio, ma con JH si va anche oltre, oltre l’infinito a cavallo di un suono che è bello e trascendentale, magnificamente al di fuori dalla realtà.

3. “Fantasma” Baustelle (2013)

Da teatro a teatro, quello dei Baustelle mette insieme Fabrizio De André e i Goblin, in enfasi orchestrali belle da far male, esplosioni come Fantasma (titoli di coda) che è un finale in gloria di quelli che ti lascia un senso di pienezza. Un’opera concept con il suo preciso schema e le stanze che si aprono canzone dopo canzone, arredate di candelabri e tende di velluto, con inquietanti presenze a far capolino dagli angoli più in ombra. Il segno del comando, Tutti morimmo a stento, Profondo rosso, Nicoletta Elmi evocata in copertina, il Monumentale. Fantasma non è un disco, è un’esperienza pari a quelle oscure e morbose degli anni ’70.

2. “The Winstons” The Winstons (2015)

Si diceva che prog non vuole dire riproposizione del suono che fu. Bene, i Winstons sembrano paro paro i primi Soft Machine e i primi Pink Floyd. E quindi? C’è un distinguo: la maestria del trio Gabrielli-Dell’Era-Gitto fa il miracolo. Ripropone quei suoni ma li fa sembrare nati oggi, i tre ci danno dentro col senso esatto di essere quel suono di quell’epoca, non di scimmiottando. È sottile, ma in questo caso l’esperimento riesce e il gruppo consegna questo primo album di una freschezza e, soprattutto, di una sincerità sconvolgenti. Un plauso, in special modo, alla gemma wyattiana Nicotine Freaks.

1. “Maledette rockstar” Maisie (2018)

I Maisie di Alberto Scotti e Cinzia La Fauci sono un centrifugato incredibile di tutta la musica più pazzesca del mondo; più zappiani di Zappa, più tesi delle Storie Tese, con un range sonoro che parte da Pippo Franco e arriva a Stockhausen. Un doppio album-universo dedicato alla fine del concetto di rockstar, un miliardo di ospiti, la scuola di Canterbury e Padre Pio, i Gong più intergalattici, Ligabue, Fabrizio De André e Matteo Messina Denaro. Una centrifuga di creatività iper prog in 31 brani, alcuni di questi si chiamano Dio è morto, Siamo solo noi, La Canzone di Marinella, Certe notti… e non sono i pezzi che potreste aspettarvi. Geni!

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